Portineria MilanoNel Palazzo cresce il malumore contro Napolitano

La solitudine del Quirinale

«Meno male che Giorgio c’è» consigliava di cantare Silvio Berlusconi a Barbara D’Urso su Canale 5 dopo la rielezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica. Accadeva cinque mesi fa, sembra passato un secolo. C’è infatti una verità non dichiarata nella crisi che sta attraversando il governo Letta, dopo la rottura del Cavaliere con le “dimissioni irrevocabili” dei ministri del Pdl dall’esecutivo: il progetto delle larghe intese del Capo dello Stato è praticamente naufragato. In questi giorni di passione per la politica italiana c’è chi a destra e sinistra ha iniziato a mugugnare contro lo storico ex dirigente Pci, mostra dubbi su com’è stata gestita la crisi e fatica ad esprimere solidarietà a “Re Giorgio” per l’ennesima grana scoppiata in questa delicata fase della vita politica ed economica italiana.

Anzi, c’è chi chiede di andare direttamente alle urne. Ricordandoche proprio Napolitano aveva promesso che in caso di fallimento di questo governo si sarebbe dimesso. A testimoniare il cambio di passo non è solo il calo di fiducia nei sondaggi, dato che Napolitano è passato dal 60% prima dell’estate all’attuale 47% secondo Swg. Sono soprattutto gli appelli di Berlusconi contro «la sinistra giudiziaria che vuole eliminarmi», – riferimento nemmeno troppo velato al capo del Consiglio Superiore della Magistratura -, insieme alle bordate di Beppe Grillo, leader del Movimento Cinque Stelle, che gli ha augurato di finire “ai domiciliari”, a indicare che un’esperienza potrebbe chiudersi in anticipo, magari appena riformata la legge elettorale e votata la legge di stabilità.

E pensare che la scorsa settimana il Capo dello Stato si era commosso ricordando alla Bocconi di Milano l’amico economista Luigi Spaventa, arrivando persino a raccontare della solitudine che lo circonda in questi giorni. «Quanto più tu abbia la ventura di inoltrarti, in età avanzata nel tuo percorso di vita, tanto più avverti il vuoto di quelle che sono state presenze assai care, venute meno via via, nel corso degli anni». Delusione per la politica certo, ma pure una diversa considerazione da parte della politica e dei cittadini rispetto al tentativo di salvare l’Italia con un governo di larghe intese.

Lo stesso fuori onda di Berlusconi a piazza Pulita  – nel giorno in cui il Cavaliere ha dichiarato terminata l’esperianza del governo Letta – non lascia più spazio all’immaginazione. «Tu non riesci ad avere nessuna informazione su quello che è successo alla sezione civile della Cassazione per il lodo De Benedetti? Mi è stato detto che il Capo dello Stato avrebbe telefonato per avere la sentenza prima che venisse pubblicata», domanda Berlusconi in una telefonata con un parlamentare del Pdl, mentre veniva intervistato per la trasmissione ‘Piazza pulita’. È il segnale che l’idilio è terminato. Da presidente equilibrato e super partes, per il Cavaliere condannato l’inquilino del Colle, avrebbe ripreso le sembianze del pericoloso comunista.

Non bastasse, si è formata una strana alleanza, che svaria dalla magistratura ai grillini, da pezzi del Partito Democratico fino appunto alla destra berlusconiana, che in queste ultime settimane sembra sempre più premere sul Colle per le dimissioni anticipate. Fantapolitica? Nei palazzi romani c’è chi fa notare che il prossimo anno va a rinnovo il Consiglio Superiore della Magistratura. Le toghe scalpitano e c’è chi preme per uno tsunami interno ai palazzi di giustizia, per rimescolare le carte e modificare un equilibrio che vige ormai da otto anni.

Del resto Marco Travaglio, editorialista del Fatto Quotidiano, da sempre sostenitore delle istanze delle toghe, continua a bombardare dalle colonne del suo giornale il Capo dello Stato, un giorno sì e l’altro anche. Non solo. Il risentimento di una parte della magistratura verso Napolitano si annida pure nel malumore per la presunta “trattativa” di questi mesi con Berlusconi, per le voci di una “grazia” in arrivo per il Cavaliere e per le continue bacchettate sui magistrati “politicizzati”. Paradossale, no? Attaccato dalla galassia dei berluscones e, all’opposto, dai loro più strenui avversari.

Oltre alle toghe, il cambio di atteggiamento nei confronti del Capo dello Stato ha iniziato ad emergere pure nel Partito Democratico. Vecchi rancori incominciano a venire a galla. Romano Prodi, ex presidente del Consiglio, tace rispetto alla crisi. C’è chi tra i suoi auspica che in caso di dimissioni di Napolitano possa essere proprio lui il nuovo presidente della Repubblica. Allo stesso tempo mugugna Matteo Renzi, il sindaco rottamatore di Firenze, che oltre a essere scomparso dalla scena politica, ha spesso rimproverato al Colle di non aver preso in considerazione la sua candidatura per un governo di larghe intese.

Idem per Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd, uscito con le ossa rotte dopo il tentativo di costruire un esecutivo con i grillini del Movimento Cinque Stelle: alcuni bersaniani sostengono che sia stato anche Napolitano a non favorire il dialogo con Grillo. Con un presidente come il presidente Stefano Rodotà, dicono, sarebbe andata probabilmente meglio. Lo stesso comico genovese ha le idee chiare sul Colle. Sono finiti i tempi del dialogo, di Grillo in cravatta con foto di rito nel cortile del Quirinale, ora c’è lo scontro e la richiesta di dimissioni immediate. Siamo bruscamente tornati ai tempi di Napolitano-Morfeo, da mandare “ai domiciliari” con il Nano di Arcore…

E infine c’è il centrodestra. Se Berlusconi ha deciso di spaccare è perché, come gli hanno riferito in tanti, da Niccolò Ghedini a Daniela Santanché, la magistratura sarebbe pronto ad arrestarlo. Il Cavaliere si aspettava di più da parte di Napolitano, ma non ha ottenuto le protezioni che aveva richiesto. Dall’altro lato, l’ex ministro dell’Interno, ha forse sottovalutato l’ex presidente del Consiglio, pensando che non «fosse più un pericolo per il Paese». Invece adesso siamo arrivati allo scontro finale. Se Berlusconi riuscirà a portare tutti al voto, sarebbe il flop di Napolitano. E in Transatlantico c’è chi scommette sulle dimissioni, forse prima del 2014. 

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