Le baby squillo e quel dolore dell’adolescenza

Tra Roma e Parigi

Tra Parigi e Roma c’è una specie di cortocircuito su un tema sempre piuttosto scivoloso: la prostituzione. Più delle prodezze della squadra di Rudy Garcia, nella Capitale si parla solo delle due prostitute minorenni dei Parioli. Una vicenda che ha tratti sordidi (una delle ragazzine era spinta dalla madre, c’è di mezzo anche la droga), rischiosamente sociologici (il quartiere per eccellenza della Roma bene che disvela nell’occasione la viziosità del suo corpaccione borghese) e pericolosamente spregiudicati: le due ragazzine capeggiavano una piccola banda di ragazze piuttosto scriteriate, “fino a notte fonda in discoteca, hanno una pessima reputazione, sono spericolate, si ubriacano, bestemmiano, fanno casino, rubano la Smart ai genitori, su di loro circolano tantissime storie e tutte terribili” (riportiamo da una cronaca di “Repubblica”).

Tutti aspetti che inevitabilmente conducono a interrogarsi sul marciume sociale e le sempre più deboli capacità di controllo e di guida che dovrebbero essere in capo a istituzioni come la famiglia e la scuola. Ma forse quel che più sinistramente infiamma questa brutta storia c’è forse la totale incomprensione di quell’enigma perenne e inquietante che è l’adolescenza, rispetto a cui ogni analisi risulta sempre o troppo parziale o troppo moralista. Si è a lungo esercitata sul tema tutta una letteratura e in questi giorni, con imprevedibile tempestività di uscita, ce lo ripropone accanto alla nostra cronaca italiana anche un film che in Francia sta facendo molto discutere: “Giovane e bella” di François Ozon.

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Il regista transalpino, certamente uno dei maggiori per quanto sottovalutati autori europei di questi anni, utilizza un approccio che disarma per la sua totale mancanza di moralismo. Al centro del suo film c’è Isabelle (interpretata da Marine Vacth, debuttante destinata a un futuro da sex symbol), bellissima liceale della buona borghesia parigina, che prima di compiere diciassette anni perde la verginità e al ritorno in città dalle vacanze estive decide di vendersi. Non lo fa per soldi, perché è di famiglia benestante, né perché abbia particolari disagi psicologici (c’è di sicuro la mancanza del padre, divorziato dalla moglie con cui la ragazza vive, ma senza traumi). Perché lo fa dunque? Ce lo chiediamo seguendo la progressione della storia, segnata dalle canzoni di Françoise Hardy e da quattro atti come le stagioni dell’adolescenza di Isabelle (Lea per i suoi clienti). E alla fine ne usciamo piuttosto stravolti: non lo sappiamo davvero perché lo fa. Abbiamo visto i suoi incontri, le sue avventure, i suoi adescamenti su Internet (ma lei non ha protettori, come invece le lolite romane), la vergogna di essere scoperta, il supporto psicologico che le viene dato, gli amori che vive al di fuori della prostituzione, ma non sappiamo perché Isabelle, 17 anni (“On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans”, nessuno è serio a 17 anni, diceva quell’Arthur Rimbaud che viene letto e spiegato in classe; una scelta letteraria che fa il paio con quella “Marianna” di Marivaux studiata a scuola nella “Vita di Adèle” di Kechiche, altro film su un’adolescente inquieta che diventa donna), la ricca Isabelle, la bellissima Isabelle, si vende.

Ozon evita di offrire spiegazioni, pur affilando la lama nella evidente ferita esistenziale della sua ragazza. Certo non hanno aiutato nell’accogliere il film certe sue dichiarazioni rilasciate all’ultimo Festival di Cannes dove il film era in concorso (avrebbe vinto proprio “Vita d’Adèle”) sulle ragioni profonde del personaggio: “Credo che le donne possano davvero essere in sintonia con questa ragazza perché molte donne sognano di prostituirsi – ha detto Ozon – Non vuol dire che lo facciano, ma essere pagate per una relazione sessuale è qualcosa di presente nella sessualità femminile”.

Apriti cielo. L’argomento si presta a creare polemiche e discussioni furibonde. Di certo c’è che a Parigi la prostituzione sta creando politicamente una grande zuffa, specie dalle parti della sinistra.”Touche pas a ma pute”, non toccate la mia puttana, è l’inequivocabile appello lanciato da 343 “salauds” (porci, potremmo tradurre) dell’intellighenzia parigina (intellettuali, giornalisti, professionisti) contro la proposta di legge dei socialisti che introdurrebbe multe per i clienti fino a tremila euro. Che la prostituzione (e minorile) sia materia anche politica, noi italiani l’abbiamo molto prima dei cugini francesi, con lo scandalo berlusconiano del caso Ruby Rubacuori. Adolescenza misteriosa, adolescenza giudiziaria.

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