Portineria MilanoLe spese pazze della Bpm per diventare una Spa

Il cantiere dell’aumento di capitale

Spese fuori controllo. Consulenze accordate senza alcuna valutazione né preventivo, con contratti siglati a prestazione in corso o addirittura ex post. E alcune sponsorizzazioni sospette. È il quadro che emerge da un documento dell’audit interno richiesto dal consiglio di sorveglianza della Banca popolare di Milano risalente allo scorso 25 settembre. Sedici pagine in cui vengono dimostrate «[…]diffuse problematiche comportamentali, che espongono la banca al rischio di inefficaci politiche di gestione dei costi, considerata anche la significatività economica di alcune consulenze».

Non c’è pace in Piazza Meda. Dopo l’uscita dell’amministratore delegato Piero Montani in direzione Carige e il complesso cantiere del piano industriale prodromico all’aumento di capitale da 500 milioni per ripagare i Tremonti Bond, l’istituto milanese non riesce a raddrizzare la barra. Il principale imputato è il progetto Ovidio, ovvero la trasformazione in società per azioni, fortemente voluta dal presidente Andrea Bonomi – principale azionista al 7,8% con la sua Investindustrial – naufragato a inizio maggio scorso dopo aver perso la battaglia per introdurre il voto elettronico nell’assemblea che ne avrebbe dovuto ratificare la nuova forma societaria.

Il clima è incandescente. Rispondendo alle critiche firmate da Salvatore Bragantini (uno dei circa 80 soci de Linkiesta) sul Corriere, in cui il commentatore ha parlato di banca “ostaggio” dei suoi dipendenti e in particolare dell’ex Associazione Amici della Bpm – sciolta da Bankitalia ma ancora influente – il segretario della Uilca (il maggiore sindacato interno) Massimo Masi ha spiegato in una nota: «Da sempre ritengo che il sistema duale della Bpm non è ben strutturato come quello di Intesa Sanpaolo, che tra l’altro lo sta mettendo in discussione, e Ubi e un ritorno a un Consiglio d’Amministrazione unico consentirebbe meno diatribe e più unità fra i consiglieri. In quest’ambito scelte ondivaghe del presidente del Consiglio di Gestione Andrea Bonomi in merito a un cambiamento della governance (trasformazione in SpA, poi popolare bilanciata, poi popolare ibrida) non hanno aiutato a individuare percorsi coerenti e condivisi».

Già nei mesi scorsi la pletora di advisor di cui si è avvalso Bonomi aveva scatenato più di qualche mal di pancia: «Comunica troppo poco, si appoggia troppo ai consulenti», era il refrain di alcuni sindacalisti e dipendenti. Lo screening dell’audit interno non solo quantifica in 43 milioni il budget complessivo per il 2013 (+28,6%) sul 2012, ma evidenzia anche al 30 giugno ben 3,2 milioni di euro impiegati a servizio del progetto Ovidio, iscritti alla voce “consulenza direzionale”. Dei quali 293mila euro allo Studio Guatri, 31.400 allo Studio Portale – Visconti, altri 242mila a Banca Imi e 302mila euro allo Studio Chiomenti. Altri 600mila euro sono andati a Georgeson, società specializzata nel proxy advisoring (raccolta dei voti in occasione delle assemblee societarie, ndr). Il piatto forte però sono Barclays e JP Morgan, con 1,2 milioni a testa. Peraltro, entrambe sono parte del consorzio di collocamento dell’aumento di capitale.

Tanto? Poco? Il punto è un altro: le manchevolezze nelle procedure evidenziate dall’audit sono da cartellino rosso. Scrivono i controllori interni: «La richiesta di stanziamento spesso non è stata compilata in modo puntuale o addirittura non è stata affatto redatta», «la selezione del fornitore è stata gestita pressoché in autonomia dagli enti di spesa, anche senza la prescritta preventiva autorizzazione della funzione acquisti, tipicamente in virtù di vecchie collaborazioni». Ancora: «La prestazione richiesta al consulente esterno quasi mai è stata formalizzata (sotto forma di contratto o di proposta di collaborazione sottoscritta per accettazione dalle parti) prima dell’avvio della stessa. In casi estremi la regolarizzazione è avvenuta a rapporto ormai ampiamente concluso o, addirittura, non si è mai proceduto in tal senso». Il risultato è che: «L’archiviazione dei contratti ovvero delle proposte formulate dai consulenti è di fatto gestita presso i singoli enti di spesa in deroga a quanto previsto dalla normativa interna, senza univoco protocollo e con evidenti rischi di smarrimento delle evidenze». Infine: «Circa gli esiti del progetto ovvero della collaborazione, in nessuno tra i casi esaminati è mai stata rinvenuta una relazione conclusiva». 

Ma c’è chi a piazza Meda fa anche notare che negli ultimi tempi il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione, ora vicini a Bonomi, abbiano iniziano a storcere il naso all’ipotesi di abbandono della forma cooperativa. E per questo motivo a molti ha fatto riflettere la consulenza di 80mila euro per una piccola squadra di basket di Sesto San Giovanni, la Geas di Mario Benito Mazzoleni (vedi documento sopra). Mazzoleni non è un uomo qualunque. Siede nel consiglio di sorveglianza, è professore dell’Università Bocconi e secondo gli addetti ai lavori sarebbe l’ago della bilancia nel cds. La questione sarà affrontata martedì 5 novembre in piazza Meda, ma le carte in mano a Linkiesta non lasciano spazio a interpretazioni. Anche perché la sponsorizzazione potrebbe essere contraria all’articolo 136 del Testo Unico Bancario che disciplina i poteri degli amministratori della banca: l’intervento a favore della piccola squadra di basket sestese avrebbe dovuto affrontare diverse trafile burocratiche.

A questo punto l’attenzione si sposta tutta al prossimo anno. Quando nella primavera del 2014 l’assemblea dovrà nominare i nuovi organi di governance e si dovrà valutare la modifica dello statuto. Da qui passa il futuro di Bpm. E i nomi che circolano intorno alla futura amministrazione sono disparati. C’è chi per la presidenza fa pure il nome di Lamberto Dini, ex direttore generale della Banca d’Italia, ministro dell’Economia e presidente del Consiglio, ormai 83enne. Lo avrebbe segnalato la componente dei dipendenti-pensionati dell’istituto. Gli altri nomi in corsa provengono tutti dall’universo Uilca. Ci sarà tempo per discutere. E per presentare le candidature. Di certo le consulenze esterne di Audit gettano un’ombra sulla gestione Bonomi. E le sorprese non sembrano essere terminate: si mormora di quotidiani compiacenti che abbiano cambiato parere sulla gestione Bonomi dopo qualche articolo negativo. Come mai?

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