Cade un albero in Svizzera, l’Italia resta al buio. Accade il 28 settembre 2003. Un incubo che passa quasi inosservato in Val d’Aosta, ma che si protrae per oltre un giorno nell’Italia meridionale. Solo una regione ne resta fuori: la Sardegna che, dotata di una rete elettrica propria, non viene coinvolta nel black out generalizzato. E poi ci sono delle isole qua e là, tipo Foggia e Siracusa, che continuano a ricevere energia senza che nessuno sappia spiegarsi il perché.
Quel che accade quella notte è un effetto domino imprevisto e che a raccontarlo sembra quasi inverosimile: un temporale fa cadere un albero su una linea elettrica svizzera che porta energia verso l’Italia. Il calo della tensione fa scattare il sistema d’allarme e subito la prima centrale elettrica coinvolta di mette in sicurezza e smette di funzionare. Via via, una dietro l’altra, tutte le centrali italiane, collegate tra loro, registrano il calo di tensione e si spengono. L’incidente è avvenuto alle 3.10, alle 3.30 l’Italia resta al buio. Anche in Francia e Austria si spengono alcune centrali, ma ripartono in tempi brevi. Sembra un paradosso: il buio è dovuto a un perfetto funzionamento della messa in sicurezza. Il problema che si mette in sicurezza tutto, da Bolzano a Trapani.
E poi bisogna farle ripartire, queste centrali, ma riaccenderle non è come pigiare l’interrutore di casa. Bisogna rispettare una procedura e, soprattutto, le centrali termoelettriche hanno bisogno di energia elettrica per rientrare in funzione. Questo significa che bisogna che ripartano per prime le centrali idroelettriche. Il quadro elettrico dell’Italia di dieci anni fa è questo: ci sono 2.927 impianti di produzione, 1.933 dei quali idroelettrici, ma il 71 per cento dell’energia proviene dal termoelettrico (e il 12 per cento è importato). Alcune centrali ripartono quasi subito. «Qui dopo venti minuti funzionava tutto di nuovo», ricorda con orgoglio il tecnico di sorveglianza di Soverzene, alimentata dal Piave, in provincia di Belluno.
La scintilla che riaccende l’Italia scocca nelle centrali idroelettiche della Liguria. Ma, come troppo spesso accade in Italia, mentre l’emergenza ha funzionato alla perfezione, la normalità è un caos. Nell’Italia settentrionale l’energia riprende a essere irrogata al mattino, in alcune zone del Sud invece il black out va avanti per un giorno intero.
A Roma le luci si accendono verso mezzogiorno, proprio mentre nelle chiese è in corso l’ostensione. Il Corriere della Sera ironizza scrivendo che in Vaticano ne avranno dato il merito al cattolico Gianni Letta, al tempo sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo presieduto da Silvio Berlusconi (il quale se la cava: si trova a Macherio, per festeggiare i 15 anni del figlio Luigi e i sui 67, e quindi non si ritrova a gestire l’emergenza in prima persona; il ministro dell’Interno, Beppe Pisanu, ovviamente il più coinvolto, è a casa sua a Sassari e quindi riesce a mettersi sulla tolda di comando delle operazioni di ritorno alla normalità senza dover scontare il prezzo del black out).
Lo scenario descritto dai giornali dell’epoca è da incubo. Si registrano anche quattro morti: tre anziane, tra i 72 e i 92 anni, in Puglia, e una ragazza in provincia di Treviso. Due delle anziane muoiono cadendo dalle scale, una a Locorotondo (Bari) carbonizzata a causa di una candela con la quale tentava di farsi luce. La giovane invece resta vittima di un incidente stradale provocato da un semaforo spento causa black out.
A Torino un équipe chirurgica rimane col bisturi a mezz’aria mentre sta eseguendo un trapianto di fegato (per fortuna gli ospedali hanno gruppi elettrogeni propri). I telefoni continuano a funzionare, sia la rete fissa, sia la mobile e la Protezione civile manda sms a raffica per invitare la gente a rimanersene a casa: meno male che è domenica e per i più non c’è bisogno di andare al lavoro. Le tv sono spente, i computer pure e per ricevere informazioni non resta che la cara, vecchia, radio: gli apparecchi a transistor trasmettono a più non posso e chi non ne ha uno si piazza in macchina ad ascoltare l’autoradio.
A Roma è in corso la Notte Bianca che in un istante si trasforma in notte nera, tutto piomba nel buio e nel caos di migliaia di persone che non sanno come tornare a casa.
Chi viaggia in treno deve rassegnarsi ad aspettare: sono 110 i convogli bloccati, con a bordo 30.000 passeggeri. Peggio di tutti va a chi si trova a bordo nel Torino-Palermo partito alle 16.55 di sabato e che si ferma alle 3.40 nella stazione di Capaccio Scalo, in provincia di Salerno. Apetteranno 24 ore prima di poter ripartire (ora Trenitalia ha risolto il problema abolendo gran parte dei treni notturni). Un solo convoglio non si ferma: quello organizzato dall’Unitalsi diretto al santuario mariano di Loreto, nelle Marche, che trasporta 280 malati piemontesi. Troppo facile fare dell’ironia.
Scrive La Stampa: «Il progressivo ritorno dell’energia elettrica, comunque, ha riportato lentamente la rete alla normalità. Alla stazione Centrale di Milano il primo convoglio regionale è riuscito a partire alle 7.40 con destinazione Torino. A Bologna, snodo ferroviario del centro, la circolazione ha ripreso solo alle 9.30. Sulla linea Torino-Milano-Venezia-Trieste il primo Eurostar 4490 si è messo in moto da Trieste alle 11.30. A nord di Firenze la circolazione ferroviaria è ripresa attorno alle 12.30. Più drammatica la situazione soprattutto nel Centro-Sud. A Termini durante la mattinata sono rimasti bloccati 19 convogli. E il primo intercity da Roma è partito solo alle 17.03. Nella stazione della capitale si sono riversate migliaia di persone in attesa dopo la Notte Bianca».
La vicenda avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi in tutta Europa: il black out italiano ha fatto sì che all’improvviso la Francia si ritrovasse con un surplus di 6 mila megawatt che non potevano più andare verso l’Italia. A salvare capra e cavoli ci pensa la Germania: il suo sistema elettrico in automatico fa diminuire la produzione in modo da poter assorbire l’eccesso francese. Gli esperti spiegano che la rete elettrica tedesca è riuscita ad assorbire gli choc «perché è stabile e dotata di tipologie di stabilimenti in grado di gestire le carenze e i picchi di produzione con notevole flessibilità».
In Italia, invece, la rete è molto più rigida e sotto accusa finisce il ministro delle attività produttive, Antonio Marzano che non ci sta e contrattacca, dichiarando alla Stampa: «C’è una sola via d’uscita, cioè quella di costruire nuove centrali. Chiederò al consiglio dei ministri di porre la fiducia sul disegno di legge di riforma del settore energetico». Fatto?
Twitter: @marzomagno