Matteo Renzi lo ripete spesso: «Il renzismo è una malattia». Come dargli torto. Perché tra i problemi delle ultime settimane in vista del congresso si è aggiunto un altro nodo gordiano da sciogliere per il sindaco rottamatore: la corrente renziana continua a ingrossarsi e non si riesce a gestire. Dalla Lombardia alla Sicilia è un ribollire di anime in cerca di un rotta. E tra gli ultimi arrivati ci sono i cosiddetti «renziani Cocoon» – riferimento al film di Ron Howard dei 1985 dove i vecchietti che si buttavano in piscina ringiovanivano – è iniziato a circolare un certo malessere. In molti, abituati al vecchio apparato Ds, dalemiano-bersaniano-prodiano, si sono accorti che non esiste una classe dirigente intorno a Renzi. Per dirla come il filosofo democrat Massimo Cacciari, un po’ brutale «Renzi dietro non ha un partito e per la sua cultura pensa di poter fare il premier senza partito, ma non esiste».
E se il primo cittadino fiorentino ha spesso ricordato che a uno come Michael Jordan – indimenticabile stella del basket americano – serviva il gioco di squadra, al momento dalle parti di Firenze, riconoscono in tanti, «la palla gira invece molto poco». «Un solista», insomma, viene sempre più spesso definito «Matteo», che confida soprattutto nel suo cerchio magico, dove spiccano i nomi di Simona Bonafè e Angelo Rughetti. Il resto della truppa, per dirla come un democrat «appare come una maionese impazzita» che varia da ex populisti (vedi il sindaco di Bari Michele Emiliano) a ex Radicali (come Roberto Giachetti) fino ai Verdi (Ermete Realacci) o ai popolari (Dario Franceschini).
Del resto, il continuo allargamento della base renziana potrebbe causare diversi problemi proprio in vista del congresso. Renzi ribadisce sovente pure questo concetto: «Chi vuole salire sul carro sappia che possiamo fermarlo prima di salire». L’arrembaggio potrebbe infatti scatenare due fronti. Il primo è la difficoltà a trovare nuove tessere e rappresentanza sul territorio. «All’inizio chi sosteneva Renzi aveva creato una sorta di comitato elettorale, da Adesso! alla Fondazione Big Bang – spiega un renziano milanese –. «Ora invece servono le tessere, servono tesserati per vincere il congresso. E nessuno vuole mettersi d’accordo. Siamo fermi. Anche perché continuano a entrare nuove persone: non si sa da dove partire».
Il secondo punto spinoso sono invece gli incarichi. Dalla prossima assemblea dovrebbe uscire un regolamento che prevede unalista unica di appoggio al candidato. Qualcuno ha storto il naso, perché con più liste ci sarebbe stato più spazio per tutti. A quel punto saranno scelti i nomi dei candidati per l’assemblea, sia regionale sia nazionale. E chi inserirà Renzi nella lista unica? I renziani della prima ora? Quelli della seconda? Oppure persone d’esperienza come Piero Fassino o Paolo Gentiloni?
I primi che si avvicinarono a Renzi furono soprattutto i veltroniani, da Enrico Morando a Giorgio Tonini, convinti che il rottamatore potesse seguire nel solco dell’opera di Walter Veltroni. Ma a quel gruppo di primi renziani – siamo ai tempi della Leopolda del 2010 per intenderci – apparteneva pure un pezzo da novanta del Pd come l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che poi si è smarrito la strada.
C’era persino Giuseppe Civati, detto Pippo, che invece adesso è candidato alla segreteria e non smette di criticare Renzi appena gli è possibile. E di quelli che appoggiarono il sindaco di Firenze agli albori ce n’erano molti altri che negli ultimi mesi si fanno vedere sempre di meno in giro, dall’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori fino a Giuliano Da Empoli, ex assessore alla Cultura di palazzo Vecchio, entrambi ai margini in questo periodo. E secondo i «maligni» già rottamati dal rottamatore.
Dopo le primarie perse contro Pierluigi Bersani, dopo il flop della formazione di governo con il Movimento Cinque Stelle, intorno a Renzi ha iniziato a radunarsi una parte forze bersaniane dell’Emilia Romagna, ma soprattutto pezzi di ex popolari come appunto Franceschini. Poi altro pezzo da novanta è il sindaco di Torino Piero Fassino, che dovrebbe assicurare una buona fetta di tesserati. Ma soprattutto è arrivato Rughetti, un uomo «struttura» che fa dell’Anci – dove è uomo di peso – l’architrave portante delle sue politiche sul territorio. Insieme con lui si segnala il ministro Graziano Del Rio.
Quindi c’è Michele Emiliano, sindaco di Bari, uno che fino a sei mesi fa stava con Civati, ma che poi ha cambiato casacca. Non è un caso, fanno notare al Nazareno, che Renzi abbia annunciato che la sua prima uscita nazionale in vista del congresso sarà proprio nel capoluogo pugliese, dove danno in avvicinamento al rottamatore anche il segretario Sergio Blasi.
In Lazio ci sarebbe, oltre a Realacci e Giachetti, il timido appoggio del potente Goffredo Bettini, che al momento resta ancora in un limbo. In Sicilia la situazione non è delle migliori, anche perché a parte Enzo Bianco e Leoluca Orlando, il renzismo non è ancora riuscito a sfondare. O meglio, lo sta facendo e lo ha fatto soprattutto tra gli ex Dc e nel Popolo della Libertà, che con il Pd hanno sempre molto poco a che vedere. In sostanza, in questo mare magnum di renziani, c’è il rischio che siano proprio loro a rottamare il rottamatore.
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