Il miglior vino d’Italia? Il Brunello di Montalcino Riserva 2007 Poggio di Sotto. Si sa che qualsiasi classifica – del wine & food in particolare, visto che ormai siamo tutti sapientoni – è discussa e discutibile. Ma quella del Best Italian Wine Award (Biwa) lo è meno di altre. Primo per l’indipendenza: non ci sono sponsor vinicoli, guide o associazioni a influenzarne il risultato. Secondo per la composizione della giuria: tre esperti italiani e tre stranieri (anche questa è un’ottima idea) che per tre giorni si sono messi insieme, intorno a un tavolo, ad assaggiare i vini. Terzo per il sistema di voto: pura somma aritmetica, non infallibile ma la migliore per dare una valutazione su un numero elevato di concorrenti (quasi 300 vini). Ecco perché il podio non poteva che essere nobilissimo: dietro il vincitore, si sono classificati il Barbaresco Asili Vecchie Vigne Roagna e l’Oreno 2010 Sette Ponti. Tre eccellenze tali da impedire l’ingresso nella top-three – per un soffio – a uno dei più grandi Metodo Classico in assoluto: il Ferrari Giulio Riserva del Fondatore 2002. Primo comunque tra gli spumanti.
Detto che i 50 migliori escono da cantine di ben 12 regioni, i numeri evidenziano la superiorità del Piemonte: 21 vini tra cui 11 Barolo e 2 Barbaresco. Poi ci sono 8 vini toscani, 4 a testa per Marche (sorpresa) e Friuli, 2 per Lombardia, Abruzzo, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Veneto, uno per Sardegna, Puglia e Campania. «Un risultato che non deve sorprendere, il Piemonte vanta grande tradizione e cantine che non si cullano sugli allori – spiega Andrea Grignaffini, direttore creativo di Spirito di Vino, che insieme a Luca Gardini, campione del mondo sommelier 2010, è l’ideatore del Biwa – se aggiungiamo che il Nebbiolo è il vitigno più rappresentativo dell’enologia italiana, ecco spiegato perché i Barbaresco e i Barolo che lo usano in purezza al 100% sono protagonisti assoluti della nostra classifica».
Considerando che la giuria ha “eroicamente” assaggiato di tutto e di più, sicuramente è accreditata a dare un giudizio generale sul movimento del vino tricolore. Si dice che mai come adesso si possa bere bene nel nostro Paese. «Sono d’accordo, aggiungo che l’esperienza accumulata e la prassi enologica fanno sì che ci vuole ingegno per fare un vino non buono – sottolinea Grignaffini – ci sono grandi cantine e grandi etichette in ogni regione. E bisogna ammettere che la nouvelle vogue biologica e biodinamica, magari criticabile per alcuni aspetti, sta dando un contributo importante al sistema. Si può solo migliorare negli anni a venire, cercando maggior considerazione all’estero dove il Biwa sta lavorando per farsi conoscere e far conoscere l’Italia del vino».
Un discorso a parte va fatto per i prezzi. Luca Gardini – vulcanico romagnolo portato alla provocazione – sostiene che uno degli obiettivi del Biwa è quello di indicare al “popolo” quali sono i vini da bere, invitando al tempo stesso le cantine a realizzarne di qualità ma a costi competitivi. In realtà, i tre vini sul podio sono disponibili a 80, 100 e 50 euro rispettivamente. Come la mettiamo? «Semplice, oggi si può bere bene anche spendendo meno di cinque euro a bottiglia per alcune tipologie: il Lambrusco è forse il miglior esempio – mette a fuoco Grignaffini – ma se puntiamo all’eccellenza non è pensabile una spesa bassa: è sempre stato così e sarà sempre così».
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