Parlare di un libro come Addio, Monti, di Michele Masneri, appena uscito dalle fucine minimumfax, è cosa ardua e complicata. E lo è per due motivi, principalmente. Il primo è che non mi è piaciuto leggerlo. Il secondo è perché sono convinto che, proprio per questo, sia un libro perfettamente riuscito. Ecco, ora che ho sputato il rospo mi tocca la parte difficile: spiegarvi che diavolo significa questo strano paradosso. Possiamo cominciare.
Prima di tutto, in Addio, Monti,Michele Masneri, che alcuni di voi già conosceranno per averne letto gli articoli su Il Foglio e Rivista Studio, non racconta una storia, mette in scena un mondo, anzi, lo fa mettere in scena da due narratori: il primo narratore, che è quello che si prende la responsabilità di prendere la parola (la narratologia chiamerebbe di primo grado) non ha nome. Il secondo, che in realtà è una seconda, si chiama Gloria.
I due si trovano in un supermercato, nella Sma di via dell’Amba Aradan, nel quartiere Monti, a Roma. È il primo livello della narrazione, un luogo che è un non-luogo – un supermercato – che Masneri utilizza soltanto come contenitore. È lì, infatti, tra gli scaffali, le casse e le pile di prodotti in vendita, che l’anonimo e Gloria si scambieranno le chiacchiere, i «flussi e riflussi di coscienza», che sono poi il vero materiale narrativo del libro. Proprio da queste chiacchiere, infatti, prenderà vita quel mondo di cui accennavo prima, un mondo decadente, misero, grottesco e laido, la cui descrizione ha parecchie assonanze con una certa parte dell’Italia contemporanea, ovvero il secondo livello della narrazione.
I radical chic Camilla e Roberto, il giornalista Massimo Minorenti, il presentatore televisivo Luigi Lucheni, lo scrittore Vincenzo Ansaldi, (peraltro autore – nel romanzo – di Addio, Monti, omonimo di quello che sta leggendo il lettore) sono i personaggi che si alternano nelle chiacchiere dei due narratori, personaggi di una tragedia farsesca che è, in larga parte, come già detto, quella dell’Italia contemporanea, con le sue ipocrisie, i suoi tic intellettuali, le sue marchette senza vergogna, i suoi vizi e le sue aberrazioni.
Tutto ciò, Michele Masneri lo cucina dentro un gran paiolo, bombardando il lettore, quasi stordendolo con un fiume di parole e con quella struttura narrativa a livelli sovrapposti accennata prima, non mollando praticamente mai la presa e lasciando il lettore in balia di un gran caos in cui è difficile mantenere il controllo.È per questo motivo che leggere Addio, Monti non mi è piaciuto: perché è stato faticoso, perché mi ci sono perso più volte, e più volte sono dovuto ritornare sui miei passi, perché ha messo alla prova la mia pazienza. Insomma, perché è un libro fastidioso.
E qui arriviamo al paradosso: ovvero che il fatto che, proprio per le ragioni che ho appena elencato, Addio, Monti è un libro parecchio riuscito, perché riesce a dare attraverso una forma la stessa sensazione che il lettore prova attraverso il suo contenuto, quella miseria umana e intellettuale che emerge dai personaggi che ne calcano il palcoscenico, e che è fastidiosa, triste e ipocrita, come solo sa essere l’Italia di questi anni.