Chi sta vincendo la guerra in Siria?

Assad ha in mano le carte migliori

Dopo due anni e mezzo di conflitto, oltre centomila morti, un probabile impiego di armi chimiche e un mancato intervento americano, dalla guerra in Siria ancora non sembra emergere un probabile vincitore. Il quadro è fluido, in costante evoluzione, e questo rende molto complicato fare previsioni nel medio termine. Inoltre la composizione degli schieramenti, in particolare di quello ribelle, è intricata e talvolta caotica. Secondo gli analisti di strategia, rimane valido un principio: comunque vada le sorti della Siria si decidono al di fuori del Paese. Le varie fazioni sono infatti armate in modo massiccio da vari attori esteri ed è dalle decisioni di questi che dipendono eventuali cambiamenti nei rapporti di forza.

La situazione attuale è di stallo, con i fedeli ad Assad che controllano soprattutto i centri urbani, il corridoio tra Aleppo e Damasco nonché la fascia costiera, mentre i ribelli sono radicati specialmente nelle campagne, a est verso l’Eufrate e a nord, dove la minoranza curda ha il controllo del territorio. Se le forze che difendono il regime – inclusi Hezbollah libanesi, Pasdaran Iraniani e milizie sciite dall’Iraq – agiscono in modo sufficientemente coordinato, tra i ribelli sono all’ordine del giorno scontri anche molto violenti.

Gli esperti parlano di un “terzo fronte” per indicare la crescente conflittualità tra i ribelli “moderati” o secolari del Free Syrian Army (Fsa) e i gruppi jihadisti (in particolare Jabhat al-Nuṣra e Islamic State of Iraq and Levant, o Isil). Tredici di questi gruppi (guidati da al-Nusra) hanno di recente diramato un comunicato stampa in cui rifiutano l’autorità della Coalizione nazionale siriana – la principale coalizione di opposizione al regime, collegata al Fsa – e chiedono ai ribelli di unirsi sotto una “chiara cornice islamica”.

Si potrebbe poi individuare un quarto fronte tra la componente marxista dei ribelli curdi (Ypg) – che è anche quella meglio armata – e le milizie legate al fanatismo islamico. Di recente gli scontri sono stati più violenti e per ora si sono conclusi con la vittoria dei curdi. Inoltre anche all’interno del Fsa sono in crescita le tensioni – ma senza che siano ad oggi sfociate in scontri – tra le fazioni vicine ai Fratelli Musulmani (foraggiate da Qatar e Turchia in particolare) e quelle più laiche.

Nonostante questa frammentazione del proprio fronte i ribelli sono ancora in grado di dare efficacemente battaglia al regime. «Potrebbero anche conquistare altre città», afferma Claudio Neri, direttore dell’Istituto italiano studi strategici “Niccolò Macchiavelli” «ma difficilmente potrebbero tenerle, considerato che Assad dispone di un’aviazione e loro non hanno armamenti pesanti». Specularmente il regime non è ancora in grado di assestare un colpo definitivo all’insurrezione. «Vista anche la composizione etnica della Siria – prosegue Neri – e l’ingente flusso di fondi che arriva dai Paesi del Golfo ai ribelli, è difficile che il regime riesca bel breve termine a riconquistare le aree rurali. Si rischia piuttosto di andare verso una spaccatura di fatto della Siria».

Il vicepresidente siriano Qadri Jamil in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico Guardian ha dichiarato che «il conflitto tra forze governative e ribelli è in una situazione di stallo e Damasco chiederà con forza il cessate il fuoco per dar vita alla conferenza internazionale di pace». Potrebbe essere un bluff del regime o un tentativo di applicare la massima latina “divide et impera”. Alcuni gruppi infatti potrebbero essere interessati a eventuali concessioni di Damasco. La componente curda della ribellione potrebbe – vista anche la profonda avversione per le fazioni islamiche – accettare una tregua col regime in cambio della concessione di una vasta autonomia (anche se decenni di repressione da parte del clan Assad nei confronti di questa minoranza non sono una buona premessa). «Il regime potrebbe anche indebolire alcune fazioni per portarle al tavolo delle trattative», spiega ancora Neri. «Infilarsi tra le crepe del fronte nemico sarebbe una mossa saggia da parte di Damasco, visto il prevedibile intensificarsi dello scontro tra Fsa e gruppi legati ad AlQaeda. Se lo farà o meno però dipende anche dai rapporti di forza interni al regime».

Un accordo più vasto, che possa potenzialmente porre fine al conflitto, secondo diverse fonti di intelligence resta improbabile. Troppi gli interessi in gioco, spesso contrapposti. «Scomparsa l’opzione di un intervento militare americano – spiega ancora Claudio Neri – gli attori esterni coinvolti in Siria sono attualmente in situazione di parità, nessuno può costringere gli altri a sedersi al tavolo per trovare un accordo». Preoccupa in questo senso il dispiegamento di una task force navale russa di fronte alla costa siriana. Se, come sembra, il conflitto dovesse protrarsi potrebbe “assicurare un efficiente ed inesauribile canale di aiuti alle truppe di Bashar Al-Assad e in caso di attacco dal cielo un sistema di early warning integrato con la difesa aerea siriana”, secondo quanto riporta Analisi Difesa.

Ma se anche Stati Uniti e Russia trovassero un’intesa tra di loro difficilmente potrebbero garantirne il rispetto da parte degli attori regionali interessati. «L’Iran appare molto determinato nel sostenere Assad e ancora più forte sembra la volontà dell’Arabia Saudita di ritagliarsi un ruolo appoggiando i ribelli, specie alla luce del disimpegno americano», conclude Neri. Nella diplomazia, come si è visto nella recente Assemblea generale dell’Onu, o in caso questa dovesse fallire, Teheran non sembra possa abbandonare l’alleato di Damasco.

L’Arabia Saudita – secondo alcuni documenti di analisi strategica inglesi – starebbe finanziando sia le componenti jihadiste della ribellione, sia quelle più secolari. L’obiettivo – oltre a indebolire Assad – è quello di bilanciare la forza dei gruppi legati ai Fratelli Musulmani, supportati soprattutto dal Qatar, che a fine 2012 sembravano avere il peso maggiore nell’insurrezione. Anche l’atteggiamento dei sauditi in Egitto, dove sempre più appoggiano il nuovo corso dei militari guidati da Al Sisi, pare testimoniare una marcata ostilità nei confronti della fratellanza musulmana. Nel quadro siriano il risultato finale è che anche gli attori che in teoria stanno dalla stessa parte finiscono per portare avanti interessi confliggenti.

Allo stato attuale le carte migliori sono in mano a Bashar al Assad. Senza un intervento esterno ha una sicura superiorità bellica sul campo. Se il conflitto dovesse durare ancora a lungo, in assenza della creazione di un para-Stato e di un para-esercito da parte dei ribelli, il fattore tempo remerà a favore del regime. Inoltre se, come sembra, le spaccature del fronte insurrezionista dovessero allargarsi, la dittatura potrebbe approfittarne per scomporre il campo avversario trattando una tregua con alcune fazioni e concentrando i propri sforzi militari sulle altre. In tal caso lo scenario evolverebbe in una direzione tale da consentire, addirittura, una vittoria in tempi relativamente rapidi al regime.

Twitter: @TommasoCanetta 

X