Così è…se traspare. Storie di finanza e (mancanza di) trasparenzaQuote Bankitalia, il prezzo è quasi giusto

I dubbi sul metodo di via Nazionale

Cosa succede se si ottengono numeri giusti con calcoli, se non sbagliati, almeno discutibili? Se succede in un esame lo studente viene sottoposto a una perquisizione di tutte le nozioni che ha usato per arrivare al numero. E se invece ci troviamo di fronte al documento per la valutazione del capitale di Banca d’Italia? In questo caso, il modo contorto di raggiungere il numero getta discredito su tutta la procedura, e genera un eccesso di polemiche spurie, su un tema che di polemiche legittime ne ha generate in quantità. Peccato che tra gli esperti non ci sia stato un matematico finanziario. Avrebbe mostrato che il dividendo atteso è tra l’1,6% e l’1,7%.del portafoglio riservato ai titolari delle quote, e che questo corrisponde a un valore attuale di circa 7,3 miliardi se scontato con la curva swap (quella utilizzata all’interno delle banche) e 5,1 miliardi se scontato tenendo conto dello spread italiano. In termini di dividend yield Banca d’Italia paga quindi quindi tra il 3,4% e il 5%.

La vicenda della privatizzazione di Banca d’Italia ha generato, e continua a sviluppare polemiche per molte delle scelte fatte. Commentatori si sono confrontati sulla scelta tra la proprietà pubblica o privata, la creazione o meno di un mercato delle quote, l’identificazione dei soggetti ammessi a questo mercato, il limite di quote detenibile da ogni soggetto, chi fa il mercato delle quote, e così via. In questo turbinio di polemiche di tanto in tanto si sono anche avanzati sospetti sulla valutazione prodotta da Banca d’Italia e dalla commissione dei tre esperti indipendenti. Molti hanno espresso il dubbio che questa valutazione fosse eccessiva, e qualcuno l’ha anche motivato.

E anche a me, già dalla prima lettura del documento di valutazione, è venuto il dubbio che si reggesse su ipotesi troppo arbitrarie e che nascondesse una sostanziale sopravvalutazione. Per questo avevo da tempo in mente di svelare questa sottovalutazione. E ora che l’ho fatto, mi sono imbattuto in una sorpresa.  La sorpresa è che, rimettendo in piedi la valutazione di Banca d’Italia dal punto di vista di un matematico finanziario, i conti sembrano tornare! Se mi seguite in questo pezzo, un po’ più pesante del solito, scoprirete perché. Resta solo un mistero: perché questi numeri giusti siano venuti fuori da una procedura di calcolo così arbitraria.

Rivediamo la tecnica di valutazione utilizzata dagli esperti di Banca d’Italia e approvata dagli esperti indipendenti, e capiamo perché ha sollevato tanti interrogativi, tanti sospetti e polemiche: nel sottoscritto, per primo, ovviamente. La tecnica utilizzata è quella dello sconto dei dividendi attesi. Si parte dagli ultimi dividendi, pari a 74,3 milioni, e si assume che i dividendi crescano del 5% l’anno nei prossimi 20 o 30 anni, e che poi crescano al 3% annuo all’infinito. Il fattore di sconto è dato dal tasso sui Bund aumentato da un premio per il rischio (esclusivamente rischio di mercato), e risulta pari a 4,60%. Salta subito agli occhi, e l’ha giustamente notato Luigi Zingales in un articolo sul Sole 24 Ore, che se il tasso di sconto è 4,6% e il tasso di crescita dei dividendi è 5% il fattore di sconto risulta negativo per i primi 20 o 30 anni del calcolo

Zingales fa anche notare che tipicamente il tasso di crescita dei dividendi di lungo periodo viene posto pari al tasso di inflazione e rifacendo i conti trova che il valore del capitale risulta pari a 3,3 miliardi invece che 7,5. Quello che invece ha colpito me è l’utilizzo del tasso sui Bund e premio al rischio di un modello di mercato, ignorando la presenza di un rischio Italia. La prima domanda che mi è venuta in mente è: possibile che in caso di un default della Repubblica Italiana la Banca d’Italia continui a pagare dividendi come se niente fosse? Per questo, ritenevo che l’inclusione dello spread di credito avrebbe ridotto la valutazione. Infine, se non bastasse l’arbitrarietà della scelta del tasso di crescita dei dividendi, del premio al rischio e del fattore di sconto, la relazione introduce uno sconto, per la liquidità, del 20%. Ma perché?

Ho esposto le mie perplessità e i miei dubbi a un amico di Banca d’Italia che mi ha aiutato in altre situazioni, e in un confronto prima per mail e poi davanti a una birra mi ha fatto notare due aspetti che mi erano sfuggiti nelle righe della relazione. Il primo era che i titolari delle quote di Banca d’Italia hanno diritto ai proventi che provengono da un portafoglio ben definito, che al momento ha un valore di mercato di 15 miliardi. In quella occasione mi disse anche che questa era la lettura dei legali di Banca d’Italia, anche se non è scritto in nessuna norma. Il secondo punto è che su questo portafoglio i titolari delle quote possono ricevere dividendi fino al 4%. Su questi due punti il mio senso di matematico finanziario ha cominciato a pizzicare. Dividendi con un cap al 4%? Se mi date un’ipotesi sulla volatilità del mercato, vi calcolo il dividendo atteso. E, punto tecnico, poiché uso la misura neutrale al rischio, non ho bisogno di nessuna ipotesi sul premio al rischio. Datemi la volatilità del portafoglio, e io vi valuterò Banca d’Italia!

Per chi ha pazienza, ripercorro il problema di valutazione del capitale di Banca d’Italia dal punto di vista di un matematico finanziario. Ripartiamo dal problema: il capitale a disposizione dei proprietari di Banca d’Italia è dato dal valore attuale dei dividendi futuri su un portafoglio che ad oggi vale circa 15 miliardi. Su questo portafoglio i proprietari di Banca d’Italia hanno diritto a riscuotere i dividendi fino a un livello massimo del 4% del valore del portafoglio stesso. Per un matematico finanziario, ogni dividendo del capitale di Banca d’Italia coincide quindi con una variabile casuale che è il rendimento del portafoglio, dove tronchiamo via la parte negativa e quella superiore al 4%. Per costruirvi una posizione che avesse lo stesso valore di uno dei dividendi, potreste comprare e vendere due contratti di opzione sul portafoglio di riferimento. Per chi ne sa di più, dovreste comprare un’opzione call “at-the-money forward start”, cioè un’opzione il cui prezzo di esercizio viene fissato in una data futura, e posto uguale al prezzo del sottostante in quella data. Allo stesso tempo, dovreste vendere un’altra opzione foward start con strike pari al 104% dello stesso valore del sottostante. La differenza di prezzo tra queste due opzioni è pari al valore attuale di ogni dividendo atteso futuro. Dalla somma dei valori attuali dei dividendi futuri viene fuori poi il valore del capitale di Banca d’Italia. 

Veniamo ai calcoli. Abbiamo calcolato i valori attesi di queste opzioni forward start. Ancora per chi è del mestiere, una buona approssimazione del valore di un’opzione forward start, che ad esempio verrà fissata in una data futura per la durata di un anno, è il valore di un’opzione della durata di un anno fissata oggi. Quindi, si sceglie una volatilità e poi via con la formula di Black. Per calcolare il valore del dividendo atteso in ogni anno abbiamo assunto una voltatilità del rendimento del portafoglio pari al 25%. In questo modo abbiamo ottenuto un dividendo atteso dell’1,6771% del capitale. Abbiamo poi attualizzato e sommato i valori di questi dividendi attesi per i prossimi cento anni, utilizzando i fattori di sconto estratti dai tassi swap, e arrivando a un valore di circa 7,330 miliardi. Abbiamo poi assunto che la curva di riferimento per ottenere i valori attuali fosse quella aggiustata per tener conto dello spread del rischio Italia. Con uno spread del 2,30% abbiamo ottenuto un valore di 5,114 miliardi. “Le compte est bon”, la valutazione degli esperti è confermata, ma il modello di valutazione no.

La valutazione è robusta. Se la volatilità del rendimento si dimezza la forbice resta praticamente invariata. Se invece la volatilità raddoppia la forbice diventa 4,710-6,771 miliardi. Se invece lo spread del rischio Italia ritornasse verso i 400 punti base, il livello inferiore della forbice diminuirebbe a 3,690 miliardi. Se invece il valore del portafogio perdesse l’1%, il valore del capitale diminuirebbe di 251 milioni nella parte alta della forbice e 191 milioni nella parte bassa. 

In conclusione, la strana vicenda del valore delle quote Banca d’Italia insegna la cautela nella valutazione. E questa cautela dovrà anche indurre le banche a non nutrire soverchie speranze di utilizzo di queste rivalutazioni per rafforzare il capitale. Nella sua audizione alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, il Governatore Ignazio Visco cita che queste rivalutazioni potranno essere utilizzate, secondo la nuova normativa nota come CRR in vigore dal 1 gennaio 2014, se le quote verranno classificate tra quelle riportate al fair value.

Quello che Visco non dice, e che ricordiamo noi, è che con la stessa normativa alle banche sarà richiesto di accantonare capitale a fronte di errori di valutazione dei titoli calcolati al fair value. Questo accantonamento è basato sulla differenza tra il fair value e valutazioni di tipo conservativo, chiamate AVA (Additional Valuation Adjustment). Le banche dovranno riempire fogli Excel con le possibili fonti di errore di valutazione, dalla trasparenza dei dati al rischio di modello. Abbiamo mostrato qui che per il rischio di modello c’è di ché sbizzarrirsi.

Se Visco vuole davvero che le banche utilizzino l’affaire Banca d’Italia per un briciolo di capitale in più, incoraggi la trasparenza. Nemmeno nella più opaca delle cartolarizzazioni si nasconde la composizione del portafoglio che sta all’attivo. Ora che stiamo cartolarizzando Banca d’Italia, ci saremmo aspettati più trasparenza.  

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