Vacanze o meno, in Lombardia c’è sempre un mare che “tira”, «al màr di povar», il «mare dei poveri», tradotto in Italiano dal dialetto pavese, e il mare in questione è alla fine un fiume: il Ticino, sempre per dirla con il dialetto locale, il Tisìn. Il fiume che attraversa due Stati (Svizzera e Italia) e due regioni italiane, Piemonte e Lombardia.
Con i suoi 248 chilometri di percorso per molti lombardi è il mare delle ferie estive da decenni, dalle rive che danno sul milanese fino a quelle pavesi, dove il lungoticino di Pavia diventa luogo di svago per chi non può permettersi lidi più lontani o rimane in città d’estate. Non è un caso che passando sul ponte di Vigevano che collega la provincia di Pavia a quella di Milano buttando l’occhio in giù si vedano le spiagge del fiume affollate. Nel giorno di ferragosto barbecue e gazebo addirittura le affollano.
Dal parco del Ticino c’è chi fa tappa nei boschi e poi si riversa con frigobar e pranzo al sacco sulle rive del principale affluente del fiume Po. «Quest’anno niente mare» ci dice un padre di famiglia con tanto di borsa-frigo gigante in spalla «ci consoliamo così il fine settimana, speriamo per l’anno prossimo». Sulle sponde del vigevanese sono frequenti anche gli incontri con le famiglie degli immigrati: la comunità più numerosa attualmente tra Pavia e Vigevano è quella egiziana, che con apprensione segue gli sviluppi della situazione in patria. Qualcuno in questi giorni, in attesa di partire verso Il Cairo si concede una visita sul fiume, ma la testa rimane al luogo d’origine. Tuttavia sono cinesi e sudamericani a popolare maggiormente il fiume nei giorni di questa estate.
Vista di una delle spiagge sul Ticino (Photo Credit – klausbergheimer – Flickr)
La convinzione errata è che questo Ticino sia d’estate il mare degli immigrati, ma a pensarla così ci si sbaglia di grosso, ed è sufficiente fare un giro sulle rive del fiume per capire come questo sia il mare, anzi, il fiume, anche di molti italiani. Ombrelloni e sdraio arrivano alla spicciolata dalle prime ore del mattino, «per evitare le zanzare», che poi arriveranno invece puntuali con le ore centrali della giornata. In alcune aree del fiume, come per esempio l’area Vul nel pavese, vige il divieto di balneazione, ma non sono pochi quelli che si concedono bagni veri con tuffi e nuotate. Il «fiume azzurro», come lo chiamavano da queste parti è inquinato, ma «non si riesce a starsene tutto il giorno al sole». Tuttavia a spingere le persone sulle rive del Ticino sono anche i prezzi delle piscine, sempre più salati ogni anno, così «preferiamo stare qui», dice in coro un gruppo di studenti universitari, che in vista della sessione estiva degli esami fanno lentamente rientro a Pavia. Giovani e meno giovani popolano le spiaggie del fiume nel corso della stagione estiva e lungo tutto il corso dove possibile, non è infatti un caso che in alcuni punti sorgano addirittura delle spiagge attrezzate.
Il Ponte Coperto sul Ticino, detto anche Ponte Vecchio, di Pavia
Questo mare dei poveri però non è solo un ripiego per chi non può permettersi vacanze migliori, e non è solo per poveri. Ci sono infatti i “Tisinàt” di lungo corso, cioè gli affezionati al fiume che qui ci passano le estati dai primi anni del secondo dopoguerra. Le casotte sull’argine del fiume sono teatro di interminabili partite di briscola tra gli anziani del luogo, che non disdegnano anche un’uscita in “barcè”, pronuncia barsè, che sarebbe una tipica imbarcazione fluviale pavese, che i più ortodossi guidano tramite un remo. E anche la posizione di guida è «alla pavese», spiegano i più esperti «cioè in piedi e rigorosamente con un solo remo».
Ci sono poi le varianti di queste imbarcazioni, su cui viene montato un motore e qualcuno si diverte anche a fare gare nel mezzo del fiume tra le maledizioni di chi si vuole concedere una giornata di pesca in riva al vecchio e caro fiume azzurro. Così si passano le giornate al “mare dei poveri”.
Una tipica imbarcazione “barcè” (Photo Credit)
E come in ogni mare all’italiana spuntano anche i rifiuti lasciati da chi, povero o ricco, non ha cura dell’ambiente circostante. É sufficiente per rendersene conto arrivare sulle spiagge del Ponte delle Barche di Bereguardo, a circa 15 chilometri da Pavia. Eppure qui, dove si trovano le chiatte che sorreggono uno dei luoghi di attraversamento del fiume, l’origine del nome arriva dal francese “beau regard”, “bel riguardo”. Il ponte di barche, finito di costruire nel 1915, resistette a due conflitti mondiali, restaurato, è uno dei vanti della provincia e di quella Pavia che passa le sue vacanze sugli argini del fiume, decantata dal cantautore Drupi prima e da Max Pezzali poi. Eppure qui tra picnic e falò c’è chi si “dimentica” piatti, bottiglie e borse di plastica.
La denuncia arriva direttamente dalle guardie del Parco del Ticino, che hanno definito, anche tramite il locale giornale La Provincia Pavese la «situazione insostenibile». «Come Parco», fanno sapere «abbiamo segnalato al Comune ma pare non muoversi nulla». Così le zone vicine ai ristoranti e ai bar rimangono pulite per la buona volontà dei titolari, mentre laddove questi non arrivano, la cosiddetta “società civile” diventa incivile in un batter d’occhio, e uno scorcio di fiume che potrebbe essere bellissimo, diventa uno spettacolo di cattivi odori.
Intanto il Ticino, il “mare dei poveri”, continua tutti i giorni a finire nel Po una volta giunto al Ponte della Becca. Qui, ancora oggi, qualcuno brinda a sorsate di “Gra Car” – Gratiarum Carthusia – liquore d’erbe dei frati certosini della Certosa di Pavia, la cui ricetta, rimane ancora oggi un mezzo mistero.
Twitter: @lucarinaldi