BERLINO – Una sinistra in crisi con la base e divisa tra due grandi correnti, una destra segnata da continui scontri tra ultraconservatori euro-scettici ed europeisti appassionati, sessanta giorni di logoranti negoziati per la formazione del governo e, sullo sfondo, lo spettro di nuove elezioni. Quando Enrico Letta è arrivato nella serata del 22 novembre a Berlino dev’essersi sentito a casa. Il primo ministro italiano è atterrato nella capitale tedesca per parlare al forum economico della Süddeutsche Zeitung dove ha chiesto un’Europa più solidale. Europa che però è solo un tema secondario nel dibattito politico tedesco.
Anche al primo ministro non sono sfuggite le analogie fra la situazione di Roma e Berlino e, rivolto alla platea in cui sedeva anche il presidente della BDI (la Confindustria tedesca) Ulrich Grillo, ha detto: «Dite ai vostri politici di copiare Italia per arte, cibo e bellezza. Ma per favore, non per i politici». Per l’Europa, ha insistito Letta «serve una nuova narrativa da contrapporre ai populisti» e, ha aggiunto: «ora Berlusconi non è più un pericolo. Ma non tutto in 20 anni e’ stata colpa sua, ora non abbiamo più alibi». L’Italia «é fuori dalla fase recessiva più grave […]: per la prima volta da cinque anni ci sarà l’anno prossimo un calo del debito pubblico, e per il terzo anno consecutivo saremo sotto il 3% a livello di deficit». Dunque, «l’Italia sarà con la Germania il solo Paese dell’eurozona sotto il 3%», un’altra analogia.
Il 21 novembre, il giorno prima di Letta, nella stessa cornice, ha parlato la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha usato il podio per lanciare un appello per il raggiungimento di un patto di governo su un programma condiviso. Fonti non ufficiali dicono che il contratto di governo sarà potrebbe essere sottoscritto dai tre partiti coinvolti il prossimo mercoledì. In quel momento saranno passati 65 giorni dalle elezioni, esattamente come nel 2005 ma meno che nel 1976, quando si fissò il record dei 73 giorni senza governo dal voto.
Nel suo intervento di giovedì 21, Merkel non ha fatto mistero dei problemi nelle trattative. «Gli elettori non hanno dato i loro voti né agli uccelli in fuga dell’Unione (cristiano democratici della CDU e cristiano sociali bavaresi della CSU, ndr) né alla corrente a sinistra del Partito Socialdemocratico (SPD)» ha spiegato in un invito al compromesso. «Anche io voterò a favore di istanze che normalmente, dal mio partito, non avrei difeso», ha aggiunto Merkel, per poi precisare subito dopo che si riferiva al salario minimo, lasciando intendere, come molti avevano annunciato, che accetterà la proposta del SPD di una retribuzione minima di 8,50 euro all’ora.
Non è una coalizione che nasce sotto il migliore degli auspici: ci sono alcuni segnali allarmanti. I socialdemocratici del SPD hanno celebrato lo scorso fine settimana nella tradizionale sede di Lipsia un congresso per elaborare la sconfitta elettorale — anche in quel caso Letta era presente. Al centro dell’ordine del giorno, voluto dalla base, c’era il dibattito sulla possibilità in futuro di formare maggioranze di Governo con Die Linke, (La Sinistra). Fino ad ora questo scenario è stato tabù a livello federale: da una parte perché questa formazione raccolse alla sua nascita anche ex esponenti della SED, partito unico della Germania Est, e dall’altra perché die Linke fu fondata da Oskar Lafontaine, ex-SPD che abbandonava in polemica con il partito.
Un altro segnale è che in Assia, lo stato federale che ha celebrato elezioni locali due mesi fa, si è deciso proprio venerdì di tentare l’esperimento nero-verde, sarebbe a dire la coalizione tra CDU di Merkel e ambientalisti. Se le trattative giungono a buon fine, sarà il terzo esperimento di questo tipo a livello regionale. Come se le litigiose trattative di Berlino avessero indicato alla CDU un’altra strada. Il celebre vignettista Klaus Stuttmann riassumeva questa situazione con un fumetto che ritrae Sigmar Gabriel, leader dell’SPD, seduto alla terapia di coppia con Frau Merkel. Gabriel dice: «Amo die Linke», Merkel risponde: «Amo i Verdi». C’è qualcosa di famigliare?
Come se non bastasse, quella stragrande maggioranza dei tedeschi che, fino a un mese fa, appoggiava con disciplinato pragmatismo la Grosse Koalition – oltre il 60 per cento della popolazione, secondo il canale televisivo ARD – è crollata. In un solo mese, sono ora solo il 51 per cento dei tedeschi ad avere fiducia nelle larghe intese. Se la prossima settimana davvero ci sarà l’accordo definitivo sul programma, una variabile impazzita potrebbe comunque mettere ancora in discussione tutto. Tanto l’SPD come la CDU vogliono sottoporre le decisioni a un referendum in cui sarà convocata la base e che nel caso del SPD sarà vincolante. Visti i malumori e le differenze emerse nel congresso, l’approvazione dell’accordo da parte dei membri del partito non è scontato. A questo punto, tra gli scenari possibili, ci sarebbe – incredibilmente – anche quello di nuove elezioni.