Avrebbe compiuto trent’anni oggi, Pasha 183, conosciuto anche come P 183. Da qualche mese, invece, i muri di San Pietroburgo sono un po’ più vuoti e grigi, senza di lui. Se n’è andato ad aprile in circostanze misteriose, forse suicidandosi, in una Russia dove i confini tra realtà e verità sfumano, lasciando tracce evanescenti e confuse, come un piede sulla neve e sul fango. Il fango, appunto. Allo street artist piaceva particolarmente:
«D’estate guardo le mie scarpe, le suole. Il fango di per sé è semplice e naturale, in esso non vi è nulla di esagerato. Quando la gente saprà guardare a se stessa come al fango, e saprà scorgere nel piccolo il grande, raggiungeremo l’equilibrio. Senza di esso, senza questo equilibrio delle nostre anime, dei nostri pensieri e delle nostre azioni con il mondo che ci circonda, rischiamo di diventare un McDonalds con i menu e le porzioni preparati tutti con le stesse misure e proporzioni».
da un’intervista a Russia Oggi (2012)
Lo chiamavano «il Banksy russo», ma a lui quella definizione non è mai andata giù. Ciò nonostante, non si può dire che fosse completamente sbagliata: il suo stile ricordava, da lontano, quello del celebre street artist di Exit Through the Gift Shop. Pasha 183 non si era mai sentito un “artista politico”, eppure alcune delle sue opere lo erano: critiche alla mercificazione dell’arte, all’invadenza della pubblicità nella vita di tutti i giorni, attacchi mirati su specifiche problematiche sociali.
I suoi «occhiali», dove un lampione diventava una parte di montatura; la bambina di cartone che appende decorazioni natalizie sul filo spinato; il mattone galleggiante sulla Neva, dipinto di rosso; il ragazzo con il passamontagna sotto al cavalcavia, con in mano una fiaccola di fuoco ardente, vero. Le opere di Pasha 183 univano sempre contenuto e ironia, denuncia sociale e arte. La sua grande abilità nella progettazione concettuale e nella realizzazione pratica delle opere era innegabile.
«Per mia natura sono un ascetico. Sono abituato al silenzio e alla solitudine», spiegava l’artista. Per questo, probabilmente, non rivelò mai la propria reale identità: si conosce il suo nome, Pavel, ma non il cognome. Una volta disse di aver studiato design della comunicazione, ma poi smentì tutto in una circostanza successiva. Se n’è andato il 3 aprile 2013, dopo una lunga carriera – 15 anni – ma comunque troppo presto: sul suo sito, l’ultimo aggiornamento risale al 29 marzo; le sue opere, però, continueranno a ricordarlo. Prima di sparire anch’esse, con il passare del tempo, come orme nel fango.