La vita di Adele, storia d’amore da Palma d’Oro

Cinema

Dopo la presentazione al Festival di Cannes, il grosso dei commenti intorno a La vita di Adele ha riguardato le due protagoniste e i dieci minuti di sesso saffico che ne raccontano il primo incontro erotico. Mentre però le attrici sono un enorme valore aggiunto al film di Abdellatif Kechiche, la scena fra le lenzuola ne rappresenta il momento meno riuscito.

L’interpretazione di Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux è il cuore pulsante della pellicola. La riprova arriva dal fumetto che ha ispirato Kechiche, Il blu è un colore caldo di Julie Maroh (lettura consigliata): qui le due donne, soprattutto Emma, sono meglio caratterizzate ed emergono prepotenti grazie a dialoghi molto ben scritti. Nella pellicola di Kechiche le battute sono talvolta un po’ vacue, e a rendere credibile la storia d’amore è principalmente l’intensità delle interpreti. Non è un caso se la Palma d’Oro è stata assegnata al regista insieme alle sue due attrici, fatto senza precedenti nella storia di Cannes – è stata anche la prima volta che un film ispirato a un fumetto ha conquistato il premio principale della kermesse.

Ovvio però che la recitazione non può essere scollegata dalla direzione degli attori, di cui è depositario il regista, ma qui è difficile capire cosa è accaduto esattamente sul set, anche perché non sono mancate polemiche roventi. In occasione dell’uscita statunitense de La vita di Adele, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos hanno concesso un’intervista al Daily Beast in cui stigmatizzavano il clima durante le riprese, accusando Kechiche di essere tirannico, di aver imposto ritmi di lavoro estenuanti e di averle strapazzate oltre il lecito pur di ottenere quel che voleva. Apriti cielo: il regista ha risposto stizzito sulle pagine di Télérama e in un secondo momento la Exarchopoulos ha corretto il tiro su Les Inrocks.

Al netto delle polemiche, ci sono alcune sequenze che testimoniano l’ottimo risultato del lavoro di Kechiche. Sono quelle che raccontano le dinamiche fra i compagni di classe di Adele: sono forse tutti un po’ troppo carini, debolezza del casting, ma risultano assolutamente credibili e la cinepresa li pedina con rara maestria.

Dove invece i conti non tornano è nell’ormai famosa prima notte di sesso. L’impressione è che manchi una drammaturgia interna, una logica che scandisca i momenti dell’amore. Fatte le dovute differenze, succede la stessa cosa che accade nelle scene d’azione costruite da Zack Snyder per L’uomo d’acciaio: un pugno, un altro pugno, un palazzo che cade, un altro palazzo che cade e alla fine ti annoi di vedere palazzi che cadono. Allo stesso modo, nonostante i corpi nudi e i baci e gli orgasmi, dopo qualche minuto non sai più dove Kechiche voglia andare a parare. Come nel caso di Superman, sei travolto, non coinvolto. Ed è un peccato, perché fino a quando la scena regge è una straordinaria esplosione di passione, un omaggio su grande schermo a quel prezioso momento in cui amore e scopata convivono.

Azzardo un’ipotesi: il metodo di lavoro di Kechiche prevede di ripetere i ciak più e più volte, fino anche all’esasperazione (da qui le tensioni sul set). Erano previsti due mesi e mezzo di riprese che sono diventati cinque: in sala di montaggio sono arrivate 750 ore di girato, una quantità spaventosa.  i sono voluti dieci giorni soltanto per concludere la prima notte di sesso e non è escluso che di fronte a tutto quel materiale sia stato smarrito il bandolo della matassa. È però vero che in altri momenti il montaggio è molto più efficace, dunque il problema potrebbe stare da un’altra parte. Forse ha ragione Julie Maroh, l’autrice del fumetto che ha ispirato Kechiche.

Maroh ha giustamente affermato che come scrittrice non la disturbano le libertà creative che il regista e sceneggiatore franco tunisino si è preso, ad esempio riducendo l’ostilità del contesto nei confronti delle protagoniste ed enfatizzando le differenze di ambiente culturale che le contraddistinguono e che incrineranno la loro relazione. «Come lesbica e femminista», però, Julie Maroh ha notato che la rappresentazione del sesso è figlia di una visione eterosessuale che nulla c’entra con la realtà e che dunque «scivola nel porno». Anche in questo caso, però, il montaggio avrebbe potuto costruire una drammaturgia interna alla scena.

La questione resta dunque aperta, pur senza scalfire i meriti di un film che non lascia indifferenti e che potrebbe segnare «tutta una nuova generazione, come fece a suo tempo Ultimo tango a Parigi» (dichiarazione dei distributori statunitensi al Hollywood Reporter).

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