Se il governo Letta sembra sempre più quello di Monti

La bussola politica

Avvolto dalle contraddizioni della sua stranissima maggioranza, il governo politico di Enrico Letta assomiglia sempre di più al governo tecnico di Mario Monti. Anche la grande coalizione, all’interno della quale pure siedono ministri tesserati nel Pd e nel Pdl, si presenta ogni giorno di più come un governo senza genitori, strattonato da una stanca logica elettorale: non è il governo del Pdl ma non è nemmeno quello del Pd e dunque, come nella fase finale del governo Monti, anche l’esecutivo di Enrico Letta sopravvive pericolosamente, si trova al centro della linea di tiro d’una politica confusa e agitata da troppi e disordinati interessi.

Non solo. Come Monti, anche Letta è il custode d’una speciale ortodossia nella gestione dei conti pubblici e, più di Monti, che pure s’era lanciato in uno sforzo di riforme strutturali (il lavoro e le pensioni), il compito della grande coalizione sembra essere quello di mantenere lo status quo, la stabilità a tutti i costi, anche al prezzo dell’immobilismo. Ma, a differenza di Monti, la legislatura di Letta è appena cominciata e la vittoria di Angela Mekel in Germania non lascia intravedere all’orizzonte nemmeno novità esterne, di sistema, capaci di increspare la palude italiana. Il periodo elettorale in Germania, nelle ultime settimane, ha reso più lasco e distratto il guinzaglio europeo ma la riconferma – sfolgorante – di Merkel alla guida della cancelleria tedesca adesso cancella d’un tratto ogni ipotesi d’ammorbidimento di quella linea del rigore che in Italia ha nel ministro Fabrizio Saccomanni il suo più accreditato sacerdote. Non ci sarà una nuova politica europea, un diverso approccio alla crisi, né l’Italia politica, con il suo marasma inconcludente, ha la forza di invertire la rotta per trarsi fuori dalle secche della stagnazione.

Il Partito democratico continua la sua violenta rissa congressuale, con i suoi tremendi riverberi sul cammino di Enrico Letta e sulla capacità di lavorare del suo governo. Matteo Renzi lotta per le sue ambizioni personali, punta alla conquista del partito, ma incontra una strenua resistenza da parte del mondo ex diessino che non molla e reagisce all’assalto con una polverosa guerriglia fondata sul principio burocratico-legalista dell’Azzeccagarbugli: regolette, commi, numeri legali. Non pochi temono che il congresso del Pd, così trascinato e sanguinoso, possa trasformarsi in un suicidio politico per il centrosinistra.

Ma la destra non sta meglio. Silvio Berlusconi ha cambiato strategia ma non obiettivi. Adesso il Cavaliere non fa risuonare più i corni di guerra sul terreno dei suoi guai giudiziari, ma incarna la strategia dell’indispensabilità: fa pesare la sua presenza all’interno della stranissima maggioranza e, con Renato Brunetta nel ruolo di frontman, agita un conflitto dal sapore elettorale sulle tasse e le materie economiche. Il dibattito risulta tuttavia involuto e strumentale perché nessuno ritiene che la questione Iva sia centrale per i destini economici d’Italia. E tutto concorre al mantenimento d’uno strano, agitatissimo, status quo. I sondaggi del Pdl, adesso Forza Italia, non sono entusiasmanti, le elezioni sono dunque un’opzione rischiosa anche per il centrodestra e Berlusconi si troverà fuori dal Parlamento – sottoposto a restrizioni della libertà personale – entro meno di un mese.

Monti non cadde per il tramestio politico che lo circondava, e Berlusconi iniziò a sparare con forza contro Palazzo Chigi soltanto nel momento in cui la legislatura era praticamente arrivata alla sua scadenza naturale. Il professore, cui oggi tanto assomiglia Enrico Letta, seppe sopravvivere a lungo circondato dal frastuono rissoso dei partiti che pure lo appoggiavano. La meccanica politica di queste ore non è diversa e, di fronte all’inconcludenza dei partiti, prevalgono logiche estranee alla dinamica parlamentare: gli interessi finanziari, ed europei, sono una formidabile cintura di protezione avvolta intorno a Giorgio Napolitano, a Enrico Letta e alla loro architettura del governo di larghe intese.

La vittoria di Angela Merkel è un’assicurazione sulla vita del governo ben più solida delle velleitarie inquietudini del Pd e di Berlusconi. Saccomanni e Letta garantiscono che l’Italia rimanga inchiodata al vincolo di bilancio che fissa al 3 per cento il rapporto tra il deficit e il PIL. Tutto il resto conta poco in un quadro di anarchia e irresponsabilità del ceto politico nazionale. L’Italia è un paese sovrano, ma è immersa nel mondo e nelle logiche di potere che lo regolano. Se un paese è incapace di darsi una guida e una linea coerenti e affidabili, nel caos finisce con l’essere commissariato. Prima arriva un governo di compromesso con i poteri internazionali (Monti e Letta), se poi il paese disordinato non risulta affidabile nemmeno così, allora si materializza il più temibile degli spettri: la troika, il Fondo monetario internazionale, gli aiuti economici. È su questo crinale che oscilla oggi l’Italia.

Twitter: @SalvatoreMerlo

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