«Non si danno giudizi sul governo a metà strada, il giudizio si potrà dare solo al termine del cammino». Enrico Letta chiede tempo. Parlando da Malta, dove è in visita ufficiale, il presidente del Consiglio invita ad aspettare prima di tirare le somme della sua esperienza a Palazzo Chigi. Probabilmente è solo modesto. Perché in meno in sette mesi il suo esecutivo ha già ottenuto risultati tanto clamorosi quanto inattesi. Un esempio? La dissoluzione della seconda Repubblica. Mario Monti ci ha provato invano per oltre un anno. L’ex premier era convito di poter disarticolare facilmente i principali partiti italiani e dare vita a una nuova stagione politica. Alla fine anche lui si è dovuto arrendere all’evidenza (e agli imbarazzanti risultati elettorali ottenuti). Ma dove il Professore ha fallito, Letta ha stravinto. È stato sufficiente avviare l’esperienza del suo esecutivo di larghe intese per portare Pd e Pdl sull’orlo di una crisi di nervi. E nel caso berlusconiano a un passo da una scissione. Altro che legge di Stabilità e riforma elettorale. Al governo Letta sta riuscendo la scommessa più difficile: archiviare per sempre il bipolarismo che avevamo conosciuto negli ultimi anni.
La crisi del Popolo della libertà è deflagrata in tutta la sua evidenza in queste settimane. La condanna di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset e il rischio sempre più concreto della sua decadenza dal Parlamento hanno solo accelerato l’implosione.Il partito ormai è diviso in due tronconi. Da una parte i governisti guidati dal vicepremier Angelino Alfano, decisi a sostenere l’esecutivo senza condizioni. Dall’altra i lealisti berlusconiani, pronti allo strappo con gli alleati di centrosinistra. In attesa del Consiglio nazionale di sabato – dove probabilmente si consumerà lo scontro finale – la situazione ha raggiunto livelli preoccupanti. Ormai siamo alle minacce. Ieri Alfano ha denunciato in televisione la possibilità di finire vittima del tritacarne mediatico che prima di lui ha già macinato altri oppositori del Cavaliere (chi ha dimenticato le presunte informative su Dino Boffo e la casa di Montecarlo?). Per tutta risposta Berlusconi ha avvertito i dissidenti: «Ricordatevi di Gianfranco Fini». Allusione neppure troppo velata alla possibilità di finire sconfitti e dimenticati. Lo avevamo conosciuto come un partito padronale, proprietà privata del presidente. E invece il Pdl finisce per lacerarsi in una lotta di correnti da fare invidia alla prima Repubblica. A breve, ipotizza qualcuno, nasceranno nuovi gruppi parlamentari. Sarà la conseguenza evidente dell’avvenuta scissione e la vittoria di chi a Palazzo Chigi auspica da tempo questo epilogo. Ma sull’altare delle larghe intese non sarà immolato il solo centrodestra. L’esecutivo Letta mette in crisi i due maggiori azionisti del governo in maniera rigorosamente bipartisan.
Nel Partito democratico non siamo ancora alla scissione, ma anche al Nazareno le tensioni hanno raggiunto il livello di guardia. Complice il congresso in programma l’8 dicembre, si alzano i toni dello scontro. Ormai nel Pd si litiga su tutto: tesseramenti gonfiati, congressi locali falsati, regolamento delle primarie. Il tutto in un clima di sfiducia reciproca da far venire i brividi. A confermare la gravità della situazione ci ha pensato Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo e nume tutelare del centrosinistra. Infastidito dalle polemiche e dall’imbarazzante autogol con cui i parlamentari democrat hanno affossato la sua candidatura al Colle, l’ex premier ha deciso di disertare le primarie. Dopo aver annunciato che il progetto che sognava è fallito, Prodi non andrà a votare per il nuovo segretario del Pd.
Come se non bastasse, in queste ore il partito si divide sull’adesione al Pse. Quasi un paradosso: non c’è una linea neppure sulla casa europea a cui fare riferimento. Segno che le crepe ormai interessano l’edificio dalle fondamenta. Tanti dubbi e una certezza. Nel centrosinistra le polemiche non termineranno neanche dopo l’8 dicembre. Come ha chiarito ieri il segretario Guglielmo Epifani, chi vincerà la primarie «sarà anche il candidato premier, ma non da solo». Insomma, con ogni probabilità quando si tornerà al voto Matteo Renzi dovrà vedersela con Enrico Letta. Nel frattempo la seconda Repubblica si sgretola sotto i colpi delle larghe intese. Pd e Pdl rischiano di cambiare per sempre fisionomia. La politica italiana potrebbe presto inaugurare una nuova stagione. E pensare che qualcuno critica ancora il governo Letta per non aver fatto niente.