Mentre il rottamatore Matteo Renzi se la ride insieme con lo stilista Roberto Cavalli a Milano, tra la bella Afef e il frizzante Enzo Iacchetti, a Foligno finisce agli arresti domiciliari per associazione a delinquere, corruzione e abuso d’ufficio Maria Rita Lorenzetti, tessera di peso nel Partito Democratico. Per gli ex comunisti italiani non è un nome qualunque quello dell’ex governatrice della regione Umbria dal 2000 al 2010, ora presidente di Italferr, società pubblica di ingegneria di Ferrovie dello Stato. E qualcuno, in via del Nazareno, già prevede ripercussioni sul prossimo congresso dei democratici, con un ulteriore spostamento del pendolo a favore di Renzi.
Perché Maria Rita Lorenzetti, detta anche «Mozzarella» o «Meryl Streep», passa alla storia della politica italiana come la «colonnella» di ferro o la «zarina» di Massimo D’Alema, soprattutto di tutto quel mondo Pci-Ds che in questi anni è finito spesso alla sbarra, tra appalti poco chiari, l’architetto di turno, le cooperative rosse, i presunti casi di corruzione, i fondi neri, le vicende Unipol, la scalata Telecom e da ultimo lo scandalo Mps. Fu Bersani a bloccare la sua ricandidatura in regione Umbria nel 2010, preferendole Catiuscia Marini.
I magistrati sono convinti che anche lei facesse parte di una «banda» di 31 persone, tra imprenditori, politici e manager di Italferr, Rfi e Coopsette – società colme di ex esponenti del Pci e decapitate ai vertici – che avrebbe lucrato sul tratto fiorentino della Tav e avrebbe ottenuto persino appalti dopo il terremoto dell’Emilia: questi ultimi sarebbero stati destinati a Domenico Pasquale, socio fondatore della studio di architettura Cooper Studio, ma soprattutto marito della Lorenzetti.
È questa la fotografia del Partito Democratico alle prese con i problemi quotidiani di dialettica interna, tra correnti, la data incerta per prossimo congresso e il sostegno al governo Letta con il Pdl di Silvio Berlusconi. La vicenda, però, questa volta, rischia di travolgere nei prossimi mesi tutta l’ala «sinistra» del Pd, in particolare quelli che sostennero Bersani alle precedenti primarie. Come spiega un esponente di spicco dei democratici, area dalemiana, «l’arresto della Lorenzetti è l’ennesima zavorra per la candidatura di Gianni Cuperlo sostenuto da D’Alema e Bersani: Renzi potrà ribadire di non avere a che fare con “quell’altro mondo”».
La questione, infatti, è appunto «l’altro mondo». Quello della vecchia nomenklatura diessina, delle fondazioni, di coop e appalti, che il sindaco di Firenze ha stigmatizzato in questi anni, attaccando prima Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano – ex braccio destro di Pierluigi Bersani, finito pure lui nel turbine della magistratura per l’ex area Falck di Sesto San Giovanni – e colpendo poi i vertici Ds durante le precedenti primarie per la «scalata Telecom e lo scandalo Mps di Giuseppe Mussari».
L’arresto della Lorenzetti altro non è che un nuovo capitolo di una saga che ormai continua da anni. E che ha visto, oltre al caso Penati, le vicende di Franco Pronzato in Enac o Lino Brentan in «Autostrada Padova Venezia», senza poi contare il caso di Sandro Frisullo nella sanità pugliese. E tra i più maligni c’è chi ricorda pure i casi di Claudio Burlando e Vasco Errani, poi archiviati o finiti nel dimenticatoio. Persino Gad Lerner, giornalista, tessera democratica, molto vicino all’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, non ha perso tempo a pubblicare un commento sul suo sito: «Non smetteremo mai di chiedere ai dirigenti del Pd di quest’area politica di procedere a un discorso di verità, senza reticenze, sulle commistioni improprie fra corrente politica, pubblica amministrazione e mondo delle imprese». Sanità, infrastrutture, fondazioni opache e intrecci con le cooperative: il mondo ex Ds ha affrontato in questi anni un vero e proprio tsunami.
La Lorenzetti era già finita negli anni passati in un’indagine sulla sanità in Umbria, da cui si era difesa, come peraltro sta facendo in questo momento. Questa volta, però, i magistrati temevano la reiterazione del reato. Per questo l’hanno arrestata, con intercettazioni che rischiano di deflagrare nei prossimi giorni. In ogni caso, parla di «nessuna nuova prova» rispetto all’avviso di garanzia del gennaio scorso, l’avvocato Luciano Ghirga. Eppure con il congresso del Pd alle porte, nel tritacarne mediatico-giudiziario rischia di finire «lo zoccolo di potere» che per decenni ha gestito la regione Umbria, con le sue diramazioni in Toscana, Emilia Romagna e Liguria. Insomma, in via del Nazareno, sostengono che ormai a Renzi «basterebbe stare fermo per vincere».