«Il contribuente italiano non spenderà un euro per la rimozione della Concordia». Lo ha affermato in audizione alla Commissione Ambiente della Camera il Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, lo ha ribadito, a rotazione avvenuta, Michael Thamm, amministratore delegato di Costa Crociere: il conto delle spese per togliere dal Giglio la Concordia (oggi calcolate intorno ai 600 milioni di euro) potrebbe anche gonfiarsi, ma a pagare tutto sarà il privato.
A confermarlo è anche una voce super partes: «La copertura garantita dai Clubs dell’International Group per questo genere di rischi (rimozione di un relitto) non prevede alcun massimale, di norma esistente solo per rischi ambientali (1 miliardo di dollari) e per i danni a passeggeri ed equipaggio (3 miliardi di dollari)» spiega infatti a Linkiesta Filippo Fabbri, manager di PL Ferrari, uno dei maggiori broker di assicurazioni P&I (protection & indemnity, ndr) attivi in Europa.
La responsabilità civile per danni a terzi nel settore marittimo è tradizionalmente appannaggio, quanto a coperture assicurative, dei P&I Clubs, società mutualistiche fra armatori nate proprio allo scopo di unire le forze per garantire i membri delle stesse da rischi di questa tipologia, potenzialmente causa di rimborsi particolarmente gravosi. I 13 principali Clubs del mondo fanno poi parte dell’International Group, organizzazione con finalità riassicurative. Nel caso di Costa Concordia il Club più esposto – ma ve ne sono altri coinvolti – è lo Standard Club di Londra. «È possibile che Costa Crociere debba partecipare alle spese di rimozione nel caso sia prevista dal suo contratto una franchigia, ma non v’è dubbio che i Clubs siano attrezzati per coprire le spese di rimozione, quale che sia la cifra finale» conclude Fabbri.
Tornando alla domanda principale, cioè se il contribuente rischi di “pagare” per la rimozione della Concordia, la risposta è dunque negativa per quanto riguarda la spesa diretta. Tuttavia l’operazione potrebbe avere spiacevoli effetti per gli italiani, derivanti dallo sciacallesco balletto politico scatenatosi intorno al relitto e alla sua destinazione. Sicuramente, ad esempio, sul bilancio pubblico graveranno gli oltre 100 milioni garantiti per Decreto al porto di Piombino per un ampliamento propedeutico ad accogliere e smantellare la Concordia.
Una vera e propria prova di abilità politica del governatore toscano Enrico Rossi, capace di spacciare per un coercitivo e rivoluzionario provvedimento europeo ciò che è solo una proposta di regolamento comunitario mirato, più modestamente, ad incentivare un miglioramento delle condizioni lavorative e ambientali dei cantieri navali dove oggi vengono demolite tutte le navi del mondo (in Cina, Bangladesh, Pakistan e India), e di ottenere così una pioggia di finanziamenti pubblici per creare dal nulla, in uno scalo di mediocre interesse nazionale, un’industria non sense. Il tutto, ad abundantiam, assicurando che i lavori (dragaggio dei fondali dagli attuali 7-8 metri a 13 o 16 a seconda delle zone, allungamento delle banchine da 2,3 a 5,7 chilometri e ampliamento delle aree portuali utilizzabili da 300.000 mq a oltre 1 milione), che non sono nemmeno stati appaltati, finiranno in tempo per l’arrivo della Concordia, previsto in primavera.
Il brutto, per il contribuente, è che Rossi, invece che subire ecumeniche critiche, ha trovato una congerie di emuli/concorrenti in pressoché ogni parte d’Italia, come dimostrano le pretese avanzate in sedi squisitamente politiche (e trionfalmente rilanciate urbi et orbi da una stampa a dir poco distratta) da Civitavecchia, Napoli, Palermo, Genova e persino Porto Torres. Un’epidemia di svergognata idiozia, che non tiene conto di dati elementari come il pescaggio del relitto (18 metri dopo il rigalleggiamento, nessuno di questi scali ha fondali simili), le sue condizioni di trasportabilità (tutte da verificare), la dotazione nei suddetti scali di bacini di carenaggio adatti (solo a Palermo) o quantomeno di banchine sufficienti per lunghezza e spazio retrostante, la presenza di aziende navalmeccaniche adeguatamente strutturate. Per non dire della totale superficialità giuridico-amministrativa ed economica sul tema rottamazione navale.
Intanto – lo ha rivelato Gabrielli – Costa, che ufficialmente tace, ha già opzionato la Vanguard della compagnia olandese Dockwise, nave autoaffondante in grado di caricare la Concordia (previa verifica delle condizioni del relitto) e trasportarla in sicurezza in ogni parte del mondo. Anche in Turchia, dove esistono già cantieri specializzati nella demolizione navale e non occorre costruirne di nuovi a spese del contribuente, per le cui tasche l’unico rischio scaturisce dalla sete di fondi pubblici e slogan elettorali dei suoi rappresentanti politici.
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PRECISAZIONE
dell’Ufficio stampa Dipartimento della Protezione Civile
Egregio Direttore,
si conferma quanto detto più volte in questi mesi dal Capo del dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli, da ultimo nei giorni scorsi al Giglio: per la rimozione della Costa Concordia dalle acque dell’isola non verranno spesi soldi pubblici. Tutto è a carico della parte privata, anche il costo degli straordinari delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile che sono intervenute nelle prime fasi dell’emergenza per le attività di ricerca dei dispersi.
Nell’articolo a firma di Andrea Moizo voi associate due argomenti che devono, invece, rimanere separati poiché nessuna norma li lega: un discorso sono le attività di rimozione della Concordia, altro le opere per il porto di Piombino. Le prime, infatti, sono oggetto dello stato di emergenza dichiarato dal Consiglio dei Ministri il 20 gennaio 2012 e della successiva Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3998 che non parla in alcun modo della fase di smaltimento della nave; le seconde, invece, rientrano in quanto previsto dal decreto legge n. 43 del 26 aprile 2013 che ha riconosciuto l’area industriale di Piombino quale area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nella legge n. 134/2012. In nessuna parte del testo del decreto legge n. 43, infatti, viene citata l’emergenza legata al naufragio della Concordia: gli interventi che devono essere realizzati sono indipendenti da quest’ultima, ma se il porto, nel momento in cui la nave verrà portata via dal Giglio, sarà pronto per accoglierla vorrà dire che si potranno far coincidere le cose.