Il caso della Silicon Valley è un esempio di come ogni grande successo imprenditoriale di un territorio dipenda da una molteplicità di fattori diversi, ciascuno dei quali è però alimentato da un fattore comune: le persone e la loro voglia di innovare. Ma oltre all’aspetto delle qualità degli individui, c’è anche quello dei diversi modelli organizzativi, più o meno spontanei, più o meno pilotati da processi di pianificazione pubblica (vedi “Chi vuole essere una nuova ‘Silicon Valley’ nel mondo?”). Che l’innovazione parta da un visionario, dalla dedizione di un istituto o dalla determinazione di un paese intero, emerge comunque chiara la necessità di favorire il flusso in entrata e uscita di persone, idee ed eccellenze nel territorio designato (vedi “Innovazione e Immigrazione”). La presenza di strutture dedicate alla salvaguardia, allo scambio e alla stimolazione di idee e persone è un fattore determinante. Senza un tetto, infatti, si assiste facilmente alla tanto decantata “fuga dei cervelli”. Queste strutture possono prendere forma da poli industriali, università e incubatori di impresa (vedi “Le università italiane e le start-up innovative” e “Prove di Silicon Valley a Torino”). Fondamentale e prioritario, resta comunque la volontà di provare e rischiare, la forza d’animo per rialzarsi anche quando si fallisce, e lo spirito per allargare sempre i propri orizzonti. Per fare un’analogia, la necessità di un’economia costruttiva è paragonabile al bisogno dell’uomo di respirare. Occorre permettere ai singoli e ai gruppi di innovatori di “respirare”, scambiare competenze, idee ed eccellenze.
Ecco dove sorgono tutte le Silicon Valley del mondo:
Silicon Valley
California, nata in modo spontaneo da Mr Hewlett e Mr Packard, che per fare tecnologia avanzata nelle radiofrequenze hanno generato il cluster di cervelli da cui è nata tutta la microelettronica, prima attorno all’Università di Stanford poi a tutte le altre dell’area.
Bangalore
anch’essa cresciuta da sola attorno al grande sviluppo in trent’anni di Infosys e che da sempre continua a confrontarsi con la California perché sa di essere diversa, ma si sforza di esserlo sempre meno.
Kendall Square
Cambridge al MIT, è un secondo modello dove la spontaneità è favorita da una grande università. Assopitasi la ‘Route 128’ (troppo lontana da tutto), sono comparsi Presidenti del MIT visionari come Jerry Wisner e Chuck Vest che non solo hanno investito pesantemente in ricerca attirando i più grandi scienziati, ma hanno anche chiamato i migliori architetti del mondo per dare casa a esperienze trasgressive come il Media Lab o disegnare modernissimi edifici per richiamare grandi aziende di ricerca in laboratori aperti al MIT. Allo stesso tempo, a stretto contatto del Campus, a Kendall Squre, hanno creato spazi per tutte le Start Ups possibili, in Bio, Info, Web, Energia.., dove giovanissimi imprenditori lavorano per le loro startup a contatto di gomito tra loro, con i colleghi dell’industria e con gli investitori. Sulla linea del MIT stanno muovendosi tante altre Università dalla CMU di Pittsburg, a Georgia Tech. Rice.
Waterloo
in Canada, parco monotematico destinato al “Quantum Computing”, è il primo esempio del terzo modello, quello delle iniziative di imprenditori che hanno deciso di reinvestire in promozione dell’innovazione il ricavato a volte gigantesco di precedenti iniziative. Waterloo è nato dai 100 milioni di $ Mike Lazaridis fondatore della Black Berry.
Las Vegas
invece, è assolutamente privo di tema. Una ristrutturazione a ‘Incubatore Urbano’ del centro totalmente degradato della città, e tutta centrata sulla creazione di ‘vicinanza dei cervelli più innovativi e trasgressivi. L’iniziativa è tutta a carico (forse con un recondito fine di valorizzazione immobiliare) di But Hsieh, fondatore di Zappos (una società di vendita on line di scarpe di ogni tipo), che vi ha investito 350 milioni dei 900 ricavati dalla sua cessione ad Amazon.
Secondo il New York Times questo, dei giovani straricchi che reinvestono in nuove imprese il ricavato della collocazione in borsa (a prezzi a volte folli) delle loro Start Up, pare sia il modello di creazione d’impresa vincente, e andrebbe incentivato con cura. (Da “Myspace’s Ashes, Silicon Start-Ups Rise”, NYT Technology, Settembre7 2013)
Un modello intermedio tra questi tre, che fanno molto leva sul capitale privato, e gli ultimi tre, che vedremo tutti realizzati da fondi pubblici, è quello che si può riconoscere nei casi di Pechino e Londra.
Pechino
dove un governo pianificatore per definizione ha dato risorse e spazi per fondare la ‘Info Technology Cinese’ sotto la guida di Kai-Fu Lee, un imprenditore di ritorno della grande Scuola Americana di Management e Tecnologia e già direttore di Google e Microsoft Asia.
Londra
dove un Primo Ministro intelligente e con grande capacità di visione aveva osservato che in una estesa area di East London si raggruppavano spontaneamente numerose e diverse iniziative innovative, ed è intervenuto con un’opera di riqualificazione urbana che ha dato vita a ‘Tech City’, oggi un polo di attrazione straordinario per le giovani imprese innovative.
Esiste infine il modello dell’intervento pubblico che programma la promozione e il sostegno, con grandi fondi, di intere regioni o di migliaia di persone.
Parigi-Saclays
dove lo stato concentra in una grande area di 600.000 abitanti grandi imprese industriali operanti in settori a tecnologie avanzate, scuole tecniche e università di ingegneria, centri di ricerca pubblici.
Mosca
dove sempre lo stato pianifica di investire 2,5 miliardi di $ in una grande area per farla diventare un cluster di innovazione tecnologica ad ampio spettro e chiama il MIT a costruire il motore centrale della eccellenza.
Israele
infine, il caso straordinario dell’esercito che con i 5 anni di servizio militare forma i suoi giovani più dotati di talento ‘digitale’ per farli diventare il più grande ‘reggimento’ al mondo di hackers dedicati a ‘intelligence” per la sicurezza nazionale.
Alla fine del servizio li segue e li aiuta, poi, in qualunque start up venga loro in mente di fondare. E’ così che, oggi, tante giovani aziende israeliane sono anni avanti, nel business in grande crescita della Cybersecurity, a quelle Americane , Inglesi , Francesi e Russe.
Ora una riflessione sull’Italia. Gli incubatori per Start Up non mancano.
L’associazione degli Incubatori Universitari Italiani, PNI Cube
ha 38 membri, che stimola con iniziative molto interessanti a livello capillare. Ma la ridotta dimensione dei singoli resta un problema di tutto il mondo industriale nazionale. Si opera perché la loro rete possa superare la mancanza di massa critica per farne un vero motore di sviluppo per un paese che nell’orribile crisi economica in cui vive, ha davvero bisogno di tante nuove aziende innovative. Qualche caso promettente c’è e, tra tutti, per la nostra selezione a livello globale, abbiamo scelto quello di Torino. Leggetene la descrizione, e vedrete il perché della scelta.