La forza minacciosa dell’uno corrisponde all’insuccesso dell’altro, e dunque se oggi Silvio Berlusconi può sguainare la spada delle elezioni anticipate e, creduto, far tremare persino Enrico Letta e Giorgio Napolitano, è anche perché Mario Monti non ce l’ha fatta. La sua Scelta civica non è mai diventata quell’alternativa moderna ed europea al centrodestra anomalo e carismatico del Cavaliere che pure sarebbe dovuta essere, ma ha al contrario assunto le sembianze d’un minuscolo e litigioso partito neodemocristiano presto scivolato nell’irrilevanza dei numeri e degli equilibri parlamentari, un’inconsistenza umiliante che si riflette in quei sondaggi che oggi sono già terribilmente lontani dal dieci per cento conquistato con successo alle ultime elezioni.
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Appannato e condannato, prossimo agli arresti domiciliari, indebolito e anziano, declinante eppure mai davvero declinato, il Cavaliere è ancora alla guida del primo partito d’Italia, azionista di maggioranza della grande coalizione, padrone della sua creatura politica, si chiami questa Pdl o ancora una volta Forza Italia. E Monti lo osserva con l’aria mesta, eppure ammirata, che si deve alle cose straordinarie, innaturali, persino inspiegabili; il professore guarda il Cavaliere nel modo con il quale sempre le persone molto comprese di sé come Monti finiscono con l’osservare i propri insuccessi, un misto di timore e di sorpresa. Nessuno meglio del professore della Bocconi in queste ore capisce quello che sta succedendo nel Palazzo agitato dal Cavaliere agitato. E nessuno è più tormentato di lui, l’uomo che aveva creduto di poter fare concorrenza a Berlusconi e quasi c’era riuscito, lui che alle elezioni aveva scippato milioni di voti al centrodestra, abbastanza da non fare vincere ancora una volta il Pdl, lui che oggi assiste tuttavia impotente e stordito al proprio fallimento. E infatti il professore sa che oggi il Cavaliere esiste soltanto perché invece lui non esiste più. Berlusconi e Monti sono gli opposti d’Italia, e tanto l’uno è vittorioso, anomalo, controverso, cinico, pervicace; tanto l’altro è normale, per bene, apprezzato, eppure tragicamente perdente.
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Alle ultime elezioni politiche Berlusconi ha lasciato per strada sei milioni di voti, l’unto del consenso, il Cavaliere imbattibile, ha dimezzato il suo taumaturgico potere elettorale e persino le amministrative di giugno non sono andate bene, anzi, sono andate malissimo, sedici comuni al centrosinistra e nessuno al centrodestra. Eppure lui è sempre là, indispensabile, privo di concorrenti, alla testa del suo coacervo politico, quel mondo che senza di lui forse non esisterebbe nemmeno, «il centrodestra inizia e finisce con il Cavalier», dice spesso Renato Brunetta. E dev’essere davvero così. L’Italia non sa cosa sia un partito conservatore come quello dei Tories inglesi di David Cameron, e il gollismo francese per gli italiani significa soltanto un vago richiamo a principi presidenzialisti che nel nostro Paese finiscono inevitabilmente, sempre, con il lasciare più un retrogusto sudamericano che nord europeo. Il Cavaliere senza avversari è ancora il padrone di circa nove milioni di voti, e non era evidentemente Mario Monti l’uomo inviato dal destino per sottrarglieli, per archiviare l’anomalia italiana, sublimare il carisma, eppure conservare quel popolo che non si riconosce nella sinistra e nella socialdemocrazia. La tragedia di Monti è che oggi riconosce sé stesso e il proprio drammatico insuccesso nella baldanza con la quale il Cavaliere, forte di quei milioni di voti di cui è monopolista, minaccia Letta e il Quirinale, invoca per sé la grazia di Napolitano, brandisce l’arma delle elezioni. Lui, invece, circondato da un ingrato gruppo dirigente che già lo accusa di viltà al comando, lui che pure aveva dato a parecchi di questi ronzini l’apparenza dei purosangue, e sbeffeggiato da Pier Ferdinando Casini, che lo ha usato per sopravvivere e che adesso si prepara a tradirlo, sa che il suo fallimento è una condanna per l’Italia intera.
Twitter: @SalvatoreMerlo
Mario Monti (Donato Fasano/Afp)