Max Pezzali è una bestia strana. Equidistante da pop e dal rock, esattamente in mezzo. I puristi lo definiscono icona pop, ma la sua uncoolness lo manda alla deriva tra i nomi più influenti del pop italiano degli ultimi trent’anni. A leggere la sua autobiografia si ha la sensazione di infilarsi in una vita talmente “normale” da risultare straordinaria. Gli occhiali che hanno segnato tutta l’infanzia e il mondo nuovo visto attraverso le lenti a contatto, la prima demo registrata a Torino senza alcuna aspettativa, le prime apparizioni radiofoniche e la prima volta in TV. L’amicizia con Mauro Repetto, i cambi di suono, di carattere, di punto di vista che hanno col tempo invertito le parti e forgiato una delle personalità più influenti della musica italiana, dagli albori del rap alla consacrazione come icona pop. L’America del mito, e soprattutto, le moto.
ISBN mette sul piatto un documento piuttosto straordinario, o quantomeno insapettato. La scrittura di Pezzali scorre limpida e spontanea, attraverso l’infinito canyon dell’insuccesso destinato a diventare un successo enorme, che non ha bisogno di presentazioni, costruito attorno a una persona di una sincerità unica. È stato un nerd, un grasso, un magro, un eterno fidanzato, un marito, sempre un nostalgico (per gli altri). Una bestia strana, che è così come la vediamo, niente di più, niente di meno.
Questo è un libro nostalgico, se devo pensare a te e alla nostalgia penso a Gli anni. Se dovessi riscriverla oggi, cosa cambierebbe?
Probabilmente aggiungerei un riferimento al mondo senza la rete. È stato il più grande cambiamento a cui abbiamo assistito. Il mondo senza la rete era un modo completamente diverso, ed è anche quello raccontato ne I cowboy non mollano mai. Un mondo in cui se avevi degli interreressi, dovevi imparare a coltivarli andando a cercare informazioni e riferimenti solidi, tangibili. Dovevi essere un vero appassionato.
Gli anni oggi parlerebbe degli anni prima dei social network e prima della comunicazione estesa e globale. Gli anni prima dell’interconnessione wired e unwired. Quello è stato il discrimine fondamentale della mia generazione.
Ti senti nostalgico di quegli anni, prima della rete?
Sono tendenzialmente un progressista. Credo che nell’evoluzione ci siano sempre una risposta e un cambiamento. Un po’ di nostalgia c’è, ma più che altro dovuta all’età.
Mi rendo conto che il bisogno di coltivare le proprie passioni oggi è più facile. Proprio perché l’interconnessione ha permesso a tutti di trovare persone con cui condividere gli interessi. All’epoca dovevi creare delle piccole tribù, adattandoti anche a comunicare con persone molto diverse da te.
Oggi puoi permetterti di essere una nicchia. Un tempo, in una città piccola non potevi farlo. Dovevi imparare a interfacciarti, se non con il tuo opposto, almeno con qualcuno di abbastanza vicino a te da dar vita a una massa critica.
Sei progressista anche nei sentimenti? L’amore e l’amicizia raccontati adesso sono meglio di quelli degli anni Novanta?
Le relazioni interpersonali sono un po’ il punto più dolente dei nostri tempi. Credo che la centralizzazione dei social network nei rapporti umani sia un po’ un eccesso. Ma nei momenti di cambiamento c’è sempre l’eccesso e poi tutto rientra. Certo, Facebook è pervasivo da un po’ troppi anni…
Do it yourself, l’autoproduzione: cosa significa per te?
Credo che essenzialmente quella sia la chiave di tutto. Dal punk al rap, fino all’allora nascente scena della house music, l’idea era che tutti potessero fare musica in maniera spontanea e naturale. Quel mondo lì è poi quello che ha cambiato per sempre la musica.
Tutto quello che ho fatto è sempre stato fatto in un’ottica autoprodotta. Ho sempre fatto provini in casa da solo con le mie macchine, ho cercato di costruire un risultato il più possibile vicino a un prodotto professionale partendo da quello che avevo.
Max Pezzali è amato da diverse generazioni di fan, alcuni preferivano quello degli esordi, altri quello post-883. Cosa è cambiato?
Ognuno di noi è la somma di vari fattori, non siamo una sola cosa. È naturale che in determinati periodi possano prevalere alcuni tratti di un artista e che questi vengano direttamente influenzati da quello che capita attorno a lui. Una certa parte di me è rappresentata dal Max dei primi tempi, dei primi 883. Quello che conta è essere sempre onesti rispetto alla propria carriera, che si racconti quello che si è e non soltanto ciò che è opportuno.
Perché hai scelto ISBN e non un grande editore, come magari ci si sarebbe aspettati?
Senza ISBN non avrei mai fatto questo libro. Un grande editore probabilmente non mi avrebbe permesso di raccontare questa storia nel modo in cui l’ho fatto. Avrei dovuto accettare dei compromessi.
Sei stato etichettato più volte come uomo di destra, poi di sinistra, poi come apolitico. Nel libro affronti per la prima volta il tema apertamente.
Ho raccontato un tempo di grande cambiamento, quello della mia adolescenza. Te ne accorgevi dalle scuole: non esistevano più i gruppi di sinistra estrema, ma neanche il Fronte della Gioventù, c’era un enorme pentapartito democristiano. Si cominciava a diffondere una sorta di delusione nei confronti delle ideologie, un distacco dei giovani dai gruppi politici definiti. Inoltre Pavia era una città piccola e piccolo borghese, in cui vigeva una certa commistione tra i gruppi ed era difficile identificare il nemico così come era difficile individuare un riferimento oggettivo e affidabile. Eravamo la prima generazione a sviluppare un rifiuto per la politica e per le istituzioni, avremmo aperto la strada a quelli che sarebbero stati gli anni Novanta.
Cinque passaggi divertenti da I cowboy non mollano mai
1. A una ventina di minuti dall’inizio del concerto il bassista, per fare quello molto punk, inizia a stagliuzzarsi con una lametta. Ma qualcosa va storto: comincia a perdere molto sangue e ha degli svenimenti. Alla fine si siede, resta fermo per tutto il concerto e arriva la Volkswagen color panna della Croce Verde pavese per portarlo via.
2. Improvvisamente, nell’84 i miei genitori si trovavano di fronte al fatto che loro figlio era diventato un coglione.
3. «Qui è Radio Deejay, volevamo dirvi che oggi alle 14.30 va in onda il vostro pezzo». E noi: «Minchia!»
4. La cosa assurda di Grazie Mille, però, è che a un certo punto è stata citata durante un’omelia nel Duomo dell’allora arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi. Lì per lì sono rimasto un po’ angosciato da questa cosa. L’arcivescovo di Milano? Temevo che le mie intenzioni fossero state, come dire, leggermente sopravvalutate.
5. [Hilo, il figlio di Max, parlando con i suoi amici di scuola] «Questo è Maxpezzali, se volete ve lo presento», con quella sua zeppola. Cioè, io sono tuo padre, come sarebbe Maxpezzali, cosa saresti tu, il mio manager?