In un momento in cui la Cassazione sembra – ma si tratta ovviamente di una distorsione mediatica – avere occhi solo per Berlusconi, dai giudici della suprema Corte è arrivata una brutta notizia anche per Beppe Grillo. La sua condanna per diffamazione nei confronti di Giorgio Galvagno, ex sindaco di Asti e poi parlamentare Pdl, è stata confermata con ordinanza dalla sesta sezione civile e lui condannato a un risarcimento di 25 mila euro, più le spese processuali dei tre gradi di giudizio.
Cos’era successo? Nel 2003 il comico genovese, durante uno spettacolo al Teatro Alfieri di Asti, aveva detto: «Il vostro ex sindaco ha preso una tangente sulle discariche, una tangentina qua, una tangentina là… adesso l’avete spedito in Parlamento, siete buoni, e Galvagno dice cose meravigliose. Invece è un ladro, un tangentista, l’avvelenatore della città». Grillo stava facendo riferimento allo scandalo “Valle Manina” – una discarica dove venivano illegalmente smaltiti rifiuti tossici in cambio di tangenti – in seguito al quale l’ex sindaco aveva patteggiato nel 1996 una pena di 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica e omessa denuncia dei responsabili nello scandalo della discarica. Nel corso del procedimento a carico di Galvagno non erano emersi sospetti di corruzione o concussione.
Di fronte alle accuse prima Beppe Grillo ha negato. Poi, messo di fronte al resoconto di diversi testimoni, ha invocato il “diritto di satira” come causa di giustificazione. I giudici non hanno accolto la sua tesi e la condanna per diffamazione è stata approvata nei tre gradi di giudizio. Ma come funziona il diritto di satira e quali sono i suoi limiti?
In base all’ordinamento italiano ci sono delle “cause di giustificazione” che rendono lecito un comportamento altrimenti illegale. Quella più nota è la legittima difesa – è illegale picchiare qualcuno, non se ci si sta difendendo da un’aggressione – ma ne esistono altre, tra cui l’esercizio di un diritto. Il “diritto di satira” non è direttamente riconosciuto dalla legge ma è stato identificato dai giudici in via giurisprudenziale. Come il diritto di cronaca e di critica deriva dall’articolo 21 della Costituzione, che tutela la libertà di manifestazione del pensiero. Nel 2006 la Cassazione penale l’ha definito come: “Manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene”. Quindi può darsi il caso in cui il reato di diffamazione – l’offesa all’altrui reputazione – è giustificato dal diritto di satira.
Esistono tuttavia dei limiti, anche se meno stringenti che per il diritto di cronaca e di critica. Il criterio della “verità” in particolare non esiste, in quanto peculiarità della satira è la deformazione del reale come espediente per provocare il divertimento del pubblico. Anche il criterio della “continenza”, intesa come correttezza nell’esposizione, è blando. Il ricorso a espressioni colorite, o anche forti, è consentito a patto che – stabilisce la Cassazione – la satira rimanga “innocente, innocua e sorridente”. Se eccede tali limiti il comportamento è diffamatorio e quindi censurabile penalmente e civilmente. Non sono tollerati insulti gratuiti o menzogne tali da ledere la reputazione del destinatario. Il criterio su cui invece anche il diritto di satira non ammette eccezioni è la “pertinenza”. Il dileggio deve cioè essere diretto a censurare personaggi pubblici o quantomeno noti.
Nel caso di Beppe Grillo la questione è incentrata sul mancato rispetto del requisito della continenza. Come scrive in sentenza la Corte di Cassazione “uno dei limiti che la satira non può travalicare concerne proprio, come nel caso di specie, l’attribuzione ad altri di un fatto illecito”. Aver accusato Galvagno di aver preso mazzette, quando dal processo relativo non è mai emersa una simile verità, è diffamante e la giustificazione “si faceva della satira” dunque non può reggere.
Ora che Grillo è sceso in politica non potrà comunque più invocare il diritto di satira per giustificare le sue invettive. Il contesto non è più evidentemente quello di spettacoli comici (anche se molto nell’allestimento dei comizi e nel comportamento dell’ex comico lo farebbero credere) e la finalità delle sue parole non è suscitare il riso ma prendere voti.
Twitter: @TommasoCanetta