Bialetti: immutata da 80 anni nelle case degli italiani

“L’espresso come al bar”

Qual è quella cosa che è immutata da 80 anni, si trova nel 90 per cento delle case degli italiani ed è stata venduta in quasi 300 milioni di esemplari, in modo da farla diventare l’oggetto di design italiani più diffuso del mondo? Facile: la Moka Express Bialetti. La caffettiera con “l’omino con i baffi” nasce nel 1933 per una intuizione geniale: Alfonso Bialetti guarda la moglie fare il bucato e pensa che lo stesso sistema potrebbe essere usato per fare il caffè. Semplice, no? 

Al tempo per lavare i panni si usava la “lisciveuse”, ovvero un pentolone dotato di un tubo cavo con la parte superiore forata, si mettevano assieme acqua, cose da lavare e liscivia (il detersivo di allora) e quando l’acqua bolliva saliva lungo il tubo per poi ridiscendere sul bucato sfruttando bene la liscivia. 

Tuttavia prima di arrivare alla Moka Express bisogna passare attraverso il caffè espresso e l’alluminio. Il caffè si diffonde in Europa nel XVII secolo, ma viene preparato con il sistema che noi chiamiamo “alla turca”, ovvero unendo la polvere macinata e l’acqua in un pentolino che poi si mette sul fuoco, come scriveva Carlo Goldoni nella Sposa persiana: «Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto/sei, sette volte almeno: il caffè presto è fatto». Già da fine Ottocento si registrano tentativi di costruire macchine per fare il caffè al bar: il procedimento tradizionale è lungo, c’è bisogno di qualcosa in grado di accontentare i clienti che hanno sempre più fretta, che hanno bisogno di un caffè “espresso”, per l’appunto. Ci riesce nel 1884 un albergatore torinese, Luigi Moriondo, che brevetta una macchina per fare il caffè. Si accontenta tuttavia di usarla soltanto nei suoi locali e non entrerà mai in produzione. Le cose cambiano quando, nel 1905, a Milano, Desiderio Pavoni decide di sfruttare il brevetto depositato quattro anni prima da un ingegnere milanese di nome Luigi Bezzera. Comincia così la storia dell’espresso, che però – attenzione – è fatto utilizzando il vapore e non direttamente l’acqua. L’espresso crema, ovvero quello che beviamo ancor oggi e che ha fatto diventare famoso in tutto il mondo l’espresso all’italiana, arriverà solo nel secondo dopoguerra, grazie ad Achille Gaggia, proprietario di un locale in viale Premuda, a Milano, e al suo socio Carlo Ernesto Valente, titolare della Faema, che nel 1948 dà forma all’idea brevettata dieci anni prima da Gaggia (nel 1950 Gaggia e Faema si separano). L’espresso precedente all’era Gaggia consisteva semplicemente in un caffè fatto in fretta, ma certo non era buono e profumato come il caffè del bar a cui siamo abituati noi. 

Alfonso Bialetti da giovane emigra in Francia dove lavora come fonditore in una fabbrica di alluminio  nel 1918 rientra in Piemonte, a Crusinallo di Omegna, sul lago d’Orta, (un posto dove i casalinghi devono averli nel sangue perché è sede, oltre che della Bialetti, dell’Alessi e della Lagostina). 

L’alluminio intanto diventa il metallo autarchico per eccellenza. Arnaldo Mussolini, fratello del duce, dichiara: «Come l’Ottocento fu il secolo del ferro, dei metalli pesanti, e del carbone, così il Ventesimo sarà il secolo dei metalli leggeri, dell’elettricità e del petrolio. […] Se non abbiamo il ferro, abbiamo l’alluminio.» Ai futuristi l’alluminio piace un sacco, è il metallo con cui vengono costruiti gli aerei, è veloce, forte, incorruttibile, resistente. Insomma, è il metallo del momento e per di più ha il colore e la lavorabilità dell’argento che sotto forma di caffettiera è presente in tante abitazioni italiane. 

Il caffè nelle case viene fatto con la napoletana che è macchinosa e funziona con il principio della teiera: l’acqua passa lentamente tra la polvere di caffè. L’idea di Bialetti, quindi, arriva al momento giusto: l’unione tra caffeina e alluminio si rivela vincente. Entrambi hanno in comune alcuni simboli della modernità: leggerezza, mobilità, velocità. 

Nel 1933 comincia la produzione della caffettiera a base ottagonale «che fa l’espresso come al bar». Lo slogan appare più chiaro alla luce del fatto che ci si riferisce all’espresso com’era prima dell’avvento delle macchine capaci di farlo con la crema  Il successo è immediato. Bialetti non cambia solo il modo di fare il caffè, ma anche il tessuto sociale italiano: l’espresso era un consumo pubblico e i pubblici esercizi ne dominavano tutti gli aspetti, dalla tostatura al consumo. Ora invece al mattino ci si può fare il caffè in casa (l’uso di berlo appena svegli, in Italia, è figlio della trincea: dal 1917 viene cambiata la prima colazione dei soldati al fronte e si comincia a distribuire caffè).

Alfonso Bialetti tra il 1936 e il 1940 produce 10mila pezzi all’anno  va personalmente a venderli nelle fiere e nei mercati. Rimane di fatto un artigiano innamorato del suo prodotto. Di lui si racconta che «era un artista; lavorava per la gloria e non per il guadagno; la sua soddisfazione, la sera, andandosene a letto, era di addormentarsi con il sigaro in bocca, stringendo in mano uno dei pezzi più difficili usciti dalla fonderia».

Tutto cambia quando, dopo la Seconda guerra mondiale, il figlio Renato torna da un campo di prigionia in Germania. Rimette in funzione i macchinari che il padre aveva imballato per preservarli dal conflitto e negli anni Cinquanta costruisce una nuova fabbrica capace di produrre 18mila caffettiere al giorno, ovvero 4 milioni all’anno. Non si sa con esattezza quanti pezzi siano usciti dallo stabilimento di Crusinallo, ma il conto di 300 milioni non appare lontano dalla realtà. Nel 1953 Renato, pensando al padre, disegna “l’omino con i baffi”, una figura maschile col dito alzato, come quando si chiede l’attenzione del barista per ordinare un espresso. Diventerà il simbolo della Bialetti, grazia anche a sapienti e ben orchestrate campagne pubblicitarie che ne fanno uno dei simboli del Carosello. Alcuni concorrenti abbandonano l’alluminio per l’acciaio, la Bialetti rimarrà invece sempre fedele al quel metallo perché consente il formarsi di depositi (di calcare nella cisterna e di caffè nella parte superiore) che con l’uso migliorano via via il gusto della bevanda. La Moka Express cambia leggermente soltanto nel 2004, ma non nel corpo: viene dotata di manico e pomolo ergonomici e antiscottatura, il coperchio assume linee più morbide. Altrimenti la caffettiera rimane tale e quale: è stata inventata nel 1933, e 80 anni e 300 milioni di esemplari dopo è degna di entrare nel Guinnes dei primati.

X