Ragazzi dell’Europa. Quando l’Ue è uno spazio virtuoso

Cinque storie di italiani all’estero

RIMINI – Non solo progetti Erasmus. L’Europa che non fa notizia, quella che per un attimo dimentica istituzioni e burocrati, è la stessa che dà pane e carriera a centinaia di neolaureati italiani. Al Meeting di Rimini la fondazione per la Sussidiarietà ha messo in piedi una mostra dedicata alle origini e alla vita politico-sociale del Vecchio Continente. S’intitola “Sinfonia dal nuovo mondo: un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali”, a spiegarla si alternano decine di studenti universitari e tra loro c’è anche chi ha trovato l’America nell’area Schengen.

“Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide” è il leitmotiv della mostra riminese che Giorgio Vittadini, presidente della fondazione per la Sussidiarietà, integra così: «L’anima dell’Europa non è corporativa, burocratica, chiusa in egoismi economici, ma è un impulso foriero di sviluppo, libertà, creatività per ciascuno dei suoi cittadini e dei suoi popoli, un luogo di unità nella diversità». Tra i padiglioni della Fiera Linkiesta ha raccolto le testimonianze di ragazzi che si stanno misurando con il mercato del lavoro in Europa. Uno spazio in cui la valorizzazione del capitale umano passa per le storie di ventenni e trentenni come tanti. Al Meeting ascoltano le conferenze, lavorano da volontari ai bar e negli stand, ma nella vita i loro uffici si chiamano Moody’s, Unilever, Cambridge.

Un astrofisico milanese a Cambridge

Stefano è uno dei protagonisti della mostra. A Linkiesta spiega il suo percorso: «Da un anno ho iniziato un dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge. Prima ho frequentato Fisica (con indirizzo magistrale Astrofisica) alla Statale di Milano, dove mi sono laureato lo scorso luglio». Cambridge non ha bisogno di presentazioni: «È uno dei poli europei più importanti per l’astrofisica e qui il respiro della ricerca è veramente ampio. Basta pensare che ogni settimana nel mio dipartimento mi è data la possibilità di assistere a 3 seminari su temi che vanno dalla cosmologia alla formazione stellare, dalle galassie alla abitabilità di pianeti extra-solari». Il bilancio è positivo, la sfida appassionante: «Ho potuto tenere esercitazioni a studenti dell’ultimo anno del corso di astrofisica. Poter vivere già durante il dottorato una responsabilità di insegnamento sia molto utile, perchè insegnando ho dovuto imparare veramente e ho potuto ristupirmi della materia che studio attraverso gli occhi stupiti dei miei studenti». In tutto questo, che ne pensa dell’Europa? «È un ambiente in cui la crescita scientifica e professionale è certamente aiutata e di questo sono sinceramente grato».

Prima la Bocconi e poi la multinazionale dei saponi

Nicola, 30 anni, ha iniziato a lavorare a Roma e adesso è di base a Londra. Il suo è un brillante percorso di studi con laurea in economia aziendale alla Bocconi e specializzazione in marketing e management, dopodichè arriva l’assunzione in Unilever, colosso anglo-olandese dei beni di largo consumo. L’inizio nella sede di Roma, «poi l’azienda mi ha proposto di trasferirmi nella sede centrale di Londra come opportunità di crescita professionale, dovuta anche alla ristrutturazione interna causa crisi». Oltremanica Nicola è residente, ha un “permanent contract” e lavora come marketing manager dei deodoranti Dove. Il futuro? «Sono molto aperto al riguardo, mi è capitata un’opportunità e l’ho presa. Ma per me questa non è una fuga, è una positività in più, seppur con tutte le difficoltà del caso come famiglia e amici in Italia. Dopo un anno posso dire che è bello anche ciò che ho incontrato in Uk». Nel Vecchio Continente Nicola ha trovato un «mix di culture e di modi di lavorare. Vivi a Londra ma in realtà sei in Europa, a contatto con tutti: turchi, francesi, spagnoli. Qui c’è una consapevolezza maggiore di essere in Europa: se a Roma ti controllavano di più sul lavoro, qui sei responsabilizzato e si fidano del lavoratore in quanto persona».

Voleva fare l’avvocato. È finito a Bruxelles

Una laurea in Giurisprudenza all’università di Trento, ma anche la politica universitaria e il giornalismo. Oggi Francesco Planchenstainer lavora negli States per una multinazionale alimentare: «All’inizio sognavo di fare l’avvocato». Poi l’Erasmus nei Paesi Bassi «mi ha costretto a svegliarmi». Alla fine degli studi arriva il dottorato in diritto alimentare presso la sede piacentina della Cattolica, un trampolino per volare in Europa. «Sono finito a lavorare per la Commissione Europea all’interno del dottorato. Occupandomi per la mia ricerca dei modelli di policy per la gestione delle crisi alimentari ho deciso di fare domande per il bando Blue Book della Commissione: 1200 posti che ogni anno vengono banditi per aspiranti giovani che vogliano inserirsi per un periodo di formazione nella Commissione Europea. Nel mio anno c’è stato un exploit di domande (oltre 4000 su 8000 solo dall’Italia), alla fine sono capitato nella DG SANCO (la Direzione Generale per la Salute ed i Consumatori della Commissione Europea). È stata un’esperienza indimenticabile: sei mesi nel cuore decisionale dell’Europa a contatto con tutte le proposte legislative in materia di sicurezza alimentare e nelle “stanze dei bottoni”». Per Francesco lavorare fuori dall’Italia «è una necessità nel senso che dopo un po’ che uno sta in un ambiente internazionale difficilmente ne farà a meno». Ma il Belpaese non è una Cenerentola qualunque: «Se ho avuto una formazione universitaria senza ritrovarmi oberato di debiti come i miei colleghi statunitensi lo devo al nostro paese». La sua esperienza trova riscontro con la mostra del Meeting: «Concordo sul fatto che l’Europa è, innanzitutto, è un’Europa di popoli. Chiunque vada a un aperitivo a Place du Luxembourg a Bruxelles può cogliere questo dato: migliaia di giovani provenienti da quattro angoli dell’Unione che si trovano per un ordinario drink. È un vociare chiassoso di oltre venti lingue che i nostri nonni usciti dal secondo conflitto mondiale non si sarebbero mai sognati di vedere. Solo uomini come Schumann, De Gasperi e Adenauer erano così visionari dall’immaginare quello che vediamo oggi e ciò che vedremo in futuro».

Tommaso, la verità a Monaco di Baviera

Tommaso Panni fa il biostatico in Germania. Anche lui è tra i protagonisti della mostra del Meeting, nella videotestimonianza a disposizione dei visitatori vince l’entusiasmo: «Mi sono fermato e ho detto “che bella però la scoperta della verità”. E allora perché non cercare un lavoro che contenga questo desiderio?». «Questa posizione – spiega Tommaso – non è diventata solo lavorativa, ma una posizione culturale di amore alla verità in generale». Monaco di Baviera, cioè Europa: «Un ragazzo spagnolo, un ragazzo francese, una ragazza olandese. Partendo da posizioni differenti, da culture differenti, in realtà si raggiungevano risultati simili e questo è stato bellissimo».

Un cremonese (laziale) a Moody’s

Per Giovanni, 28 anni, cremonese di nascita ma laziale per fede calcistica, è cominciato tutto con l’Erasmus. «Ho fatto ingegneria gestionale al Politecnico di Milano, poi un’esperienza di studio a Vienna. Da lì mi sono convinto di voler fare tesi specialistica all’estero». Così è volato a Reading, un pugno di chilometri da Londra: «Il prof mi ha proposto di rimanere lì per un dottorato in finanza. A me, ingegnere! Ho accettato dopodichè sono andato a lavorare a Morningstar, poi a Londra per Moody’s». Nell’agenzia di rating Giovanni lavora tutt’oggi: «Sono in un team che gestisce i rischi di portafoglio delle diverse banche». Sul suo biglietto campeggia la qualifica «advisory associate for risk management». A Linkiesta Giovanni racconta: «La mia non è stata una fuga ma una scelta: qui ho trovato grandi opportunità, non chiudo la porta all’Italia perché il cuore resta nella terra dove si è nati. Ma questo posto lo sento mio per i prossimi 10-15 anni». Anche se, a onor di cronaca, non è tutto rose e fiori: «Nel mio team siamo in dieci, ognuno di una nazionalità diversa, che è sì un aiuto per la soluzione dei problemi, ma in alcuni casi si fatica a capire le altre culture. Noi italiani, per esempio, siamo molto comunicativi, mentre inglesi e tedeschi sono più freddi, seguono il processo standard». Londra è casa sua, pur nella diversità: «Questa esperienza mi ha aiutato a riavere chiaro chi sono io e cosa vale per me. Il rischio di incontrare gente e culture diverse è che alla fine si perda la propria identità, mentre invece bisogna dare ragione della propria posizione, sia che si parli di famiglia o di lavoro». Non bastasse Londra, al Meeting Giovanni lavora come volontario al bar e la pausa sta per terminare insieme al caffè che ci ha offerto. La chiusura è agrodolce: «Non so se in Italia sarei riuscito a fare lo stesso percorso».

Twitter: @MarcoFattorini

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