BERLINO – Edward Snowden, responsabile delle rivelazioni dei documenti segreti della National security agency (Nsa) americana, era rimasto solo, lo scorso mese di giugno, barricato nella sua stanza d’albergo a Hong Kong. Poco prima aveva consegnato i file che stanno facendo tremare le relazioni transatlantiche ai giornalisti Glenn Greenwald e Laura Poitras. Il suo piano prevedeva di rimanere fermo in attesa dell’arresto. Probabilmente, assicurano fonti che hanno seguito questa storia da vicino, ora si troverebbe già in isolamento in una prigione negli Stati Uniti se non fosse stato per l’intervento di Wikileaks. Ma cosa unisce, realmente, Wikileaks e la talpa dell’Nsa?
Il 17 giugno scorso il vertice del G8 a Lough Erne, Irlanda del Nord, si svolge all’ombra delle rivelazioni dei documenti di Snowden riguardo allo spionaggio dei Government communications headquarters (Gchq), il servizio di intelligence del Paese anfitrione, la Gran Bretagna. I documenti parlano chiaro: Londra ha spiato i capi di stati nel precedente vertice del G-20. In quelle stesse ore, dall’ambasciata ecuadoriana nella capitale britannica, il fondatore di Wikileaks, l’hacker australiano Juliane Assange, muove le pedine per soccorrere «un giovane coraggioso», che evidentemente non sa come muoversi. Per farlo, gioca una carta sicura: Sarah Harrison.
La giornalista Harrison, 31 anni, è una persona solare, un fiume di parole in piena sul suo lavoro e una tomba sulla sua vita personale. È una donna affascinante, ha un entusiasmo contagioso, fuma una sigaretta dietro l’altra e lascia il pacchetto aperto per gli interlocutori. Si capisce che interpreta quello che fa come una missione. «È una pedina fondamentale nel lavoro giornalistico di Wikileaks», scrive Stafania Maurizi, giornalista dell’Espresso che ha lavorato a diretto contatto con la piattaforma.
È lei la persona che è rimasta accanto ad Assange nella sua rocambolesca vicenda. È la sua assistente, la mano destra, forse – si accaniscono i tabloid britannici – anche la sua amante. Non è un avvocato, ma ha lavorato nel team legale di Wikileaks a fianco – tra gli altri – al giudice spagnolo Baltasar Garzón, «si è occupata della ricerca di base per molte vicende legali di WikiLeaks», scrive Maurizi. Harrison sa cosa significa stare a fianco di una persona perseguitata dai servizi segreti. Sa cosa implica resistere contro la minaccia dell’estradizione. Soprattutto però, sa come gestire informazioni segrete.
«Dopo che Glenn Greenwald e Laura Poitras avevano abbandonato Hong Kong, Snowden era rimasto solo», spiega a Linkiesta John Goetz, giornalista americano della tv tedesca Ard e amico personale di Harrison, «voleva attendere il suo arresto. Dopo aver parlato con Wikileaks e con gli avvocati ha accettato l’idea di rivolgersi a Paesi che avrebbero potuto garantirgli protezione. Sarah Harrison è stata decisiva, è atterrata a Hong Kong, è volata con lui a Mosca per dirigersi verso un Paese latinoamericano— Ecuador, Nicaragua, Venezuela e Bolivia avevano aperto alla possibilità dell’asilo, ndr. Ed è rimasta a Mosca con lui negli ultimi 4 mesi, prima di trasferirsi a Berlino». Nel tragitto tra Hong Kong e Mosca gli Stati Uniti annullano il passaporto di Snowden, che rimane in aeroporto fino a quando la Russia gli concede l’asilo. «La verità è che in quel momento nessun altro si è interessato a Edward Snowden». Senza l’intervento di Harrison, Goetz non ha dubbi, Snowden sarebbe ora in carcere.
Le ragioni per cui la piattaforma aiuta Snowden sono, secondo la versione ufficiale, in primo luogo una condivisione della missione e degli intenti: la convinzione che i whistelblowers – coloro che rivelano informazioni segrete di interesse pubblico – vadano protetti. «Siamo impegnati a portare avanti gli ideali della lotta per la trasparenza», assicura Kristinn Hrafnsson, portavoce di Wikileaks a Linkiesta, «riconosciamo l’importanza decisiva dei whistleblowers, era il nostro dovere morale aiutare un giovane uomo coraggioso che ha preso la decisione di pubblicare informazioni sensibili e assumersi pubblicamente la responsabilità della fuga di notizie. Va ricordato che a quel punto Snowden era rimasto senza amici. Era un compito materiale da svolgere e ci siamo resi conto che potevamo farlo».
Si è scritto in numerose occasioni che Wikileaks non pubblica documenti di Edward Snowden. Una fonte ben informata spiega che non si stanno pubblicando file di cui si possa dire che provengano da Snowden, che è un po’ diverso. In generale è piuttosto evidente che, in un momento in cui Wikileaks soffriva del durissimo colpo della “reclusione” di Assange nell’ambasciata ecuadoriana, il legame con Snowden è stato utile a riportare l’attenzione sulla causa della trasparenza e sui leaks. Sono della scorsa settimana due rivelazioni scottanti: la bozza top-secret del capitolo relativo alle proprietà intellettuali del negoziato Tpp (Trans-Pacific partnership agreement), probabilmente uno dei più rilevanti accordi economici di sempre. E ancora, il contenuto delle mail di Stratford – compagnia privata di sicurezza americana – sulla possibile esistenza di un processo segreto contro Assange negli Stati Uniti. Più visibilità, significa anche più fondi e donazioni, di cui la piattaforma ha urgente bisogno per sopravvivere.
Wikileaks ha inoltre lanciato il sito freesnowden.is per raccogliere fondi per l’ex dipendente della Nsa e fornire informazioni aggiornate sugli articoli scritti e pubblicati nel mondo sulla base dei file segreti. Se è vero che Snowden ora si può muovere liberamente a Mosca, è anche vero che questa condizione ha una scadenza piuttosto vicina: agosto del 2013. Garantire fondi per la sua difesa legale e mantenere alto l’interesse è parte della strategia di Wikileaks per trovare a Snowden una via d’uscita.
C’è in gioco, secondo Wikileaks, la libertà di espressione. «Siamo in un momento estremamente delicato: assistiamo ad una guerra contro i whistleblowers, sempre più intensa», denuncia Hrafnsson, «Osserviamo una escalation negli attacchi contro un certo tipo di giornalismo. Lo abbiamo visto con la detenzione di David Miranda – partner del giornalista Greenwald – lo abbiamo visto con l’intervento dei servizi segreti britannici negli uffici di The Guardian, che hanno cancellato file dai computer e distrutto hard disk negli uffici. Ma osserviamo anche come negli Stati Uniti giornalisti siano stati incarcerati. È un momento molto preoccupante per la libertà di espressione».