Mentre in Francia Marine Le Pen vola nei sondaggi con la sua “destra anomala”, in Italia quello che resta della vecchia destra italiana, (ex Msi ora Fratelli D’Italia ndr) e della Lega Nord annaspa in vista delle elezioni europee, rischiando di non superare la soglia di sbarramento del 4% e scomparire per sempre. È un quadro a tinte fosche quello che emerge dalle rilevazioni elettorali di questi ultimi giorni. Che conferma come il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo abbia fagocitato quell’area elettorale che un tempo votava il simbolo con l’Alberto da Giussano o quello con la Fiamma: i vecchi partiti di destra non sono più affidabili anche se avrebbero proposte molto simili a quelle di Grillo e a quelle della Le Pen.
Sia un ultimo sondaggio Ispos per la trasmissione televisiva Ballarò, sia uno di Datamedia Ricerca per il quotidiano Il Tempo, piazzano il Carroccio tra il 3,8% e il 4, mentre Fratelli D’Italia è al 2,2 nel secondo, nel primo non è nemmeno rilevato. Numeri al lumicino. Che hanno fatto scattare preoccupazioni sia tra Ignazio La Russa e Francesco Storace, sia tra Roberto Maroni e Umberto Bossi, alle prese con la difficile scelta di come presentarsi in primavera per ottenere un seggio a Strasburgo.
Non è un caso che il cantiere di Officine per l’Italia e quello del movimento padano siano i più in fermento e allo stesso tempo i più indecisi su quale strada intraprendere in queste settimane. Nel primo, dove Giorgia Meloni e Guido Crosetto cercano di tirare la volata al centro, si è presentata nelle ultime settimane la variante Storace. Il leader della Destra, ex governatore del Lazio, propone di ritornare al simbolo di An. Il 9 novembre, a Roma, insieme con Luca Romagnoli della Fiamma Tricolore, Adriana Poli Bortone di Io Sud e Futuro e Libertà di Roberto Menia, con altre piccole sigle della destra italiana, proveranno a convincere gli ex aennini a tornare all’ovile. L’obiettivo è creare una grande area di destra capace di superare la soglia di sbarramento. In questo quadro bisogna anche inserire la novità del 25 ottobre, quando Silvio Berlusconi ha annunciato l’abbandono del Pdl a favore della rinascita di Forza Italia, azzerando tutte le cariche all’interno del partito, pur ribadendo fiducia in Alfano. Ad ogni modo, nel Pdl, la spaccatura fra chi vuole una linea dura nei confronti del governo Letta e chi ha una posizione più dialogante, come il ministro dell’Interno, si fa sempre più profonda.
«Ma è solo un tentativo di riaggancio – spiega a microfoni spenti uno di loro -. Il punto è che solo insieme possiamo arrivare al 4% e ottenere qualche europarlamentare, ma tutti la vedono molto grigia». Del resto ritornare al simbolo di An è una missione impossibile. Di mezzo c’è la Fondazione Alleanza Nazionale, dove nel consiglio di amministrazione compaiono pure esponenti del Pdl, come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli: per sbloccare simbolo e patrimonio ci vorrebbe un miracolo. I voti mancano. E La Russa insieme con la Meloni ha già fatto sapere di essere contrario all’idea
Lo stesso discorso che vale per Fratelli d’Italia vale anche per la Lega di Maroni. Bobo lascerà la segreteria a dicembre, in occasione del congresso che dovrebbe incoronare il segretario lombardo Matteo Salvini. Ma anche qui il cantiere è aperto, spaccato tra chi vorrebbe tornare a Carroccio di lotta e chi invece, come il sindaco di Verona Flavio Tosi spera di uno spostamento più moderato e al centro. Negli ultimi giorni sembra che Mario Borghezio, il più duro dei padani, sia stato già allertato: dovrebbe ricandidarsi in vista delle elezioni europee. Così come Bossi e come lo stesso Salvini. Ma la Lega appare ancora attaccata alle sorti dell’ex-Pdl e della nuova Forza Italia. Il gioco a incastri è di difficile soluzione, passa attraverso le alleanze nelle regioni del Nord, come Lombardia, Piemonte e Veneto, dove i lumbard governano insieme con Silvio Berlusconi. E anche per la decadenza del Cavaliere, dopo che i padani hanno fatto capire che a elezioni anticipate nazionali, anche per i numeri risicati, non vogliono andare.
Allo stesso tempo dentro Fdi si discute su come posizionare Magdi Allam, il convertito al cristianesimo che vorrebbe dare un impronta etica a tutto il partito. È una scelta in controtendenza con il laicismo di La Russa e dei suoi, che sta creando più una frizione in vista di un’altra assemblea di Officine per l’Italia, sempre in programma a Roma il 9 novembre. Non solo. Al momento Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia, un tempo dato per arruolato ora sarebbe diventato solo un rappresentante. Così come Oscar Giannino, anche lui non ancora nei ranghi. Il discorso è sempre lo stesso. Si prendono più voti con un programma da destra radicale e antieuropeista oppure con una linea più morbida e moderata da Partito Popolare Europeo? Di tempo ce n’è ancora, ma arriverà presto il tempo delle decisioni. Per non lasciare a Grillo quello che resta di realtà politiche storiche italiane.