Si possono chiedere rimborsi per quattro diverse cene, consumate alla stessa ora, nello stesso ristorante? Ci si può spingere fino dichiarare ciò che appare palesemente falso in un interrogatorio, essere contraddetti dai tabulati degli inquirenti, peró fare anche professione di rigore francescano dopo aver intascato i rimborsi, e poi cercare di restare ostinatamente al proprio posto? Evidentemente si. Ma proprio per questo c’è da restare sconcertati nel leggere quello che i magistrati avrebbero accertato in questi mesi sul presidente del Piemonte Roberto Cota e sulle spese pazze dei suoi consiglieri regionali che si facevano rimborsare migliaia di euro di denaro pubblico per regalarsi cd, gioielli, ristoranti, vestiti e altre spesucce voluttuarie alle spalle dei contribuenti.
C’è da restare sconcertati perché dagli interrogatori con Cota sarebbero emerse 115 diverse presunte bugie del presidente che ha fornito scontrini per ottenere dei rimborsi, in città distanti centinaia di chilometri una dall’altra, ma nello stesso giorno: pranzo a Torino, shopping da Cenci, a Roma. A far crollare la linea difensiva del presidente sarebbero state le celle telefoniche del suo telefonino, che lo segnalano in città diverse da quelle in cui dichiarava di essere, nelle ore in cui presentava scontrini e pezze d’appoggio per un totale di 25mila euro. Ed ecco – fra i tanti citati – un caso che, se fosse confermato, sarebbe scuola: la seratona trascorsa dal governatore (sempre che ci fosse davvero) alla trattoria Celestina ai Parioli, a Roma, il 15 giugno 2011: tre coperti per 46euro di spesa, con una prima ricevuta che è datata alle 23:28. Due coperti per il costo di 30,50 euro che è datata, nello stesso giorno, alle 23:32. Cinque coperti – qui viene il bello – datata alle 23:32 per 262 euro. E poi altri coperti alle 23:33 per una spesa di addirittura 543 euro, seguiti infine da altri due coperti alle 23:33 per un totale di 68 euro. Tutto nella stessa sera.
La prima cosa che avrei voluto vedere è con che faccia Cota giustificava questa nota spese. La seconda cosa è la domanda che avrei voluto fargli: ma non è che tutte queste ricevute sono state messe insieme raccattandole da qualche posacenere per fare cifra tonda? Così, solo per sentire cosa rispondeva. Resta il fatto che questo e tutti gli altri episodi, di Cota (e non solo), dagli scontrini per i rasoi, i DVD, la pasticceria, i regaletti e le finte spese di rappresentanza, ci dicono che tutto un intero consiglio regionale applicava lo stesso metodo di quello del Lazio.
I fatti di cui si parla, questa montagna di giustificativi “ingiustificabili” sono precedenti allo scandalo di Fiorito & company, ma restituiscono la stessa certezza di impunità dei nostri rappresentanti incardinata a due sicurezze: 1) Cosi fan tutti. 2) Tanto si può fare. Ecco perché – a meno di non prodursi in una stupefacente, sorprendente e convincente pubblica autodifesa, occorre che Cota si dimetta. Se non altro per dimostrare che 1) Non si può fare 2) La festa dei maiali (del Pdl romano) restare l’evento simbolo di un’era da consegnare alla storia. Il rimborsificio senza fondo deve restare un caso curioso, e senza emulatori, come una scoria radioattiva che testimonia una stagione di malcostume definitivamente tramontata. Mi incuriosisce l’idea che Cota invochi come prova della sua buona fede il fatto di avere un conto perennemente in rosso ed evochi, per giustificarsi, la responsabilità della sua segretaria: in realtà se fosse virtuoso e sabaudo dovrebbe dire che il conto in rosso che usa come alibi è un indizio, e la cattiva abitudine di scaricare la responsabilità su di una collaboratrice una antica abitudine di chi nasconde una colpa. Cota ha perso la possibilità di essere il moralizzatore padano che ci aveva raccontato di essere, ma può ancora diventare l’esempio di clamoroso ravvedimento e ammissione della colpa che in questa stagione è mancato.