«Ho già parlato, ho già detto quello che dovevo dire». Resta in silenzio Matteo Renzi, sindaco di Firenze e candidato alla segreteria del Pd. Si occupa della sua città l’ex rottamatore. Il 3 ottobre ha inaugurato la nuova platea del Teatro della Pergola: «Resto pur sempre il sindaco», si sarebbe lasciato scappare. Non ne vuol sapere delle ricostruzioni giornalistiche che lo darebbero per «vinto» dopo la fiducia votata la governo Letta. Tuttavia, non facendo trapelare alcunché, guarda con preoccupazione al congresso dei democratici che si svolgerà regolarmente il prossimo 8 dicembre, come ratificato la scorsa settimana dalla direzione nazionale del partito. La preoccupazione del sindaco si carpisce dai visi non affatto allegri – come lo possono essere altrimenti quelli di Dario Franceschini o del popolare Beppe Fioroni – dei fedelissimi di “Matteo” a Montecitorio. Mugugnano, passeggiano a gruppi, e sono in filo diretto con il «cool» Matteo, informandolo su quello che avviene nei palazzi del potere. «Certo, da un lato abbiamo incassato la certezza che il congresso si svolgerà. Ma dall’altro è indubbio che Enrico abbia davanti almeno un altro anno di mezzo di governo», dicono.
Insomma dall’8 dicembre, giorno dell’Immacolata ma anche data simbolo per la galassia renziana, l’asfaltatore di Firenze, dato per favorito dai più, sarà il segretario del Partito democratico. Punto. «Il Pd ha bisogno di un segretario. Un premier c’è già e si chiama Enrico Letta. Oltretutto ha bisogno di un segretario che dovrà spendersi per il governo, aiutare il governo», sbotta in Transatlantico un giovane turco. “Matteo” non si potrà più permettere di accusare – tengono a precisare i maggiorenti del Pd – «Enrico di essere attaccato alle seggiole», chiaro riferimento all’uscita dell’ex rottamatore durante una puntata di Porta a Porta di qualche settimane fa. Da segretario in carica dovrà occuparsi del governo, pungolandolo delicatamente e incalzandolo senza urlare, ma anche dovrà gestire le svariate anime dei democratici.
Un compito che alla luce degli ultimi mesi non sembra affatto semplice da svolgere. «Chi fa il segretario fa un lavoro h24, se si vuole davvero ricostruire il Pd», avverte un giovane turco. E “ricostruire il Pd” non è un’impresa semplice. Anzi. La storia dei democratici ricorda gli anni del primo segretario Pd Walter Veltroni, il quale si dimise – ancora in tanti si chiedono perché – per aver perso le regionali in Sardegna ma anche «per essere stato logorato dalle correnti». O anche il difficile rapporto fra l’ex-segretario Pier Luigi Bersani e il governo presieduto da Mario Monti. E il Pd a trazione bersaniana, proprio perché accusato dalla “base” di aver sostenuto il governo del professore bocconiano, non sfondò alle urne. Ecco perché da Palazzo Vecchio guardano con preoccupazione ad una segreteria Renzi che possa durare più di un anno. Del resto, «lo scenario migliore per noi sarebbe stato quello di elezioni in primavera». In questo modo “Matteo” avrebbe svolto il ruolo di segretario per circa tre mesi e poi avrebbe scalato il centrosinistra fino a giungere a Palazzo Chigi.
Ma adesso lo scenario è mutato. E il primo cittadino deve inghiottire il rospo amaro. A Palazzo Vecchio in queste ore starebbero studiando la strategia che gli consentirebbe di non farsi «logorare» dall’apparato democrat, chiuso nella morsa del governo di servizio di Letta-Alfano e di una minoranza ex Ds che non lo desidera. Insomma, per dirla con un renziano della prima ora, «vogliamo evitare che i D’Alema e i Fioroni adottino il solito cliché». Oltretutto “Matteo”, secondo alcune indiscrezioni raccolte da Linkiesta, non si fida del patto stipulato martedì a Palazzo Chigi con Enrico Letta. Patto che prevede in primis che gli uomini del premier debbano sostenere Renzi al congresso, e in una seconda fase, quando si tornerà alle urne, che Letta non si candidi alle primarie del centrosinistra. Un’ipotesi che a Montecitorio diversi parlamentari Pd escludono: «Fra un anno e mezzo Enrico ci sarà ancora, e vedrete che sarà sostenuto anche da D’Alema e Franceschini». Tuttavia c’è chi, come la renziana Silvia Fregolent, sostiene che Letta possa essere «un ottimo Ministro degli Esteri del governo Renzi». O altri insider della galassia renziana, stando ad un piano ancora in via di sviluppo, non escludono che Renzi possa candidarsi alle europee. In questo modo, spiegano, si accrediterebbe a livello nazionale, candidandosi come capolista in tutta Italia, e inizierebbe a prendere contatti anche in Europa, frequentando Strasburgo e Bruxelles. Ma dal Nazareno non ne vogliono affatto sapere: «Abbiamo bisogno di un segretario, uno che scarpini su tutto il territorio nazionale».
Va letta anche in questo senso, per dissuadere le malelingue che lo darebbero già per «vinto», la diffusione di una newsletter post voto di fiducia girata ai suoi sostenitori. Una newsletter che non lascia equivoci, e che per certi versi mette in guardia il premier. «Nel mio piccolo ho dissipato ogni dubbio andando a incontrare il Presidente del Consiglio prima del voto di fiducia, esplicitando in modo chiaro che prima di qualsiasi ambizione personale – vera o presunta che sia – viene l’interesse dell’Italia. Posso dunque chiedere con ancora maggiore convinzione al governo di fare quello che gli italiani si aspettano: voltare pagina, finalmente». Questo per quanto riguarda il governo di Letta-Alfano. Tuttavia l’ex rottamatore guarda già al congresso. E proprio in vista dell’appuntamento clou dell’Immacolata lancia la Leopolda targata 2013. Un appuntamento «cool» che inizierà il prossimo 25 ottobre e durerà tre giorni. Il programma è ancora top secret. E c’é già chi si domanda se il primo cittadino di Firenze inviterà o meno Enrico Letta.
Twitter: @GiuseppeFalci