Il governo di grande coalizione non ha una visione, non ha una politica economica, non sembra avere la minima idea di come rilanciare l’economia dell’Italia sfinita, e in definitiva non ha una linea su nulla perché al suo interno contiene tutte le linee, tutte le posizioni, tutti gli interessi. La turbolenta coalizione di Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi ed Enrico Letta è il governo della palude. Vive alla giornata, rinvia, butta la palla in tribuna per evitare problemi di “governabilità”, è l’esecutivo delle toppe, e s’intuisce così che la stabilità di governo è tutto, l’unico obiettivo condiviso, il mezzo e contemporaneamente anche il fine di questa legislatura sprecata. L’importante è tirare a campare. E dunque questo agitato, litigioso, e pure torpido e saldissimo esecutivo cancella l’Imu ma rimanda le coperture finanziarie. Elimina la prima rata della tassa sulla casa, ma rimanda al 2014 la formulazione d’una nuova tassa sui servizi che graverà su chiunque abbia un tetto sulla testa: proprietari e affittuari, ricchi e poveri, giovani e anziani.
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Gli italiani non pagheranno 4 miliardi di euro, per adesso. Ma quei miliardi dovranno ritornare nelle case vuote dello stato, in qualche modo. E certo fa impressione ricordare l’enfasi con la quale pochi mesi fa Enrico Letta annunciava, alla vigilia del consiglio europeo di giugno, coraggiose politiche contro la disoccupazione giovanile. “Sono i giovani la nostra priorità”, diceva il presidente del Consiglio. E dunque colpisce particolarmente osservare oggi come la futura tassa sui servizi, la “service tax” cosiddetta, si abbatta proprio contro i giovani, quelli più impegnati, quelli che un lavoro anche precario l’hanno trovato, che magari guadagnano poco ma vivono da soli, che non sono i bamboccioni di Padoa-Schioppa, né i pigri inoccupati delle statistiche Istat, ma sono invece quelli che sono entrati faticosamente nel mercato del lavoro e dunque pagano un affitto al quale ben presto sarà agganciato un tributo con il quale lo stato dovrà coprire la voragine che si è aperta nei conti pubblici per l’abolizione propagandistica dell’Imu. Poteva esserci un effetto psicologico positivo, l’annunciata abolizione della tassa poteva iniettare ottimismo nel sistema, spingere, chissà, l’aumento dei consumi interni. Ma tutti hanno capito che si tratta invece di un pasticcio, che la tassa uscita dalla porta rientra dalla finestra, nella confusione, nel marasma d’una nuova imposta che sarà in capo ai Comuni, che ne potranno modulare l’intensità. E i Comuni d’Italia sono sull’orlo del crack finanziario, Roma ha un indebitamento di 10 miliardi di euro, le città italiane hanno interesse a fare cassa, e dunque – incredibile – in alcune zone del nostro paese la nuova service tax potrebbe essere persino più pesante della vecchia Imu.
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Il mercato del lavoro è ancora ingessato, la burocrazia un nodo scorsoio che impicca le piccole e medie imprese, le liberalizzazioni un miraggio, gli ordini professionali un morbo che sclerotizza l’Italia, le tasse sul lavoro altissime, gli investitori stranieri fuggono spaventati dalla selva oscura delle nostre leggi, le università sono tra le peggiori dell’Europa occidentale, la scuola cade a pezzi, gli stipendi sono bassi, viviamo un’infelice decrescita a colpi del 2 per cento l’anno con un tasso di disoccupazione del 12,2 per cento, la ripresa internazionale c’è già stata e noi non l’abbiamo intercettata mentre all’orizzonte si profila una nuova crisi che viene dall’oriente. Ma abbiamo sostituito l’Imu con una tassa sui servizi. Evviva. Il governo può andare avanti, benissimo. Ma per fare cosa? Che idea hanno Napolitano, Berlusconi e Letta dell’Italia? Nei primi mesi del suo governo, Mario Monti fece la riforma delle pensioni, e poi quella del mercato del lavoro. Il professore della Bocconi potrà anche avere pasticciato come sostiene qualcuno, potranno non essere piaciute a tutti quelle riforme di sistema che pure hanno messo a posto i conti, ma quella di Monti almeno era una linea, c’era un’idea, una visione dell’Italia, una sostanza tangibile da valutare, nel bene e nel male. E adesso? Adesso niente. Il Pd e il Pdl non riescono a vivere insieme, al massimo possono sopravvivere insieme. Ma di sussistenza alla fine si muore, sempre, lentamente, logorandosi, dolorosamente. Le elezioni sarebbero una soluzione, almeno per fare chiarezza, per affidare il governo a qualcuno, a un’entità precisa a cui poter attribuire anche delle colpe se necessario. La grande e turbolenta coalizione all’Italiana non funziona, e spiace dirlo, ma anche Giorgio Napolitano, il difensore caparbio delle larghe intese, si è trasformato da una risorsa in un problema.
Twitter: @SalvatoreMerlo