Gloria non è la Gloria di Cassavetes, né quella di Patti Smith. Gloria è la Gloria di Umberto Tozzi, per quanto cantata in spagnolo sul finale. Gloria fa stelle di cartone coi propri sfortunati sogni d’amore, niente nebbia ma molta rabbia respira per la solitudine a cui non vuole rassegnarsi, lascia aperto il cuore anche quando il suo uomo scappa senza far rumore. Gloria non è arredo sonoro rubato al pop melodico tricolore (che peraltro non tramonta mai: nel durissimo film greco Miss Violence di Alexandros Avranas, Leone d’argento per la regia e premio al miglior attore all’ultima Venezia e di prossima uscita da noi, a un certo punto risuona L’italiano di Toto Cutugno); no, Gloria è proprio il nome dello splendido personaggio principale, una donna di mezza età, restituita dall’interpretazione sottile di Paulina Garcìa, una specie di Tootsie senza travestimenti.
Gloria di Sebastian Lelio è una commedia amara che sviluppa una figura femminile profondamente empatica: la vitalità di Gloria, la sua energia, il desiderio di voler comunque orientare la propria vita e non lasciarsi vivere, vanno oltre la sua condizione, la sua anagrafe, parlano delle ansie e dei dubbi e delle malinconie di tutti, pur avendo lei una dimensione molto ben connotata. Gloria è rimasta sola da tempo, dopo il divorzio anni prima. I due figli son grandi e hanno la loro vita. Lei si piace ed è ancora piacente. E Lelio sottolinea con intelligenza la pulsione fisica, tutta carnale dell’atteggiamento della donna rispetto alla vita, mostrandola nuda e mentre fa l’amore con l’uomo che ha incontrato in una balera. Con lui crede di poter ripartire e invece lui la delude perché, a differenza di Gloria, è succube del suo passato, delle sue relazioni ormai consunte ma insuperabili.
Gloria sa farsi metafora, senza appesantirsi di troppi ideologismi, del proprio Paese, in cui sopravvive un retaggio di violenza recente e mai rimossa, sopita ma non scomparsa (il partner di Gloria, ex membro della Marina, possiede e gestisce un campo da paintball), a cui si reagisce con un impulso di libertà che talora è perfino malinteso (si veda come Gloria, al colmo della sua amarezza, comincia a consumare droghe leggere). Lelio puntella il suo ritratto di signora con piccoli discreti segni simbolici, incarnati in figure di animali: nella casa di Gloria si aggira un orribile gatto senza peli (fuggito dalla dimora di un vicino un po’ molesto) la cui presenza materializza le insofferenze e il disagio della donna nella solitudine delle quattro mura e i momenti di crisi che la colpiscono quando è là; sul finale, quando Gloria realizza che amare e realizzarsi comincia innanzitutto dal voler bene a se stessi, si anticipa questa presa di coscienza con la comparsa di un pavone che allarga la sua bianca mezzaluna piumata.
Un film davvero bello, che rimanda a un’altra opera recente, Il caso Kerenes del rumeno Călin Peter Netzer, incentrato sul personaggio di una signora dell’alta borghesia disposta a tutto pur di salvare il figlio trentenne che ha investito e ucciso un bambino. È una bella competizione fra i due: hanno cominciato a sfidarsi a Berlino, dove l’europeo ha conquistato l’Orso d’oro e l’altro l’Orso d’argento alla migliore attrice. L’anno prossimo potrebbero concorrere (se entrassero in cinquina) per l’Oscar al miglior film straniero, perché entrambi sono candidati per i rispettivi Paesi. Sono entrambi superbi studi femminili, sorretti da due interpreti eccezionali (Garcìa e Luminita Gheorghiu) che incarnano l’attivismo perfino autoritario e prevaricatore – nel caso rumeno – di due signore che vogliono essere fiere padrone della propria vita. Nelle loro storie possiamo leggere il nuovo protagonismo di due cinematografie in grande spolvero, come quelle del Cile e della Romania, due Paesi profondamente diversi ma accomunati dall’essere usciti in tempi recenti e praticamente in contemporanea (nel 1989) da regimi di dittatura: il Cile di Pinochet attraverso le elezioni e dopo un referendum raccontato assai bene nel recente e fortunato film No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larraín (coproduttore di Gloria), la Romania di Ceauşescu con una sollevazione popolare che portò alla fucilazione del Conducător e di sua moglie. Va sottolineato come, tra Santiago e Bucarest, ci sia la grande capacità di nuove leve di autori di fare di piccole storie familiari, sentimentali, intime, delle grandi occasioni di racconto di un popolo, che sanno imporsi poi sul piano internazionale per la carica universale di cui sono portatori.
Visto che abbiamo iniziato con le canzoni, con queste chiudiamo, perché anche in Il caso Kerenes c’è spazio per la melodia italiana: in una delle scene più belle, durante una festa risuona la voce di Gianna Nannini, Meravigliosa creatura, uno dei vettori musicali del film. Noi italiani, consoliamoci così.