Il regalo dell’esecutivo Letta fa comodo a tutti, ma l’Inps ha letteralmente vinto alla lotteria. Il decreto sulla rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, approdato il 4 dicembre in Senato, fissa il loro valore in 7,5 miliardi di euro, dai 156mila iscritti a bilancio dal lontano 1936. Nel bilancio 2012 dell’ente previdenziale, infatti, la partecipazione del 5% nell’istituto centrale nazionale è contabilizzata a soli 7.800 euro nominali (vedi tabella sotto). Cifra che schizzerà a 375 milioni di euro. Un aumento del 5mila per cento.
Pochi giorni fa la Corte dei Conti è tornata a bacchettare con severità – succede ogni anno – l’ente guidato da Antonio Mastrapasqua. «La ripresa del flusso contributivo, alimentata dalla gestione privata e in particolare dal lavoro autonomo e ancor più dai “parasubordinati”, non riesce a ripianare lo squilibrio tra le ambedue essenziali componenti di quasi tutte le gestioni, non sufficientemente bilanciato da apporti statali quantitativamente e qualitativamente adeguati, con conseguente dilatazione dei saldi negativi e dell’indebitamento, aggravati dal fondo di nuova acquisizione dei dipendenti pubblici, in progressivo e crescente dissesto», hanno scritto a chiare lettere i magistrati contabili nella loro relazione sul bilancio dell’anno scorso.
Colpa dell’incorporazione dell’Inpdap, la cassa del pubblico impiego che strozza l’Inps: «L’avanzo finanziario del periodo anteriore – già disceso dalla punta di 13,5 mld di euro nel 2008 agli 1,3 mld nel 2011, a seguito della crisi economica – si è tramutato in un deficit di 7,9 mld nei dati assestati del 2012 e il consuntivo dello stesso anno ha chiuso con un saldo negativo prossimo ai 9,8 mld», recita ancora la relazione della Corte dei Conti. «Le risultanze economiche totali, che avevano già segnato perdite di 1,4 mld di euro nel 2010 e di 2,3 mld nel 2011, registrano un più pesante deficit di 12,2 mld nel 2012 – influenzato dalla incorporata gestione ex INPDAP – che si traduce in una corrispondente contrazione dell’avanzo patrimoniale», prosegue la relazione. Certo, 375 milioni di euro sono bruscolini rispetto a una perdita netta d’esercizio di 10 miliardi. Eppure il decreto prevede la loro trasferibilità. Volendo – è un’ipotesi di scuola – Mastrapasqua potrebbe mettere sul mercato quel 5% per fare cassa. Un’opportunità che prima del decreto firmato da Saccomanni, ex direttore generale di Bankitalia, non era prevista a meno che il compratore non fosse un soggetto pubblico, come recitava la legge 262 del 2005, fortemente voluta dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti e ora definitivamente tramontata.
Le uniche gestioni Inps a generare utili, come è noto, sono quelle dei lavoratori temporanei e parasubordinati. Scrive la Corte dei Conti: «La ripresa del flusso contributivo – alimentata dalla gestione privata e in particolare dal lavoro autonomo e ancor più dai “parasubordinati” – non riesce a ripianare lo squilibrio tra le ambedue essenziali componenti di quasi tutte le gestioni, non sufficientemente bilanciato da apporti statali quantitativamente e qualitativamente adeguati e invece aggravato dal fondo di nuova acquisizione dei dipendenti pubblici, in progressivo e crescente dissesto». Traducendo: meno male che ci sono i precari, che comunque non bastano a mantenere i conti in equilibrio. Ciò nonostante, dopo aver inviato di recente una lettera preoccupata a via XX Settembre, proprio in relazione al disavanzo Inpdap, Mastrapasqua ha cercato di correre ai ripari spiegando: «È solo un problema contabile, che non mina la certezza dei flussi finanziari. Nessun rischio né per oggi né per domani. Le pensioni sono e saranno regolarmente pagate».
L’Inpdap ha portato in dote un debito di 10,2 miliardi di euro oltre a 5,8 miliardi di passivo per il 2012. Non solo aumentando da 2 a 8,8 miliardi il rosso dell’Inps, ma riducendone anche da 41 a 25 miliardi il patrimonio. Come mai? Per il blocco del turnover ma soprattutto perché lo Stato ha evaso i contributi che avrebbe dovuto versare prima alla Ctps (Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato) e all’Inpdap dal ’96 in poi, pagando solo la quota della contribuzione a carico del lavoratore (8,75%) e non la quota a loro carico pari al 24,2 per cento. Il risultato è che per ripianare l’evasione dello Stato, lo Stato ha dovuto metterci una pezza da 6,8 miliardi di euro (vedi tabella sopra). Soldi che rientrano nel novero dei 93 miliardi che lo Stato si è dovuto sobbarcare attraverso la Gias, i trasferimenti a sostegno della gestione assistenziale. Nel 2011 erano 83 miliardi. Dieci miliardi di debito in più.