Le strategie del Papa per bloccare la guerra in Siria

Un terzomondismo non occidentalista

L’iniziativa diplomatica del Papa per fermare il conflitto in Siria è entrata nel vivo. Francesco ha scritto al presidente russo Vladimir Putin in occasione dell’inizio del G20 a San Pietroburgo rivolgendo un appello alla comunità internazionale affinché compia ogni sforzo nella direzione dell’apertura di un negoziato per risolvere il conflitto. Contestualmente gli ambasciatori presso la Santa Sede sono stati convocati in Vaticano per rendere nota la posizione della Santa Sede sulla crisi siriana.

Il Papa chiede in particolare che vengano abbandonati gli interessi di parte, in forza dei quali i massacri continuano, e che da parte di tutti i protagonisti si abbandoni ogni pretesa di risolvere la crisi attraverso la guerra. Ancora il Pontefice chiede che la comunità internazionale porti ogni aiuto umanitario alla popolazione in fuga dal conflitto. In merito alla Siria, Francesco scrive: «Purtroppo, duole costatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». Quindi aggiunge: «I leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace».

«A tutti loro, e a ciascuno di loro – scrive Bergoglio – rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare. Ci sia, piuttosto, un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale». «Inoltre – conclude il Pontefice – è un dovere morale di tutti i Governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese».

Poi il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, illustrando alla stampa l’iniziativa della Santa Sede, ha smentito recisamente che vi sia stata una telefonata del Papa al leader del regime siriano Bashar al Assad. Allo stesso tempo però ha chiarito che per ogni eventuale contatto o iniziativa la Santa Sede «ha i suoi nunzi, e il nunzio in Siria (monsignor Mario Zenari, ndr) rimane fedelmente al suo posto a Damasco e svolge il suo compito di rappresentante della Santa Sede. può quindi spiegare quale sia la posizione del Vaticano».

Il ministro degli esteri vaticano monsignor Dominique Mamberti ha poi precisato alcuni aspetti della posizione della Santa Sede sulla Siria ai diplomatici accreditati in Vaticano. In particolare ha spiegato che la cessazione delle violenze è premessa per l’inizio dei negoziati, quindi ha sottolineato che va preservata l’unità territoriale del Paese senza dividerlo in enclave etniche; quindi ha ribadito l’importanza del rispetto di tutte le minoranze, della libertà religiosa, della tutela dei cristiani e della parità fra tutti i cittadini a qualsiasi gruppo o minoranza appartengano. Mamberti ha ricordato che in Siria ci sono stati fino ad ora 110mila morti , 4 milioni di sfollati interni e due milioni di profughi. Quindi il ministro degli esteri vaticano ha ancora messo in luce l’importanza del rispetto “del diritto umanitario”. Infine l’appello ai gruppi di opposizione a prendere le distanze dai fondamentalisti la cui presenza è cresciuta nel corso del conflitto. 

Articolo in aggiornamento

Papa Bergoglio sta giocando anche lui la sua partita politica nella crisi siriana. Dietro l’appello al digiuno e la preghiera per sabato prossimo, infatti, la Santa Sede prova a rilanciare il proprio ruolo sulla scena internazionale e lo fa attraverso una netta presa di posizione contro l’intervento militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Non solo: il Vaticano sta tentando dietro le quinte una mediazione diplomatica fra Damasco e Washington per scongiurare i bombardamenti americani e frenare le azioni militari sul terreno del regime di Assad. D’altro canto, con una guerra già in corso e decine di migliaia di morti, Francesco non si poteva limitare a chiedere lo stop agli Usa. Secondo il quotidiano argentino Clarìn c’è anche di più. Sergio Rubin, biografo e amico del Pontefice, Bergoglio avrebbe contattato personalmente Assad (il Vaticano ha però smentito, ndr) per chiedere una riduzione degli attacchi mentre la Santa Sede si sarebbe mossa pure nei confronti della Casa Bianca per rallentare i tempi dell’intervento aereo; in questo senso starebbero agendo non solo pubblicamente ma anche in modo informale i vertici della Chiesa statunitense. In ogni caso, nei sacri palazzi, fanno sapere «che si muovono molte cose ma la Santa Sede è abituata ad agire riservatamente in circostanze come queste».

Fra l’altro proprio per giovedì mattina il Vaticano ha convocato tutti gli ambasciatori accreditati Oltretevere per spiegare le ragioni dell’appello del Pontefice e in qualche modo ergersi a capofila degli anti-interventisti. Nelle stesse ore a San Pietroburgo inizierà il G20 durante il quale è assai probabile che anche la crisi siriana venga trattata, magari dietro le quinte. Nell’occasione Obama e Putin potrebbero provare a cercare un punto un’intesa, forse un progetto di spartizione del Paese; intanto Mosca – che pure manda navi militari nel Mediterraneo – ha sospeso la consegna dei missili S 300 al regime di Damasco, il che è parso ad alcuni osservatori un gesto concreto di disponibilità verso il negoziato; certo è che per ora non si fermano i preparativi per l’attacco aereo. Nel frattempo la Chiesa si mobilita dal Medio Oriente all’Europa per dire no alla guerra. Di fatto la posizione della Santa Sede è andata a confrontarsi con quella dell’amministrazione della Casa Bianca che per altro è in attesa del voto del Congresso, voto non scontato.

A lanciare il “no pasaran” contro l’America è stato nelle ultime ore il Superiore generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolàs, che sulla rivista Popoli, ha affermato: «Per me è molto difficile accettare che un Paese che si considera, almeno nominalmente, cristiano in una situazione di conflitto non possa concepire altro che l’azione militare e con essa portare il mondo nuovamente alla legge della giungla». La decisione di Stati Uniti e Francia di procedere con l’azione militare viene definita “oltraggiosa”, «ci spaventa la barbarie verso ci siamo condotti», spiega ancora il religioso che a nome dell’Ordine dà sostegno pieno al Papa.

Il Segretario di Stato americano John Kerry sarà a Roma domenica prossima per incontri sul negoziato israelo-palestinese con i rappresentanti della Lega araba, ma finora non vi è traccia di un colloquio con il Pontefice nell’agenda vaticana, anche se in momenti di crisi particolarmente grave decisioni di questo tipo possono essere prese anche nelle ultime ore. Ancora è da rilevare che gli Stati Uniti non hanno ancora nominato un nuovo ambasciatore presso la Santa Sede; dopo la partenza di Miguel Diaz – l’ultimo rappresentante di Washington – e la rielezione di Obama, è sembrato che la Casa Bianca non avesse troppa fretta. È anche vero che nel frattempo c’è stato un conclave, ma il problema esiste.

D’altro canto la preoccupazione vaticana di queste ore ha varie facce, una delle quali è la sopravvivenza delle sempre più sparute comunità cristiane nel Medio Oriente. Da diverso tempo queste ultime si stanno assottigliando per ragioni anche economiche e sociali, ma certo gli ultimi tre anni di rivoluzioni, guerra e caos ancora drammaticamente in corso, non hanno fatto che accelerare la partenza di centinaia di migliaia di persone fra cui molti cristiani. E a testimoniare che questo sia uno dei nodi cruciali per la Santa Sede, ci sono alcuni elementi. In questi giorni si tiene ad Amman, in Giordania, una conferenza sui problemi delle chiese e dei cristiani arabi, per la Santa Sede è presente fra gli altri un diplomatico esperto e di lungo corso come il cardinale Jean-Louis Tauran.

In questo contesto va ricordato che solo pochi giorni fa re Abdallah II di Giordania ha incontrato il Papa a Roma, il sovrano è poi intervenuto mercoledì alla conferenza sottolineando il dovere di difendere i cristiani nei conflitti religiosi che attraversano il Medio Oriente, in quanto «i cristiani arabi hanno esercitato un ruolo chiave nella costruzione delle società arabe e nella difesa delle giuste ragioni della nostra nazione». Il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, monsignor Giorgio Lingua, ha delineato poi una prospettiva nella quale i cristiani non siano più solo delle «minoranze» magari difese dal regime di turno ma ai margini della vita del Paese; ha invece proposto un modello ma nel quale essi siano considerati cittadini – iracheni, libanesi, siriani palestinesi – a tutti gli effetti, fratelli arabi come gli altri ma di un credo diverso. È il tentativo di far uscire le comunità da un senso di minorità storico che le costringe a cercare protettori di volta in volta diversi.

D’altro canto un altro gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, per 30 anni in Siria e di recente rapito dai gruppi armati fondamentalisti che operano nel conflitto, si è battuto a lungo contro il regime di Assad denunciandone i crimini, da ultimo però aveva inviato una petizione al Papa nella quale oltre a chiedere un’iniziativa diplomatica di Francesco, metteva in luce il ruolo ambiguo svolto dai vertici ecclesiastici nel Paese e parlava della «forte e strumentale implicazione delle Chiese nella manipolazione menzognera sistematica di regime», un fatto che «non può non esigere una reazione cosciente e responsabile da parte della Chiesa cattolica e dunque del Papa di Roma».

Il quadro insomma è assai complicato, ma Bergoglio ha fatto comunque le sue mosse. Francesco in tal modo si sgancia dall’”occidentalismo” come pure fece Wojtyla all’epoca della guerra in Iraq, e tuttavia allora l’alleanza fra Santa Sede e Stati Uniti aveva radici solide derivanti dal comune impegno nella battaglia contro il comunismo. Gli scenari sono completamente mutati: non c’è lo scontro di civiltà evocato da George W. Bush e la guerra in Siria ha già consumato innumerevoli vite. Bergoglio però può provare ad assumere comunque una leadership terzomondista e multipolare approfittando di un mondo inquieto alla ricerca di nuovi equilibri.  

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter