Papa Francesco è arrivato ad affrontare la prima grave crisi internazionale del suo pontificato, quella siriana, senza Segretario di Stato. Questo è il dato che emerge a cinque mesi e mezzo dall’elezione del pontefice argentino. Bergoglio ha infatti incontrato giovedì mattina il re di Giordania Abdullah II; con il Paese mediorientale la Santa Sede intrattiene da tempo rapporti buoni senza contare che un’azione bilaterale concertata fra Amman e Vaticano può avere un peso nel possibile ritorno da protagonista della Santa Sede nello scenario mediorientale. Tuttavia l’assenza di un ‘primo ministro’ oltre le mura leonine pesa in queste ore come già era accaduto nei giorni sanguinosi della crisi egiziana di agosto.
Adesso però le cose stanno per cambiare. Secondo informazioni ufficiose che circolano in queste ore ormai ci siamo: il cambio ai vertici della Segreteria di Stato è prossimo. Fra i possibili candidati alla nomina di ‘primo ministro’ il porporato dell’Honduras Oscar Rodriguez Maradiaga, salesiano come Bertone, capo della commissione cardinalizia incaricata dal Pontefice di riformare la Curia. Quindi a lungo si è parlato del cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, anch’egli parte del gruppo degli otto cardinali ‘riformatori’, ancora si fa il nome di due nunzi: Pietro Parolin e Luigi Ventura, rispettivamente rappresentanti della Santa Sede a Caracas e Parigi.
In particolare monsignor Parolin è stato segnalato nelle ultime settimane come il candidato in ascesa, come l’uomo sul quale alla fine sarebbe potuta cadere la scelta del Papa. Parolin appartiene alla vecchia scuola diplomatica vaticana e in passato ha già lavorato in Segreteria di Stato. Infine sono stati fatti i nomi anche del Sostituto per gli affari generali, monsignor Angelo Maria Becciu, e dell’attuale prefetto della Congregazione dei vescovi, Marc Ouellet. Il lavoro per identificare il nuovo braccio destro del Pontefice è stato dunque laborioso, se infine sarà monsignor Parolin, verrà ricostituito il dualismo classico: Papa straniero, Segretario di Stato italiano.
Certo è che Tarcisio Bertone è di fatto uscito di scena, lui stesso ha annunciato in Brasile che quello sarebbe stato l’ultimo viaggio in cui avrebbe accompagnato il Papa. Lo stesso vale per il ‘ministro degli esteri’ vaticano, monsignor Dominique Mamberti, pure lui dato da tempo in scadenza. D’altro canto proprio sulla questione siriana – ma in generale sui sommovimenti che hanno scosso profondamente il mondo arabo – si sono confrontate all’interno della Chiesa diverse linee o sensibilità, ed è più che mai urgente e necessaria la presenza di una Segreteria di Stato autorevole e interprete sicura della volontà del Papa.
Francesco aveva deciso di non procedere appena eletto alla sostituzione di Bertone; come si ricorderà la leadership di quest’ultimo è stata fortemente contestata da settori diversi della Chiesa in Italia e all’estero; vari cardinali si erano lamentati con Benedetto XVI di una gestione degli affari internazionali e interni alla Curia giudicata inadeguata, non era un mistero che autorevoli porporati valutavano non adatto il cardinale Bertone per un incarico nel quale era necessaria una forte competenza diplomatica. A ciò naturalmente si sono aggiunte contestazioni legate alle lotte di potere interne al Vaticano e agli scontri fra le varie cordate; è quella parte della storia recente della Chiesa passata sotto il nome di vatileaks con riferimento alla fuga di documenti super riservati dai sacri palazzi e dallo stesso appartamento di Ratzinger.
Così Bergoglio, eletto con il mandato di fare pulizia in Curia e di riformare un’istituzione farraginosa, e rivelatosi poi anche pontefice dai gesti innovativi e profetici, ha cercato di muovere con una certa prudenza i primi passi nei corridoi vaticani ben consapevole di quanto fosse facile passare dal consenso di piazza San Pietro agli intrighi interni al palazzo.
Francesco ha studiato, come si dice in questi casi, la macchina curiale, e ha delineato il suo modello di Chiesa: austera, pronta a rinunciare ai simboli del potere, della ricchezza e alle facili carriere; quindi ha rimandato le fatidiche nomine sulle quali non voleva subire i condizionamenti dell’opinione pubblica o di altre forze. Ma certo sul piano internazionale l’assenza di una leadership diplomatica autorevole si fa sentire da tempo, praticamente tutto il pontificato di Ratzinger è stato segnato da questa quasi assenza. La Siria, inoltre, rappresenta sia uno scenario particolarmente spinoso che un’occasione politica di non poco conto.
La Santa Sede per ora si orienta su principi fondamentali e promuove naturalmente una posizione contraria all’allargamento del conflitto e quindi a un intervento militare internazionale. Tuttavia mentre la Chiesa locale, i patriarchi e i vescovi, sono schierati fin dal primo giorno con il regime di Assad sostanzialmente condividendone la sorte, il nunzio apostolico a Damasco monsignor Mario Zenari, ha sempre denunciato il rischio di una degenerazione delle violenze e l’inerzia della comunità internazionale; poi, sia pure con linguaggio diplomatico, ha più volte sottolineato le responsabilità di Assad e del regime. In questo quadro s’inserisce anche il rapimento nel luglio scorso del gesuita Paolo Dall’Oglio, che per trent’anni ha vissuto nel Paese ed è noto come deciso oppositore del regime e promotore di un progetto di convivenza interreligioso e interetnico per una futura Siria democratica. A ciò si aggiunge, ancora, l’intervento sul campo delle milizie qaediste che hanno ulteriormente complicato e esacerbato il quadro.
Il Papa e la Chiesa possono forse giocare un ruolo in un futuro negoziato in cui i cristiani vengano considerati come una componente della società siriana, ma si tratta di una prospettiva che richiede un chiaro impulso diplomatico e un ruolo indipendente ben riconoscibile della Santa Sede rispetto alle forze militari in campo. L’assenza di una linea diplomatica definita ha prodotto del resto alcune incertezze, anche nelle ultime ore. Mentre l’Osservatore romano con la data di giovedì 29 ha di fatto parlato del regime di Assad come di un attore credibile nella crisi, la Santa Sede al termine del colloquio fra il Papa e Abdullah II, ha diffuso un comunicato nel quale si indica quale unica opzione per porre fine al conflitto il negoziato e il dialogo “fra tutti i componenti della società siriana” con il sostegno internazionale. Insomma il governo di Assad non è stato nemmeno citato, al contrario veniva valorizzata una composizione sociale e politica articolata, segno di una sensibilità quanto meno diversa verso gli accadimenti in corso.
Un discorso simile vale infine per l’Egitto dove la crisi richiederebbe oggi alla Santa Sede un rapporto forte con il centro sunnita di Al Azhar, voce moderata e riformatrice dell’Islam. Tuttavia Al Azhar aveva interrotto le relazioni con il Vaticano sia per i problemi derivanti dal famoso discorso del Papa a Ratisbona che per successivi incidenti diplomatici. La riorganizzazione della Segreteria di Stato, insomma, non vuol dire solo riempire alcune caselle, si tratta al contrario di rimettere in moto una capacità d’azione e di presa internazionale della Santa Sede che è andata via via scemando nel tempo.
Twitter: @FrancePeloso