Silvio Berlusconi rimane insondabile, amletico, sospeso, oscilla tra ipotesi di rottura e più miti consigli che gli vengono suggeriti da amici e soci d’affari come Fedele Confalonieri ed Ennio Doris. E così anche il Palazzo della politica italiana rimane in surplace, in attesa del 9 settembre, quando, la settimana prossima, la giunta per le elezioni del Senato si riunirà per istruire il procedimento intorno alla decadenza del Cavaliere dal suo seggio senatoriale. Un voto sfavorevole all’ex presidente del Consiglio appare inevitabile, malgrado qualche impercettibile apertura da sinistra (vedi Luciano Violante) si sia manifestata negli ultimi giorni.
Ma dovesse decadere, Berlusconi che farà? Farà cadere il governo o accetterà pacificamente di lasciare il Parlamento sperando in un provvedimento di clemenza, in uno scudo istituzionale, del Quirinale? Il quesito appare insolubile e tormenta i pensieri di Berlusconi e di Enrico Letta.
Nel centrosinistra cominciano ad affermarsi rivoli di pensiero secondo i quali il dossier Berlusconi andrebbe affrontato in Senato, nella commissione per le elezioni, con la massima attenzione, prendendo tutto il tempo necessario a valutare la posizione dell’illustre condannato.
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L’ex presidente della Camera Violante, uomo molto vicino a Giorgio Napolitano, ma anche un cospicuo manipolo di senatori, tra cui il piemontese Stefano Esposito, sembrano infatti inclinare per la soluzione del rinvio, pensano cioè che perdere tempo in Senato sulla decadenza del Cavaliere equivalga a guadagnare tempo, serva insomma a far respirare il premier Enrico Letta e dia anche ossigeno a possibili manovre istituzionali del Quirinale. Il presidente della Repubblica potrebbe decidere infatti di commutare la pena alla quale Berlusconi è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione nell’ambito del processo Mediaset.
Ma questa ipotesi è contrastata all’interno dello stesso Pd, la cui vita e la cui serenità di giudizio sono agitate dall’imminente congresso. Il vecchio gruppo dirigente democratico vorrebbe evitare di trasformare la battaglia congressuale in uno scontro su Silvio Berlusconi: non pochi dirigenti del Pd ritengno infatti un errore strategico qualsiasi apertura, seppur minima, nei confronti del Cavaliere. «Sarebbe un regalo a Matteo Renzi», spiegano preoccupati. E dunque la faccenda si fa parecchio complicata.
Ma lungo la strada del rinvio si frappongono ostacoli anche da destra, dall’interno del Pdl stesso. Nel partito di Berlusconi non si fidano fino in fondo dei loro interlocutori, lo stesso Cavaliere osserva con scetticismo il lavoro di mediazione che in queste ore è affidato ai due Letta (Gianni ed Enrico). «Il rinvio serve a tagliarci la strada verso le elezioni anticipate o serve davvero a trovare una soluzione per Berlusconi»?, si chiedono dall’interno dell’agitatissima corte del Cavaliere. D’altra parte, in questo momento, la finestra elettorale è ancora aperta e Berlusconi può agevolmente utilizzare la minaccia elettorale come strumento di pressione politica sul Parlamento, sull’ala governista del Pd e sul Quirinale stesso.
Ma qualora la decisione della giunta per le elezioni del Senato slittasse di qualche mese, come vorrebbe Violante (e forse anche lo stesso Napolitano), la possibilità di portare l’Italia al voto anticipato si ridurebbe a zero. E il Cavaliere si troverebbe improvvisamente disarmato, privato non solo di un formidabile strumento di deterrenza, ma anche di una limpida via di salvezza: votando ritornerebbe in parlamento interrompendo il procedimento di decadenza avviato dal Senato.
Da questa impasse l’Italia politica non si muove di un millimetro. Berlusconi alterna dichiarazioni minacciose («se decado cade anche Letta») a smentite dal sapore irenista («non l’ho mai detto, se cadesse il governo sarebbe una disgrazia»). È un segnale di massima confusione e incertezza, ma è anche un atteggiamento caratterialmente tipico del Cavaliere. L’uomo, al di là della rappresentazione pubblica, è abituato a decidere soltanto all’ultimo istante utile, ed è verosimile che il quadro politico rimanga dunque sospeso ancora fino alla metà di ottobre.
È infatti praticamente certo che il Pdl, con il relatore Andrea Augello, riuscirà ad ottenere un primo rinvio la settimana prossima, il nove settembre, alla riunione che istruirà in Senato il dossier sulla decadenza di Berlusconi. I tempi tecnici consentono di trascinare la faccenda fino al 15 ottobre. Sarà soltanto allora il momento della verità. A quel punto i contendenti dovranno scegliere, il Pd dovrà stabilire se è disposto a prendere ancora altro tempo e il Quirinale dovrà, attraverso i suoi canali riservati, offrire garanzie credibili al Pdl sulla possibilità di un provvedimento di clemenza.
Contemporaneamente anche Berlusconi dovrà decidersi: una strada porta alla sopravvivenza delle larghe intese, l’altra a una complicata crisi di governo dagli esiti imprevedibili. Per il Cavaliere il tempo corre veloce e non avrà più spazi molti di manovra in autunno. Infatti entro dicembre la corte d’Appello di Milano avrà riformulato la pena accessoria (interdizione dai pubblici uffici) così come richiesto dalla sezione feriale della corte di Cassazione che ha condannato Berlusconi nel processo Mediaset. A dicembre l’intera vicenda processuale sarà conclusa, anche qualora ci fossero ricorsi da parte degli avvocati dell’ex premier (come un nuovo appello in Cassazione). Se il Cavaliere è intenzionato a provocare la crisi di governo per andare a nuove elezioni dovrà correre più velocemente di questa nuova sentenza che lo renderebbe di sicuro incandidabile.
Twitter: @SalvatoreMerlo