“Death Metal”, Tito Faraci “molto duro, molto cattivo”

La trama che si riassume in una frase

Tra le poche certezze che mi sono rimaste dopo anni di praticantato da lettore ce n’è una che fino a ora si è dimostrata incrollabile: ogni grande libro, per essere tale, deve nutrirsi delle ossessioni di chi lo scrive. È proprio da quel materiale magmatico, incandescente, non di rado inconfessabile se non attraverso il filtro letterario, che nasce l’urgenza della scrittura, che è poi la caratteristica che rende ai miei occhi una storia necessaria, che la giustifica, rendendola degna di inocularsi nell’immaginazione del lettore.

È proprio questa convinzione che mi permette di affermare, con ben poco timore di sbagliarmi, che Death Metal è un gran libro. Perché è letteralmente impregnato delle ossessioni del suo autore. C’è l’ossessione per il tempo, che in questo romanzo si concretizza nella rappresentazione del passaggio del protagonista – drammatico come tutti i passaggi di questo tipo – dall’adolescenza all’età adulta. C’è l’ossessione per la morte, affrontata, demistificata, quasi banalizzata e, soprattutto, fatta letteralmente a pezzi dalla prima all’ultima pagina, come nei migliori film slasher. E poi c’è l’ossessione per la musica, il metal in questo caso, un genere centrale nella vita, professionale e non, di Tito Faraci. Una presenza musicale che non si limita ad essere mera e didascalica colonna sonora del romanzo, ma che assume un ruolo fondante, decisivo, determinandone profondamente il ritmo e la struttura narrativa.

Non è un caso che lo stesso Faraci, parlando di questo suo ultimo romanzo, lo abbia più volte definito come «molto duro, molto cattivo, molto veloce. Come lo sono i pezzi death metal». Azzeccandoci in pieno. Io però a questi tre aggettivi ne aggiungerei un altro: “dopante”. Perché questo romanzo è dannatamente dopante, non si riesce sul serio a lasciarlo sul comodino. Tito Faraci infatti irretisce il lettore fin dall’attacco, senza troppi complimenti, afferrandolo per lo stomaco e trascinandolo in un vortice che, con ben poche pause, finisce soltanto all’ultima frase. Come in ogni buon fumetto che si rispetti, insomma, dove non c’è tempo per le presentazioni e bisogna iniziare subito a menare.

Anche se non ce n’era affatto bisogno, Death Metaldimostra ancora una volta che Tito Faraci nel menare – narrativamente parlando, s’intende – è un gran maestro. La sua scuola si chiama Dylan Dog, Tex, Diabolik, ma anche Topolino e PK. È proprio in quei mondi disegnati, muovendosi tra regole e paletti determinati, non di rado invalicabili, che Faraci ha imparato le regole dell’arte del narrare, o meglio, dell’inchiodare il lettore alla sedia e di portarselo dietro, usando qualsiasi arma, anche la più abietta, se servisse. Sì, perché in letteratura, come nel cortile dell’istituto dove il protagonista di Death Metal passa la prima adolescenza, non esiste la voce “colpi proibiti” e Tito Faraci, ben sapendolo, si diverte a sferrarne a più non posso, pescando dal proprio serbatoio di paure, angosce e tabù, colpendo il lettore in ogni punto sensibile, senza dare tregua e senza fare sconti.

Scrivo queste cose a ragion veduta, anche perché non sono affatto un appassionato del genere, né dell’horror slasher cinematografico, né del death metal musicale. Ma questo non è stato un limite, tutt’altro. Ritrovandomi infatti a divorare il libro in poche ore, sentendo sul collo la stretta continua del guinzaglio tenuto ben stretto dall’autore, ho avuto l’ulteriore conferma che questo romanzo è una straordinaria trappola narrativa, una trappola in cui mi sono sentito anch’io incastrato, da lettore. Forse non è un caso che a un certo punto del romanzo si legge una frase come questa: «È un come uscire da una gabbia solo per ritrovarsi in una gabbia più grande. Tutto quel paese è una maledetta trappola»

Solo ora che sono arrivato in fondo alla recensione mi accorgo di non aver ancora accennato per niente alla trama. Rimedio subito.

Si dice spesso, nel mondo del fumetto, che le storie che funzionano sul serio le si riconosce da un particolare: le puoi riassumere in una frase. Inutile dire che il trucco funziona anche con Death Metal: c’è una band metal pugliese, in ansia per il concerto più importante della propria carriera, che si perde su un furgoncino Westfalia nelle nebbie dell’Oltrepò Pavese, e poi, dal primo incontro, succede un gran casino.

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