Tanti espertoni del wine & food non l’hanno ancora scoperto. Ma il debutto del primo ristorante gourmand in un aeroporto italiano – il Michelangelo a Linate – segna un momento storico. Alzi la mano chi ha trovato qualcosa di soddisfacente – sopra la sufficienza, intendiamo – prima di prendere il volo o magari aspettando l’agognata coincidenza. Qualche corner (come quello di Cantine Ferrari a Fiumicino, con piatti di Alfio Ghezzi), gli Obikà a Malpensa e ancora a Fiumicino, le pasticcerie di livello negli scali del Sud. Stop. Ora si fa sul serio nel city-airport della Madonnina, a partire dalla società che gestisce il locale, formata da My Chef (leader della ristorazione aeroportuale e ai vertici di quella in concessione, con 120 milioni di euro di ricavo) e Sea che gestisce il sistema di Linate e Malpensa. Dimenticate mense bulgare o tristi self-service con megaschermo: l’allestimento è un mix lucido di design (ogni tavolo è diverso dall’altro, i complementi d’arredo sono di griffe del settore, il salottino è fatto di pezzi unici) e arte con quadri di grandi artisti che si avvicendano. Michelangelo si trova al secondo piano dell’area partenze, prima dei controlli per dare l’accesso a chi non è interessato dai voli: ottima idea il bonus del parcheggio gratuito a pochi metri dal locale. È chiuso solo la domenica mentre è aperto sia a pranzo (11.45-15.00) che a cena (18.00-22.30). Il vero peccato – in attesa che l’Expo 2015 movimenti Linate – è che dalle immense vetrate ci si diverte poco con decolli e atterraggi, soprattutto la sera quando lo spettacolo diventerebbe suggestivo. Speriamo, anzi spèrem.
Il nome del locale è quello dello chef Michelangelo Citino, affabile quarantenne dal solido background: il Bistrot di Gualtiero Marchesi, Quisisana di Capri e Giannino a Milano con Davide Oldani come mentore («il numero uno nel gestire una brigata sotto ogni aspetto», spiega), Louis XV di Alain Ducasse, Principe di Savoia come sous chef di Paola Budel e sempre a Milano il Park Hyatt Hotel. Nel 2011, MyChef gli propone di assumere la direzione del T-Design Restaurant Café della Triennale. «È qui che è venuta l’idea di realizzare un ristorante di design, rivolto a una clientela internazionale e in un ambiente particolare – racconta Citino – la cucina rispecchia il concetto: semplicità e stagionalità, estrema attenzione alle esigenze di leggerezza e salute tanto più pensando a chi sta per partire, voglia di abbinamenti sorprendenti ma mai provocatori».
Giustamente c’è un doppio binario: quello di chi non ha fretta (e quindi ha pure il tempo di fermarsi al corner Pommery, partnerr del ristorante) e quello di chi ha i minuti contati. Otto per un piatto unico a 16 euro, 12 per un (ottimo) hamburger da 180 grammi a 20 euro, 40 per i tre piatti del menu del giorno a 26 euro. Detto che i due menu degustazione costano 39 e 59 euro, possiamo confermare che le primissime recensioni (di clienti) non erano fasulle: i piatti sono tutti centrati, gustosi e qualcuno eccellente Esempi in materia: Gambero rosso marinato, panna acida, olio al finocchietto, granita al mojito; Scialatielli freschi, sarde e finocchietto; Carrè di agnello, patata novella, aglio e menta; Notte e giorno (tortino a base di cioccolata di cru diversi e sale maldon, interessante). E si può solo migliorare.
Visto l’eccellente livello raggiunto in poche settimane di lavoro, ci sono le premesse perché Michelangelo conquisti le prime posizioni della geniale classifica realizzata dal Daily Meal, bibbia dei foodies non solo britannici che ha esaminato ben cento locali situati in aeroporto. Ovviamente in modo serissimo, inviando ispettori anonimi per sei mesi da Singapore a Mexico City, da Cape Town a Stoccolma. Due gli aspetti che hanno prodotto la graduatoria, stilata in base alla somma dei voti: la cucina vera e propria (qualità, creatività, prezzi…) e lo stile inteso come arredamento e servizio. Detto che gli statunitensi dominano la top ten – scontatello visto il loro numero di aeroporti e spazi interni – il migliore si trova in Spagna: il Porta Gaig, nel Terminal 1 di Barcellona El Prat. Lo chef è Carles Gaig, stella Michelin con il Restaurant Gaig in città e maestro della cucina catalana. Sul podio ci sono il Salt Lick Bbq a Austin-Bergstrom (istituzione del barbecue alla texana) e il Tortas Frontiera a Chicago O’ Hare, Terminal 1 e 3: panini, guacamole, patatine ma anche piatti freschi in stile tex-mex. Al quarto posto, l’altro locale europeo: Bubbles Seafood & Wine Bar a Schipol. Spin off dell’omonimo ristorante in centro ad Amsterdam, è validissimo per la carta dei vini e degli champagne da abbinare a crudi di pesce, crostacei e ostriche. La top ten è completata da Obrycki’s (Baltimora e Washington International, specializzato in crostacei), Crust (New York LaGuardia, siate orgogliosi: è una pizzeria in stile napoletano), Five Guys (Washington Dulles, steak house) Custom Burgers by Pat La Frieda (New York LaGuardia, hamburgeria), il futuristico Encounter (Los Angeles International) e il Legal Sea Food (Boston Logan, pesce a volontà).
Come per tutte le classifiche al mondo si può discutere per notti intere. Balza all’occhio per esempio che i monumenti della ristorazione di Sua Maestà Britannica quali Gordon Ramsay e Jamie Oliver non siano nella top ten nonostante i loro locali negli aeroporti londinesi siano amati dal pubblico e si mangi bene (lo diciamo a ragione). Nel North Terminal di Gatwick, l’Union Jacks Bar del primo propone la “sua” cucina italiana e inglese ma soprattutto un clamoroso breakfast che farebbe resuscitare un viaggiatore sbarcato alle cinque del mattino, chiamato Full Monty. Eppure è solo 18°. Giudizio migliore (è 13°) per Plane Food che domina il magico Terminal 5 di Heatrow: piccolo gioiello in stile ramsayiano, in grado di offrire il Plane Picnic a chi sta perdendo il volo come un menu eccellente da gustare in 25 o 35 minuti. Peraltro la loro esclusione dal vertice conferma la serietà degli ispettori, connazionali dei due chef-star.