Perché Alitalia ha bisogno di una mano dal governo

Il destino dell’ex-compagnia di bandiera

La sorte di Alitalia, come del resto quella di Telecom Italia, è legata ad alcune variabili difficilmente prevedibili: la politica, lo stato di salute dei pretendenti (Air France-Klm e Telefònica), le scelte strategiche. La politica per il momento ha puntato a prendere tempo e in sostanza ha stoppato ogni mossa irrecuperabile, minacciando di cambiare le regole in corsa (nel caso di Telecom le norme sull’opa obbligatoria o l’introduzione del potere di veto sulla rete in quanto asset strategico) oppure esercitando una pressante moral suasion. Enrico Letta ha riunito i “patrioti” della ex compagnia di bandiera: le banche (Intesa e Unicredit), i fornitori (Aeroporti di Roma e Eni), la Cassa depositi e prestiti, la Sace (che ormai fa sempre capo alla Cdp) perché ci sono in ballo 80 milioni di crediti dal Venezuela, e ha dialogato con i principali azionisti privati, tra i quali Colaninno e Benetton. L’obiettivo minimo è capire se tutti insieme possono offrire all’Alitalia un po’ di ossigeno, ma la riposta speranza è creare una sorta di nocciolo duro con il quale trattare con i francesi da posizioni di minor debolezza.

L’operazione è accompagnata anche da un coté di disinformazione e allarmismo, come è tradizione. Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino hanno lanciato il loro anatema: guai a toccare Fiumicino. Inoltre, è circolata l’indiscrezione sul classico piano lacrime e sangue con taglio di 4.000 dipendenti, ridimensionamento della compagnia italiana a un’appendice meno che regionale. Philippe Calavia, direttore finanziario di Air France smentisce, ma la panna è già montata. La notizia non sarà vera, però è verosimile, perché in ogni caso Af-Klm intende ridurre il personale di almeno 2.800 unità, non vuole farsi carico dei debiti, e soprattutto va discusso da cima a fondo il ruolo dell’Alitalia all’interno del nuovo gruppo. Da Parigi mostrano l’esempio virtuoso degli olandesi: né lo scalo di Amsterdam né l’immagine, la tradizione e le rotte di Klm sono state stravolte dalla fusione che funziona ormai da nove anni. Vero, ma siamo sicuri che funzioni così bene? E soprattutto, nel frattempo le cose nel trasporto aereo non sono cambiate in modo profondo?

Alitalia (Flickr, StefoF)

Il quotidiano economico parigino La Tribune che fa capo a LVMH di Bernard Arnault, ha scritto che Air France segue una tattica attendista perché vede di fronte a sé una grana forse ancor più grossa. La SAS, la compagnia posseduta dai tre paesi Scandinavi, Danimarca, Svezia e Norvegia, sta per cadere definitivamente nelle braccia potenti della Lufthansa che ha aumentato il fatturato ed è tornata in utile nel 2012. L’ipotesi di una acquisizione è stata avanzata da Christoph Franz, presidente del direttorio della compagna tedesca. È come il gioco dei quattro cantoni. La Lufthansa è convinta che Air France-Klm si mangerà Alitalia, quindi accelera su SAS che finora è stata una sorta di junior partner. Ma questa mossa, a sua volta, mette Air France con le spalle al muro. Secondo La Tribune, i franco-olandesi sono di fronte a un difficile dilemma: dovrebbero rompere gli indugi e impadronirsi di Alitalia, ma Air France-Klm ha avviato a sua volta un piano di ristrutturazione per ridurre le perdite (il bilancio 2012 ha chiuso in rosso per 1,19 miliardi) che si presenta costoso, perché occorre pagare prepensionamenti e tagli del personale. Alitalia non è cara, ma mettendo tutto insieme, il paniere si fa pesante per gli azionisti, a cominciare dal governo francese in difficoltà per ridurre un deficit pubblico del 4% che non scenderà sotto il 3,6% l’anno prossimo e con un debito del 94% che punta ormai decisamente verso il 100% del prodotto lordo.

La recessione europea, insomma, non ha risparmiato nessuno. Nel frattempo, sono emerse nuove tendenze. La più eclatante è legata ai treni ad alta velocità. Ormai nelle tratte relativamente brevi, sono diventati concorrenziali. In Europa è già evidente, in Cina lo sarà tra poco. In Italia colpisce proprio la rotta finora più profittevole, la Roma-Milano che è stata a lungo una mucca da mungere. Ormai non vengono più da qui i profitti a palate, facili da raccogliere, una sorta di bancomat dei cieli. Tanto meno verranno nel prossimo futuro.

Sono minacciate anche le compagnie low cost spine nel fianco dei grandi operatori. Senza contare che nel frattempo hanno perduto smalto: si scoprono le magagne come l’assistenzialismo da parte di aeroporti periferici che in questo modo attirano gente e balzano per la prima volta nella hall of fame. Oppure l’orrendo servizio, il maltrattamento dei malcapitati passeggeri, i costi occulti, la scomodità, per non parlare dei problemi di sicurezza. Con buona pace di chi le ha elette reginette della concorrenza, non ci sono pasti gratis. Nessuno vuol sottovalutare la funzione positiva che hanno svolto per abbattere i prezzi dei biglietti e aumentare l’offerta, ma il tempo passa per tutti e il quadro si trasforma rapidamente.

La globalizzazione ha reso sempre più importanti le rotte transcontinentali, le più costose e complesse da gestire. E ha consolidato il legame simbiotico tra compagnia e aeroporto da sempre l’alfa e l’omega del trasporto aereo come lo è quello tra la nave e il porto. Il cielo per gli uomini, il mare per le merci: è questo il mondo globale. Chi vuol partecipare al grande gioco deve avere le spalle grosse, quattrini, organizzazione, struttura. Non sono molti a resistere. La selezione è stata forte, a partire dagli Stati Uniti, anche grazie alla liberalizzazione. In Europa è cominciata dieci anni dopo. Con la caduta del muro di Berlino, la Lufthansa ha fatto man bassa nel centro e nell’est, British Airways ha presidiato l’Atlantico (inglobando Iberia), Air France ha cercato prima di fondersi con Alitalia, poi, sfumata la chance, si è rivolta a Klm, forte di importanti rotte transoceaniche e di legami con l’Oriente.

Sedile di Alitalia (Flickr, giefferre)

A questo punto, ammesso che abbia ancora la voglia e la possibilità, in quale strategia si inserirebbe una acquisizione tardiva di Alitalia? Davvero diventerebbe un vettore secondario per portare turisti tra Roma e Parigi? La compagnia italiana ha un flusso consistente con l’East Coast degli Stati Uniti e con l’Estremo oriente. Potrebbe essere anche importante nel traffico tra le sponde del Mediterraneo, e verso il Medio Oriente se Fiumicino fosse quello hub internazionale che ancora non è. Prospettiva interessante per una ipotetica Air France-Klm-Alitalia davvero competitiva e con la massa critica da economia globale.

C’è, naturalmente, una obiezione basata sugli interessi nazionali: quelle rotte sono importanti per l’Italia, per i suoi commerci, per i suoi legami politici. Un argomento serio che non può essere ridicolizzato come tardo-nazionalismo. Perché nell’era della competizione mondiale tutti ragionano così, inglesi e tedeschi, francesi e americani, russi, cinesi e giapponesi. Non facciamo le mammolette che impartiscono lezioni con manuali da comodino. All’ambasciata italiana, tanto per fare un esempio, autorevoli esponenti del regime cinese si sono scandalizzati perché l’Alitalia non aveva un collegamento diretto giornaliero Roma-Pechino. Un richiamo alla realtà, in stile orientale. Il dato di fatto, però, è che Alitalia non è in grado di rispondere a queste domande. E non lo è nemmeno l’Italia. La strategia migliore, a questo punto, sarebbe negoziare mettendo in campo i governi, non solo per il peso che hanno, direttamente o indirettamente, nelle compagnie, ma perché così si alza l’asticella, entrano in campo, accanto ai bilanci, le strategie industriale e la geopolitica, persino. Con lo scopo chiaro di saldare un’alleanza vera ed equa, tenendo conto che né la sofferente Italia né la claudicante Francia possono affrontare, da sole, le nuove sfide.

Twitter: @scingolo

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