L’elisir San Marzano salvato dal Vecchio Amaro del Capo

La Caffo si aggiudica l’affitto

Qualcuno l’ha ribattezzato già il “cocktail anticrisi”. In effetti la storia di un’azienda del Sud Italia che “salva” un’altra azienda del Mezzogiorno è una vera boccata d’ossigeno contro i tanti proclami pessimisti sulle sorti del Meridione. Soprattutto se le protagoniste di questa liaison sono due must del liquore nazionale. Una, la Borsci, pugliese di Taranto, in crisi dal 2009. L’altra, la Caffo, calabrese di Limbadi (Vibo Valentia), nota per il suo “Amaro del Capo”, che si è aggiudicata a ottobre la procedura d’affitto della rivale ditta tarantina in liquidazione per fallimento dopo 170 anni di attività. E così, ancora una volta, l’elisir San Marzano è salvo. 

L’interesse parte dell’azienda di Capo Limbadi verso Borsci risale al 2010. La Caffo aveva già avviato i contatti con Taranto l’anno prima, dando a Egidio Borsci la disponibilità a una collaborazione per evitare il fermo della produzione. Che poi invece ci fu. L’affitto concesso ora avrà durata di 12 mesi prorogabili per ulteriori 12 e prevede l’impiego di 10 dipendenti, con diritto di prelazione da esercitare sull’eventuale acquisto dell’azienda fallita. «Il futuro dell’Elisir Borsci sembra incoraggiante in quanto BSM srl è un’azienda ad alta specializzazione ed esperienza nel settore, leader nel Mezzogiorno e tra le prime in Italia», ha dichiarato Antonio Castellucci, segretario Fai-Cisl di Taranto e Brindisi. 

«Vogliamo anzitutto puntare sulle persone e sul territorio», dice Sebastiano Caffo«che, come per il nostro Vecchio Amaro del Capo, sono i veri punti di forza di questo prodotto. Per questo intendiamo, come già riportato nel nostro piano industriale, inserire in etichetta la dicitura “Taranto, Puglia, Italia” per legare nuovamente il prodotto al territorio di origine ed appronteremo un serio progetto di marketing che, attraverso la nostra capillare rete di vendita, promuoverà l’Elisir su tutto il mercato italiano e ben oltre i confini nazionali. Il nostro progetto prevede che nel più breve tempo possibile l’Elisir San Marzano Borsci riconquisti i consumatori persi durante gli anni della crisi, partendo dalla qualità intrinseca del prodotto che li ha affascinati, fin dal 1840».

La crisi della Borsci sotto la mannaia di 10 milioni di euro di debiti risale al 2009. Dopo la chiusura degli stabilimenti e l’assenza delle bottiglie Borsci dagli scaffali dei supermercati, si era parlato di due possibili affittuari: le acque minerali Togni di Frasassi e la Telcom di Ostuni (Brindisi). A vincere era stata la holding di Raffaele Casale, che aveva anche assorbito tutti e 26 dipendenti. L’affitto era durato fino al gennaio 2012. Prima della scadenza alle bottiglie Borsci si era già avvicinata la mano di Enzo D’Addario, proprietario della As Taranto Calcio. Ma l’ipotesi poi era sfumata. A far ripartire gli impianti, dopo un altro stop di un anno a zero stipendio per i lavoratori, era stato a fine 2012 l’imprenditore bresciano Franco Ghirardini, che aveva ripresentato ora la sua offerta per l’affitto dell’azienda insieme all’Amaro del Capo di Vibo Valentia e l’Amaro Lucano della vicina Basilicata. 

La famiglia Borsci, originaria del Caucaso, a seguito di sommovimenti politici, decide di spostarsi in Albania. Da qui, un nucleo della famiglia si stacca per arrivare in Italia, proprio a San Marzano di San Giuseppe, in provincia di Taranto. La storia comincia nel lontano 1840 quando Giuseppe Borsci decide di creare un elisir, il San Marzano Borsci, che diventerà uno dei liquori più apprezzati in Italia ed all’estero. Il signor Giuseppe mette sull’etichetta dell’elisir la dicitura “specialità orientale”, insieme all’aquila bicipite, simbolo dell’Albania. Nel 1964, dopo molti anni trascorsi a San Marzano, la famiglia Borsci decide di ampliare l’azienda con un nuovo impianto all’avanguardia con sede a Taranto. Diventa presto una spa e, con un fatturato di 11 milioni di euro, comincia anche a fare campagne aquisti. Come quando nel 2005 acquisì dalla Parmalat (gestione Tanzi) la società dolciaria Streglio di Torino. Il risultato è il lancio sul mercato dei cioccolatini ripieni all’elisir San Marzano. L’azienda poi passò nelle mani dell’imprenditore Antonio Livio Costamagna e successivamente del Gruppo Gherardini, lo stesso che affitterà un ramo d’azienda della Borsci qualche anno dopo. 

Finita l’era Gherardini, ecco la scalata calabrese. D’altronde Caffo non è nuova ad acquisizioni: nel 2006 aveva già assorbito lo stabilimento friulano della Distilleria Durbino Spa  «salvaguardando la manodopera locale e riattivando la distillazione delle vinacce locali per ottenere grappe friulane di alta qualità». L’azienda, attiva nel mondo degli alcolici da circa un secolo, è tutta in ascesa: 17 milioni di ricavi al 31 dicembre 2011 (anno dell’ultimo bilancio depositato), con un più 20% rispetto al 2009, e un marchio, quello del Vecchio Amaro del Capo che viene esportato in tutto il mondo (con circa il 9% di quota del mercato nazionale degli amari). Caffo distribuisce liquori e vini in tutti gli Stati Uniti tramite una società controllata che si occupa di importazione alcolici, la Caffo Beverages inc con sede nel New Jersey, e in vari altri Stati, soprattutto europei. In Germania, in particolare, esiste addirittura una filiale diretta, a Lipsia, dove è stata costuita la Typical Srl con l’obiettivo di conquistare il mercato tedesco. 

Ma ora la mira della famiglia di Capo Limbadi punta alla vicina Puglia. Anche se, ammettono i sindacati, «il piano industriale non possiede il taglio del progetto faraonico», ma «delinea politiche aziendali finalizzate alla rimessa in funzione e alla ottimizzazione dell’intero ciclo produttivo dell’elisir Borsci San Marzano, alla valorizzazione del capitale umano, all’eventuale polifunzionalità delle maestranze una volta sottoposte ad adeguata formazione». Con «investimenti economici canalizzati alla penetrazione commerciale del marchio storico di Taranto su un mercato che sarà non solo locale e regionale ma anche nazionale ed europeo». La speranza dei sindacati, e non solo, è che ora Caffo «offra le giuste garanzie occupazionali non solo ai 10 lavoratori che verranno impiegati alla ripresa dell’attività».

Twitter @lidiabaratta

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