Ancora non è noto chi sarà il nuovo presidente della Fondazione Mps anche se tutte le fiches sono puntate sull’ex Garante della privacy Franco Pizzetti. Di certo l’erede di Gabriello Mancini si troverà a dover gestire la fase più delicata dell’ente. Ovvero ridare smalto all’immagine che negli anni è stata appannata dal groviglio con la politica – non solo locale – ma soprattutto conciliare la perdita del controllo della banca con la necessità di garantire risorse al territorio (senza però esserne più il bancomat come negli anni passati) e di liberarsi della zavorra dei debiti che stanno ancora strozzando le casse di Palazzo Sansedoni.
I debiti in gran parte sono la pesante eredità dell’infausta operazione Antonveneta su cui sta ancora indagando la magistratura. E di cui non è responsabile solo la banca ma anche la Fondazione che a fine 2011 era già schiacciata da 1,1 miliardi di debiti accumulati dal 2008 per far fronte ai due aumenti di capitale della banca ed evitare di diluirsi sotto al 51% del Monte.
Nel 2008 la Fondazione partecipò mettendo 490 milioni nel prestito obbligazionario convertibile, il famoso «Fresh 2008» da 960 milioni che, insieme con l’aumento di capitale da 5 miliardi, era servito a trovare i 9 miliardi necessari per Antonveneta. Su quel Fresh le informazioni al mercato non sarebbero state corrette.
Ebbene, secondo i pm il prospetto informativo sull’aumento di capitale Mps dell’aprile 2008 conterrebbe false informazioni, non avendo spiegato in maniera compiuta come la Fondazione avrebbe sottoscritto i Fresh. I vertici della banca non avrebbero specificato il ruolo dei contratti derivati di «total return swap» (Tror), lo scambio di contratti con Credit Suisse e Mediobanca attraverso i quali la Fondazione sottoscriveva solo «indirettamente» i Fresh. Queste omissioni avrebbero fatto credere al mercato che i Fresh «erano stati collocati sulla sola base delle qualità creditizie di Mps». Con il risultato che il finanziamento dell’acquisto di Antonveneta è poi avvenuto con più debito e meno capitale rispetto a quanto comunicato al mercato.
Ha dunque ragione l’ex presidente Mancini quando dice – e lo ha ribadito anche alla conferenza stampa di fine mandato qualche giorno fa – che i vertici dell’ente non sono «burattini ma persone di mondo che conoscono la realtà e si sono attenuti a indirizzi e documenti che erano vincolanti». Vero, verissimo. Anche a vedere i faldoni dell’inchiesta: Le decine di mail, documenti, verbali raccolti dai magistrati senesi e messi agli atti.
In particolare i riflettori si sono accesi sulle mosse dell’allora provveditore della Fondazione, Marco Parlangeli, e del direttore amministrativo Attilio Di Cunto (oggi vice direttore generale e direttore finanziario), che dal 2011 al 2012 è stato anche direttore generale della Sansedoni (controllata dallo stesso ente), ovvero il braccio immobiliare del Montepaschi. Sentito a sommarie informazioni, Di Cunto riferiva che la banca era a conoscenza, almeno dal gennaio 2008 del fatto che la Fondazione avrebbe partecipato al programma di finanziamento anche attraverso la sottoscrizione indiretta del Fresh tramite la stipula dei derivati.
Lo stesso Di Cunto riferiva di aver comunicato al Monte nell’aprile 2008 la stipula di detti contratti con Mediobanca, Credit Suisse e Banca Leonardo. Ricordava di aver chiesto ad alcuni manager della banca di intervenire presso i suddetti tre istituti per sensibilizzarli a votare favorevolmente alle modifiche contrattuali sottoposte all’assemblea dei sottoscrittori del Fresh.
Anche in una relazione della Consob inviata alla Procura nel novembre 2012 si legge che «dall’analisi degli elementi finora trasmessi dalla Procura di Siena sembra emergere un coinvolgimento diretto, su indicazione della banca, della Fondazione Mps nel collocamento sul mercato dei Fresh 2008», pertanto l’informativa a disposizione del mercato «sembrerebbe carente e potenzialmente fuorviante«.
Le decine di mail e comunicazioni fra Fondazione e banca, sembrano mostare un atteggiamento dell’ente nell’operazione di finanziamento del blitz su Antonveneta simile a quello di una banca. A costo di indebitarsi patrimonialmente al di sopra dei limiti consentiti dalla legge. Sulla base del proprio statuto vigente all’epoca dei fatti, la Fondazione Mps poteva indebitarsi fino al 20% del patrimonio, cioè esattamente per un miliardo e, nel limite del 10% del patrimonio, addirittura con lo stesso Montepaschi. Regola che dunque è stata violata.
E il ministero del Tesoro che deve vigilare sulle Fondazioni? Fra i faldoni dell’inchiesta della procura senese spunta anche l’interrogatorio all’ex direttore generale del ministero Vittorio Grilli sentito in Procura il 24 settembre del 2012. Ai pubblici ministeri che gli chiedono se si sia occupato della «concentrazione del rischio», Grilli risponde: «Dal punto di vista del vigilante, quello delle analisi della concentrazione del rischio attiene a un’analisi in generale. Nello specifico di questo strumento del Fresh non penso di averlo fatto. Sicuramente chiesi come cambiò l’esposizione nel suo complesso. Peraltro come ministero non disponiamo di poteri pregnanti come Bankitalia: solo una moral suasion verso i vigilati. Ribadisco di non essermi soffermato – o che qualcuno mi abbia fatto presente – questo strumento del Fresh». Quanto al secondo aumento di capitale del giugno 2011 che fa indebitare ulteriormente l’ente senese con un pool di 11 banche, Grilli aggiunge: “l’autorizzazione è stata data per l’importanza di finalizzare un aumento di capitale a salvaguardia dell’integrità della banca stessa e quindi dell’investimento stesso della Fondazione. Non essendo contra legem era poi nel giudizio della Fondazione considerare bene i rischi. Questo non pregiudica l’opportunità che la Fondazione, procedesse a una diluizione e a una maggiore diversificazione degli investimenti”.
Morale: l’autorizzazione alla partecipazione all’aumento di capitale dal punto di vista del Tesoro rafforzava sia la banca sia l’investimento della Fondazione. Perché, conclude Grilli, «la preoccupazione del Tesoro era anche quella di salvaguardare il sistema finanziario italiano». A ogni costo.
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