Ora che si è perso tempo prezioso, ancora una volta, e sono state disattese le richieste del Capo dello Stato contenute nel messaggio inviato alle Camere l’8 ottobre scorso, apparentemente è partita una maratona per porre rimedio al ritardo e calendarizzare disegni di legge, rimasti fermi per mesi, ostaggio di un governo dalle fragili intese, e/o presentare nuovi decreti per dimostrare la volontà politica di governo e Parlamento di risolvere in modo più efficace, se non strutturale (strutturale non è scritto nel Dna dell’Italia, pare), l’emergenza penitenziaria e il nodo mai sciolto della giustizia. Eppure, nonostante i due decreti svuota-carceri voluti dal ministero della Giustizia Annamaria Cancellieri, che tali non sono – a dispetto dell’ideologica campagna de Il Fatto Quotidiano, che li sta presentando ai suoi lettori come un diabolico stratagemma per trasformare il carcere in un fast-food, entri-mangi-a-sbafo-esci, raggiungendo vette mai sfiorate neanche dal giustizialismo forcaiolo padano nei suoi anni migliori – nel 2014 Enrico Letta dovrà affrontare con più coraggio due riforme improrogabili: carceri e giustizia. E non solo per mostrare sensibilità verso l’umanità dolente rinchiusa in carceri super-affollate, ma anche per evitare di arrivare al semestre europeo come premier di uno «Stato torturatore».
I due decreti del governo
Sull’emergenza carceri, sebbene i due decreti governativi abbiano un effetto “deflattivo” sul sovraffollamento che si realizzerà gradualmente, il governo non è stato capace di agire sui grandi numeri, che rendono la detenzione «inumana e degradante», come ci ha detto e ribadito l’Europa. Ecco perché i Radicali italiani, dopo la marcia di Natale, insistono: «Come ha chiesto il presidente della Repubblica, ci vuole un provvedimento di amnistia e indulto», spiega a Linkiesta la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini. «Altrimenti ogni riforma, anche la migliore non potrà funzionare. E non solo per il sovraffollamento penitenziario. Con quasi dieci milioni di procedimenti pendenti (civili e penali, ndr), i tribunali sono obbligati, a discapito dell’obbligatorietà dell’azione penale, a prescrivere 500 processi all’anno a causa della loro durata. E la condanna esecutiva della Cedu, la Corte dei diritti dell’uomo, a fine maggio del 2014, sarebbe un pessimo biglietto da visita per l’inizio del semestre europeo italiano».
Carceri, aprite quelle celle, anzi no
Nel luglio del 2013 il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha inviato in tutti gli istituti di pena una circolare per chiedere di applicare una «sorveglianza dinamica», ossia meno improntata sul controllo e più orientata verso la rieducazione per rendere più dignitosa l’esecuzione della pena, «con modalità più rispondenti alle prescrizioni della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, rilanciando l’attività trattamentale». Optando per un regime aperto durante il giorno nelle sezioni di media sicurezza anche per permettere, nelle celle più sovraffollate, di trovare gli agognati 4 metri quadrati di spazio per ogni detenuto. Si tratta di una misura minima per evitare di continuare a perpetrare quella che Marco Pannella chiama «flagranza criminale», ossia espiazioni di pene inumane e degradanti. Eppure, come ha rilevato Ristretti Orizzonti, una sorta di Big Data sulle carceri italiane, ciò non è ancora avvenuto in 80% degli istituti di pena.
Totale dei detenuti presenti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2013
(Fonte Ministero della Giustizia)
La riforma mancata del lavoro in carcere
Secondo il decreto estivo introdotto dal ministero della Giustizia, si deve implementare il lavoro delle carceri, ma si tratta di una riforma ancora da applicare, si spera, nel 2014. Come spiega bene il Decimo rapporto sulle carceri dell’Associazione Antigone: «Al 30 giugno lavoravano 11.579 detenuti, il 17,5% dei presenti. Una percentuale bassa, ma che sarebbe ancora più bassa se non si ricorresse al frazionamento. Dove un tempo lavorava un detenuto, ricevendo un compenso dignitoso, oggi lavorano in due, per fare una rotazione. Ce ne sono altri 2.148 che lavorano per datori di lavoro (cooperative o aziende) ma solo 1266 fuori dal carcere. Quasi tutti in Veneto, Lombardia, in Lazio. Negli altri istituti il lavoro è inesistente.
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Il giallo sui dati delle presenze
Il precedente decreto svuota-carceri estivo (quello approvato a dicembre deve essere convertito in Parlamento entro febbraio) avrebbe portato la popolazione penitenziaria da 67mila a 64mila, ma bisogna considerare che ogni anno, fra Natale e Capodanno, almeno mille detenuti escono per permessi premio. Infatti a fine anno del 2012 erano 65mila. Quindi per ora la diminuzione sarebbe di soli mille detenuti. Pochi, considerato che la capienza è di 37mila posti, poiché molte strutture penitenziarie sono inagibili. E poi ora la «conta» finale di tutti i detenuti si fa alle cinque di pomeriggio per poter inviare più velocemente i dati al Dap, ma in questo modo si truccano i numeri, perché non si contano quelli che rientrano alla sera, perché semiliberi o assenti di giorno per lavori all’esterno. Morale, nonostante la buona volontà del guardasigilli, il dramma del sovraffollamento non è stato né sarà risolto a colpi di decreti. E la condanna europea di maggio del 2014 è alle porte.
Foto tratta dal webdoc Insidecarceri realizzato da Next New Media e l’associazione Antigone
Giustizia (mancata) . La sfida rimandata sine die.
Mancano all’appello tutte le riforme più importanti. Nonostante la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, abbia scritto una relazione sul messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere, per avviare un dibattito sulle riforme richieste dal capo dello Stato, non è mai stato messa all’ordine del giorno una discussione in Aula sul drammatico e urgente appello del presidente della Repubblica. Nella relazione, che Linkiesta ha recuperato, si descrive una panoramica su carceri e giustizia, con una sintesi delle riforme mai esaminate.
La riforma più importante, che ha conseguenze sul sovraffollamento carcerario e il numero rilevante dei detenuti in attesa di giudizio (24.744) riguarda la custodia cautelare che, nelle intenzioni del legislatore, deve essere maneggiata con più cura e ponderazione. E’ stata approvata in commissione Giustizia e finalmente approderà in aula l’8 gennaio, ma la presidente della commissione Giustizia, teme modifiche ed emendamenti da entrambi gli schieramenti per via «degli steccati ideologici». Forza Italia cercherà un aiutino per Silvio Berlusconi, mentre il Pd sarà condizionato dalle posizioni meno garantiste.
E infatti ora il premier Letta ha annunciato che nel primo Cdm dell’anno si esaminerà un decreto apposito che vaglierà l’ipotesi di avere un collegio di tre giudici per decidere se applicare o meno la custodia cautelare. Un progetto che sta facendo perdere i lumi della ragione a Marco Travaglio, ma che vorrebbe essere una risposta, seppur parziale, alle richieste del capo dello Stato sulla riforma della Giustizia. E anche alle considerazioni del primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo che, prima di lasciare il suo incarico nel giugno scorso, ha sottolineato come
«L’elevato numero dei detenuti non definitivi siano un sintomo dello squilibrio del processo italiano.
Uno squilibrio fra la gravità indiziaria e la motivazione per la custodia cautelare».
Il ddl parlamentare sulla custodia cautelare in carcere prevede anche un accenno di riforma processuale perché propone la soppressione dei procedimenti con imputati irreperibili (ce lo chiede l’Europa, che ha aperto anche una procedura di infrazione sui costi inutili dei processi con imputati in contumacia).
Alla base delle molte condanne ricevute dall’Europa infatti, c’è il nodo gordiano della lunga durata dei processi. La legge Pinto, che prevedeva risarcimenti per le vittime della lunga giustizia, ossia l’irragionevole durata dei processi, non è servita a molto: oggi ci sono 350 milioni di euro da risarcire ai cittadini. Inoltre secondo Bankitalia, il costo dei ritardi processuali dei quasi 10 milioni di procedimenti pendenti è di 16 miliardi di euro. A cui si aggiungeranno i 100 milioni richiesti dai detenuti alla Cedu perché questi hanno scontato una doppia pena in una cella sovraffollata. Ecco perché i Radicali italiani, appoggiati dal capo dello Stato, insistono con l’amnistia, che permetterebbe di ridurre il carico di processi che non si celebreranno mai, con gravi violazioni dei diritti degli indagati. Quindi se il premier Letta vuole entrare a Bruxelles dalla porta principale, deve risolvere tutti i problemi giudiziari, che si ripercuotono sull’affollamento delle carceri. Nel testo annunciato dal premier per l’inizio del 2014 da discutere nel Cdm, si affronteranno vari temi: custodia cautelare, archiviazione dei processi minori che ingolfano i tribunali, pene pecuniarie per i ricorsi alla Cassazione poi definiti inammissibili, semplificazione dei ricorsi.
Mancano all’appello delle riforme cruciali però, come la rimodulazione della legge sugli stupefacenti e della Bossi-Fini sull’immigrazione, che contribuiscono a riempire le carceri, impedendo spesso, a causa della discrezionalità del magistrato di sorveglianza, un percorso rieducativo e l’accesso alle misure alternative. E anche se l’ultimo decreto del ministro della Giustizia approvato il 17 dicembre prevede di aumentare i giorni di liberazione anticipata e potrebbe, nelle intenzioni del guardasigilli, ottenere un ulteriore effetto “deflattivo” sul numero dei detenuti in carcere, ci sono alcuni paletti che suscitano dei dubbi. Per avere più giorni di liberazione anticipata, i detenuti devono infatti aver fatto un percorso trattamentale, rieducativo, che gli istituti di pena non sono in grado di offrire sia per mancanza di spazi sia per la congestione nelle carceri. Inoltre, devono presentare una relazione positiva redatta da un educatore che, spesso, per mancanza di organico, arriva in ritardo, a volte persino a condanna già espiata. Perciò se non si interviene con urgenza, in modo strutturale, dopo vent’anni di attese, continueremo a fare il patetico gioco del cane che si morde la coda. E, come ha ribadito il capo dello Stato «Non si può più perdere un solo giorno». La riforma della giustizia e del sistema penitenziario ormai è diventata l’unica via per evitare la condanna europea che accusa lo stato italiano di torturare i suoi cittadini reclusi, ma anche un obbligo morale verso i cittadini italiani.