Immaginate un enorme anello metallico, dalla circonferenza di 80 metri e con un diametro di 25. All’interno della circonferenza ci sono due dispositivi chiamati “sorgenti” dove nascono fasci di particelle inviate e accelerate all’interno dell’anello. Un sincrotrone insomma, come quello usato dai fisici del Cern di Ginevra per dare la caccia al Bosone di Higgs. Al Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (Cnao) di Pavia però, le particelle di materia accelerate non vengono usate per cercare di capire l’origine della materia o dell’universo come avviene al Cern, ma per curare tumori. Quelli resistenti alla normale radioterapia o posizionati in punti critici.
Si chiama adroterapia e la fanno solo 35 centri sparsi per il globo. Uno di questi è in Italia, il quarto per importanza, dopo Usa, Germania e Giappone. È una modalità avanzata di fare radioterapia, sfruttando appunto gli adroni (dal greco adrós, forte): ioni come protoni e ioni carbonio soggetti alla forza detta “nucleare forte”, i cui fasci agiscono sul tumore come se fossero dei bisturi di precisione. In generale, da decenni, si utilizza la radioterapia con raggi X per scopo curativo in ambito oncologico «che funziona ancora benissimo come terapia» si preoccupa di precisare Roberto Orecchia, direttore scientifico del Cnao, in un’intervista a Linkiesta «ma che in alcuni casi particolari e più complicati – circa 2500 pazienti sui 160 mila trattati l’anno scorso con radioterapia – può risultare insufficiente».
Così da alcuni anni, da quando le risorse economiche e tecnologiche lo consentono, c’è stato un interesse sempre maggiore verso un tipo diverso di radiazioni. Oggi vengono studiate prevalentemente due tipi di particelle pesanti o cariche: protoni e ioni carbonio. «Quello che fa la differenza rispetto la radioterapia classica – spiega Orecchia – è che gli adroni hanno una modalità di depositare l’energia, e quindi la dose, molto più selettiva da un punto di vista della balistica. Questo per caratteristiche intrinseche di reazione fra le particelle e la materia biologica cioè il corpo umano». Mentre i raggi X rilasciano la maggior parte dell’energia che trasportano immediatamente quando entrano in contatto con la pelle, gli adroni riescono a “conservarla” finché non giungono a destinazione. La conseguenza è che raggiungono bersagli anche più in profondità e li colpiscono con una dose maggiore di energia. «Hanno la capacità di coprire molto bene il tumore e di risparmiare in maniera importante i tessuti e gli organi sani che si trovano nelle vicinanze» continua il direttore scientifico del Cnao «per questo motivo sono indicati in quei casi in cui il tumore risulta difficile da curare per via della sede, come quelli alla base del cranio o della colonna vertebrale dove è importante colpire la malattia con una dose alta di energia ma allo stesso tempo evitare di colpire nervi, colonna o midollo spinale. Il vantaggio dell’adroterapia è la maggior precisione».
Gli ioni carbonio – essendo particelle molto pesanti – oltre a questa maggior precisione hanno anche la caratteristica di rompere il Dna delle cellule tumorali con più efficacia, rispetto i raggi X e i protoni. Alcuni tumori – come i sarcomi, alcuni della testa e del collo – sono radioresistenti, cioè sono in grado, più di altri, di reagire ai danni causati da queste radiazioni, che non bastano per curare la malattia. Gli ioni carbonio, invece, hanno una maggior effetto sul Dna e sono in grado di produrre più danni a parità di dose. Per questo sono l’applicazione ideale in questa categoria di tumori. «Oggi poi aumentando la disponibilità dei centri si stanno anche allargando le indicazioni dei tumori da trattare, e ci sono protocolli anche per tumori che prima non venivano trattati con questa terapia, come il tumore al polmone, alla prostata, al pancreas e altri ancora» racconta Orecchia.
Sull’adroterapia, già da alcuni anni, sono comparse numerose pubblicazioni scientifiche e il campione di pazienti trattati con questa terapia avanzata inizia a essere numericamente rilevante: più di 100 mila pazienti sono stati sottoposti a radiazioni con protoni e 12 mila con ioni carbonio. Tanto che ormai la terapia non è più considerata sperimentale. «Quello che stiamo testando ora è la macchina – precisa Orecchia – che essendo un prototipo costruito appositamente per Pavia deve ottenere la marcatura CE per poter essere utilizzata». L’attività del Cnao è iniziata a settembre del 2011 quando è stato trattato il primo paziente con radiazioni di protoni ma sempre all’interno di una sperimentazione – concordata con il ministero della salute – per verificare l’efficacia e affidabilità della macchina (di cui i pazienti erano ovviamente a conoscenza. Per entrare in una sperimentazione è infatti sempre necessario firmare un consenso informato). A metà settembre il CNAO consegnerà la documentazione finale all’Istituto superiore di sanità (Iss) per quanto riguarda gli ioni carbonio e se tutto sarà giudicato positivamente il centro dovrebbe essere pienamente certificato.
A quel punto il Cnao entrerà in piena attività in regime di Sistema sanitario nazionale (Ssn), e per accedere alla terapia sarà necessaria un’impegnativa come per ogni altra attività erogata dal Ssn. Ovviamente solo nel caso il paziente sia idoneo alla terapia. Non si tratta infatti di una cura miracolosa o migliore di altre ma solo indicata in particolari condizioni. Per capire quando un paziente risponda a queste condizioni saranno necessari, secondo Orecchia, dei centri di preselezione regionali che valutino caso per caso se il paziente è idoneo alla terapia e solo in quel caso lo segnali a Pavia. Anche in seguito all’apertura comunque, il Cnao continuerà a fare ricerca attraverso protocolli scientifici, quindi diversi da quelli messi in pratica adesso per la certificazione del dispositivo. C’è infatti una grande richiesta di dati e dimostrazioni di evidenze scientifiche e mancano degli studi di confronto tra l’adroterapia e standard, cioè la radioterapia classica. Più che altro per giustificare il maggior costo della prima.
Certo l’adroterapia non è una scoperta dell’ultimo anno ma esiste già dagli anni ’60, quando però i macchinari costavano troppo. «L’acceleratore di Pavia è stato disegnato al Cern di Ginevra – racconta per concludere Orecchia – per uso fisico e noi l’abbiamo ereditato grazie a una collaborazione con il centro svizzero. In particolare grazie al professor Ugo Amaldi che vi lavora, e che è stato l’iniziatore di questo progetto. Una volta arrivato a Pavia l’acceleratore è stato modificato e reso idoneo all’uso clinico. Ci sono voluti quasi tre anni per renderlo operativo e solo ora finalmente stiamo concludendo al certificazione». Dietro alla Fondazione Cnao ci sono i finanziamenti del Ministero della sanità e in parte della Regione Lombardia, Fondazione Cariplo e Banca europea di investimenti. E le sinergie dell’Istituto nazionale dei tumori, l’Istituto europeo di oncologia, il Policlinico di Milano e di Pavia, il Besta di Milano, l’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’Università di Milano e di Pavia, il Politecnico di Milano, oltre che la Fondazione Tera di Amaldi. E forse se un centro d’eccellenza di questo tipo è riuscito ad approdare in Italia lo si deve in buona parte alla buona tradizione fisica italiana, campo in cui il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia.
Non pensiate però che la terapia avvenga nella sala del sincrotrone: la modalità di trattamento è uguale a quella della radioterapia ma solo molto più accurata. Il trattamento in se, quello con i fasci, dura appena 6 minuti sui 30-40 totali. Il resto del tempo è impiegato per verificare tutti i parametri e per collocare il paziente nella posizione giusta, in modo che le radiazioni colpiscano esattamente la massa tumorale. E il post terapia – come racconta Nello in questo video realizzato da SuperQuark – non causa nessun disagio al paziente.
Twitter: @cristinatogna