L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino è seduto in prima fila, dietro di lui c’è il senatore Franco Carraro. L’amico fedele Gianni Letta è sul palco, impeccabile nel doppiopetto grigio. Pippo Baudo è al suo fianco. Tra la folla si intravedono Paolo Cirino Pomicino e il berlusconiano Renato Farina, giornalista, già deputato, ora collaboratore del gruppo parlamentare di Forza Italia. Più in disparte siede Luigi Bisignani, l’uomo che sussurra ai potenti. Anche stavolta costretto alla lunga processione di chi si presenta, gli chiede un consiglio o anche solo una stretta di mano. Davanti a tutti ci sono il figlio Stefano e la mitica segretaria Patrizia Chilelli. In fondo alla piccola sala ha trovato posto anche Giancarlo Buttarelli, lo storico caposcorta.
Amici, parenti e volti noti della Prima Repubblica si sono dati appuntamento ieri sera per commemorare Giulio Andreotti. Un incontro organizzato dall’Istituto Luigi Sturzo in occasione del novantacinquesimo genetliaco dello statista italiano, scomparso lo scorso maggio. La sala al centro di Roma è piena, tanti curiosi sono costretti a rimanere fuori. La seconda Repubblica invece non c’è. Nessun leader politico, nessun rappresentante delle istituzioni. Fa eccezione il Quirinale. Il presidente Giorgio Napolitano ha inviato un saluto ufficiale dal Colle, che viene letto tra gli applausi.
È Gianni Letta a ricordare «la devozione, l’amicizia e l’affetto» di questo incontro. «Un affetto che troppi hanno dimenticato». Sette volte presidente del Consiglio, cinque volte ministro degli Esteri, il più giovane titolare degli Interni, 68 anni di vita parlamentare. Ma la politica italiana, salvo qualche eccezione, sembra aver già voltato pagina. Letta denuncia senza troppi giri di parole quel «silenzio che in maniera invereconda e scandalosa» ha seguito la scomparsa dello statista. Tra i presenti qualcuno torna con fastidio alla commemorazione organizzata in Senato lo scorso dicembre. Un appuntamento quasi offensivo. «Mi perdoneranno i signori senatori – spiega Letta – Ma quella non è stata una pagina meravigliosa di Palazzo Madama. Andreotti è stato ricordato in maniera improvvisata e frettolosa. Non c’era il presidente, il governo era rappresentato da solo un sottosegretario. Tranne Pierferdinando Casini, tra gli oratori intervenuti non c’era alcun leader».
L’incontro organizzato dall’Istituto Sturzo serve proprio a riscattare quel silenzio (dice proprio così Letta). E sono in tanti a ricordare la vita di Giulio Andreotti. C’è monsignor Leonardo Sapienza, già ufficiale addetto al protocollo della Casa pontificia. L’uomo di fiducia dei pontefici degli ultimi trent’anni rivela alcuni aspetti della vita privata di Andreotti. Dai biglietti di Natale inviati in Vaticano ai tanti, piccoli, atti di carità mai resi noti. L’innata ironia, il legame indelebile con la romanità. «Ha avuto tanti amici e tanti nemici, a cui ha sempre perdonato tutto. E questo li ha indispettiti anche di più». La gente in sala annuisce.
La sede dell’Istituto Sturzo è in via delle Coppelle, a metà strada tra Montecitorio e il Senato. Una ambientazione non casuale. È in questo palazzo che viene custodito l’archivio privato di Andreotti. Una raccolta di documenti «mitica e leggendaria», il sogno di ogni giornalista. Del resto l’ex presidente del Consiglio ha sempre rappresentato – chissà quanto realisticamente – l’essenza stessa dei segreti di potere e del Palazzo. Almeno 3.500 faldoni pari a circa 600 metri lineari di documentazione, come spiegano orgogliosi dall’Istituto. Da qui sono stati selezionati una decina di discorsi del senatore, che raccolti in un piccolo volume celebrano il ricordo dello statista. Documenti molto diversi tra loro, che condensano in poche pagine la vicenda politica di Andreotti ripercorrendo la storia del Paese. C’è un intervento durante i lavori dell’Assemblea Costituente e un discorso nell’Aula del Senato del 2005. Ci sono le parole drammatiche del 16 marzo 1978, al momento di presentare il suo IV governo, poche ore dopo il rapimento di Aldo Moro. Non manca il pensiero di chi lo ha conosciuto. Le ultime pagine raccolgono uno spaccato intimo del senatore, a tratti inedito. I racconti familiari del figlio Stefano e quelli dei cardinali Fiorenzo Angelini – amico di una vita – e Tarcisio Bertone. Persino di Francesco Totti, capitano della Roma, squadra di cui Andreotti era tifosissimo.
In sala spetta a Pippo Baudo la memoria degli incontri nel mitico studio all’ultimo piano di piazza Montecitorio 115. Quasi sempre alle sette di mattina. «E lo trovavo sveglio già da tre o quattro ore», racconta divertito il presentatore. Baudo si sofferma su alcune curiosità del politico democristiano, dai ricorrenti mal di testa alle lettere di raccomandazione. «Uniche, originalissime». Ma svela anche i suoi grandi dolori. La lunga vicenda giudiziaria, anzitutto. I processi di mafia. «La sua vita cambiò radicalmente» ricorda. Nel ricordo di Andreotti è impossibile prescindere dagli «anni tristi dei processi, che lo hanno segnato molto» come spiega il figlio Stefano. Periodi accompagnati da un «frastuono mediatico che lascia sgomenti, rispetto al silenzio degli ultimi mesi» lamenta Gianni Letta. Più privata l’amarezza legata al film Il Divo, di Paolo Sorrentino. Raccontano che dopo aver assistito in anteprima alla pellicola dedicata alla sua vita, Andreotti si sia visibilmente infastidito, perdendo solito imperturbabile contegno. Baudo conferma. «Quando lo vide ci rimase malissimo. Mi chiamò al telefono, ce l’aveva con il regista. Continuava a ripetere: ”Quello mi rovina”».