«In Italia penso nessuno sappia che per candidarsi nel Pd bisogna versare al partito tra i 25mila e i 30mila. Questa è una notizia che non ho mai vista in prima pagina sui giornali. Per candidarsi nel Pd bisogna versare 30mila. Non accetto morale da questi che versano 30mila per candidarsi e poi li devono riprendere».
Parola di Roberto Fico, parlamentare del M5s e Presidente della Commissione Vigilanza Rai. La “notizia”, per usare le parole di Fico, è uscita qualche settimana fa, durante un dibattito del M5s, ma è rimasta sotto traccia. Una notizia arriva in un momento della legislatura in cui si discute del disegno di legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Una notizia sulla quale i democrat preferiscono tacere, e che per un certo verso li imbarazza. Infatti la prima reazione è la smentita. Un “giovane” turco (non di primo pelo) sbotta con Linkiesta: «È una palla!». Anzi no, raddrizza: «È una palla che compriamo il seggio. Al sottoscritto il partito gli consente di rateizzarla».
L’imbarazzo è alle stelle quando si parla di stipendi, finanziamenti ai partiti, candidature. È sempre qualcosa che i partiti, e su tutti i parlamentari, preferiscono celare. E ciò tocca anche la galassia del primo cittadino di Firenze, Matteo Renzi, paladino della meritocrazia, della lotta agli sprechi, e della riduzione del finanziamento ai partiti e degli stipendi dei parlamentari. E anche una deputata del suo inner circle non sa che pesci prendere quando le viene chiesto della quota da 25mila euro: «C’è stato chiesto un contributo per le spese elettorali. Il discorso è un po’ più articolato: è vero la cifra è di 25mila euro a candidato, ma chi non ce li aveva non li ha dovuti versare. A me non li hanno chiesti». Sarà vero?
In realtà, spiega Nico Stumpo, che è stato responsabile dell’organizzazione dei democratici ai tempi della segretaria di Pier Luigi Bersani, «non c’è nessun pizzo, ma il regolamento per le candidature prevede che i candidati alle elezioni politiche si impegnino a contribuire alle spese che il partito sostiene per la campagna elettorale». Tutti, nessuno escluso. Non ci sono eccezioni, come invece sosteneva la parlamentare di rito renziano. Ciò si trova scritto all’art.10 del «regolamento» per le candidature. Tuttavia la cifra non è affatto specificata.
Stando al regolamento che si può consultare all’interno del sito dei democratici, la cifra viene concordata tra la tesoreria nazionale e quella regionale perché si «dovrà tenere conto della posizione del singolo candidato nella lista». In sostanza, essendo il Porcellum un sistema elettorale con le liste bloccate, la quota di partecipazione, chiamiamola eufemisticamente così, è direttamente proporzionale alla posizione in lista. Mentre chi risulta candidato in «fascia insicura» pagherà successivamente, a spoglio ultimato.
Semplicemente, dice ancora Stumpo, «se sei in posizione eleggibile versi la quota, altrimenti non versi nulla». Del resto, spiega un insider del Nazareno, «le liste bloccato non impongono spese per manifesti, etc… In questo modo la campagna elettorale risulta essere centralizzata. Ovvero tutti contribuiscono alle spese nazionali». Sarà.
Il candidato alla segreteria Pippo Civati è stato il primo e l’unico ad uscire allo scoperto: «Ogni deputato e senatore del Pd ha versato al partito 30mila euro al momento della candidatura». C’è chi lo ha fatto cash, come dice a Linkiesta lo stesso Civati. O chi, come la maggior parte, mensilmente dovrebbe versare al partito 520 euro, che con un semplice calcolo corrispondono a circa 25mila euro in cinque anni. E se la legislatura dovesse finire anticipatamente cosa succederebbe? Chi ha versato 25mila euro cash avrebbe riconsegnata parte della quota? «Non si sa come andrebbe a finire», spiegano dal Nazareno, «non ci siamo ancora preoccupati di questo scenario». In realtà, racconta un ex parlamentare dell’Ulivo, «una cosa simile successe al sottoscritto nel 2006. Io mi candidai in quota proporzionale con l’Ulivo. Versai circa 40mila euro, la legislatura si concluse anticipatamente, ma non mi venne restituito alcunché. Avrebbero dovuto restituirmi almeno metà di 40mila euro».
Oggi questo i parlamentari lo sanno. Ecco perché la maggior parte di essi non versa più la quota anticipatamente, ma preferisce, si fa per dire, rateizzare il contributo per la campagna elettorale. Addirittura, fonti accreditate a Largo del Nazareno, assicurano che la maggioranza non darebbe più «un bel niente». Del resto, spiegano, «mentre per il contribuito da riservare al gruppo parlamentare, pari a 1.500 euro, si viene chiamati dalla segreteria e si firmano dei bonifici pre-datati; per la quota di contribuzione legata all’appuntamento elettorale non viene chiesto alcunché, semmai ogni singolo parlamentare dovrebbe versare mensilmente, o come preferisce, la rata». Ma i parlamentari democrat fanno orecchie da mercante.
La maggior parte se ne infischia del regolamento. «Semplicemente», si intasca il denaro dei contribuenti. E fa gli scongiuri affinché il ddl sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti resti nascosto nei meandri di Palazzo Madama, o di Montecitorio. Semplice.