Che impatto avranno gli stress test della BCE sulle banche europee? Saranno una farsa o un flagello? La stampa specializzata esprime pareri divergenti. Su Affari & Finanza di Repubblica del 20 gennaio Massimo Giannini conclude il suo editoriale dedicato a “profumo di guai sulle banche italiane” ammonendole a prepararsi perché “la ‘prova da sforzo’ cui saranno sottoposte rimane durissima”. All’opposto, Fabrizio Goria qui su Linkiesta in un pezzo dal titolo: “Stress test BCE alle banche, la farsa è (quasi) servita” parla di indiscrezioni sulle questioni della soglia minima di capitale che verrà scelta per considerare superati i test da sforzo e l’annosa questione del trattamento dei bond governativi.
Questa discussione sollecita riflessioni da parte di chi si occupa di rischi finanziari per professione. Da che parte ci schieriamo? La mia riflessione sul tema rimanda la risposta a tre quesiti ulteriori: due tecnici e uno politico. Quesiti tecnici: la soglia di capitale verrà considerata bassa o eccessiva rispetto a cosa? Come verranno fatti gli scenari? Questa seconda domanda, che è tecnica, ne partorisce una terza politica: la BCE limiterà l’analisi di stress solamente a scenari “politically correct”? Qui proviamo a fornire un’infarinatura sui primi due quesiti tecnici, in modo che ognuno di noi possa farsi un’idea su quale risposta dare al terzo.
Uno degli aspetti che ha sollevato scetticismo sull’efficacia dello stress test è la voce circolata sulla soglia limite che sarebbe utilizzata per verificare se una banca ha o meno bisogno di maggiore capitale. Si tratterebbe del 6% dell’attivo ponderato per il rischio, superiore di un punto alla soglia utilizzata dall’EBA e dalla FED nei loro esercizi di stress test, ma inferiore al livello dell’8% che era trapelato in precedenza. La domanda è ovvia: 6% è troppo o troppo poco rispetto a che? Per fare questo dobbiamo descrivere, seppure in maniera semplice, cosa è il concetto di stress testing del capitale a rischio. La cosa migliore è ripartire la risposta in due: cos’è il capitale a rischio e cos’è lo stress testing. E la cosa migliore per capire che cos’è è dire come si fa.
Come si calcola il capitale a rischio? La parte finale del piatto, che è quella che vedremo noi, è semplice. Diciamo che avete 100.000 scenari plausibili di profitti e perdite che vi aspettano in futuro (ve li ha calcolati il risk manager). Li ordinate dal migliore (quello che vi dà il maggior profitto) al peggiore (quello che vi dà la massima perdita). Prendete il millesimo peggiore. Questo è il Value-at-Risk o VaR (Valore-a-Rischio) a un livello di probabilità dell’1% (mille su centomila). Tipicamente, è questa grandezza che determina il capitale a rischio. Se volete essere solo un po’ più sofisticati prendete la media delle mille perdite peggiori: è quello che si chiama Expected Shortfall e che sembra in odore di sostituire il VaR (indicatore della probabilità di perdita massima potenziale, ndr) come capitale a rischio. La misura dell’8% dell’attivo ponderato per il rischio che viene richiesta dalla regolamentazione alle banche vuole indicare un valore tipico, in tempi normali, di questo concetto di capitale. Tant’è vero che in alternativa potete scegliere di calcolarvelo con quelli che si chiamano “modelli interni”.
Assumete di aver calcolato il capitale a rischio e di aver trovato un valore proprio pari all’8% regolamentare: siete la banca tipo. Come calcolate il capitale di cui avrete bisogno in una fase di stress? Dovete in primo luogo definire cosa significa “stress”, e questa è la seconda domanda tecnica che affronteremo. Per ora assumiamo che “stress” significhi un crollo del PIL del 4%. Come calcolate il VaR sotto stress? Semplice: vi fate confezionare 100.000 scenari che abbiano tutti in comune una cosa: il crollo del PIL del 4%. Poi, rifate gli stessi calcoli di prima. Ordinate gli scenari e prendete il millesimo peggiore, o la media dei mille peggiori. Questo è il capitale a rischio in situazione di stress. Domanda per voi: sarà maggiore o minore dell’8% calcolato in precedenza? In generale (per non dire sempre) sarà maggiore, perché gli scenari che avete messo in ordine ora portano tutti con sé la stessa maledizione: la “sfiga” di un crollo del PIL del 4%. Per usare il termine tecnico, rappresentano la distribuzione di probabilità “condizionale” dei profitti e perdite nello scenario di stress.
Quindi, se il vostro capitale a rischio era l’8% in condizioni normali, in condizioni di stress sarà quasi sicuramente maggiore, diciamo il 10%. Il “quasi” è dovuto al fatto che nello scenario potrebbe verificarsi un crollo della correlazione. In generale in condizioni di crollo dei mercati la correlazione sale, così come è vero che nevica di inverno e non di estate. Ma esistono anche casi di nevicate estive: in corrispondenza del declassamento di General Motors a junk, nel 2005, la correlazione tra i rischi di credito diminuì. Comunque, in generale in condizioni di stress una banca ha maggior bisogno di capitale che in condizioni normali. Il calcolo del capitale a rischio sotto stress è roba del secolo scorso: di qua dall’Atlantico, l’abbiamo studiato io e Giovanni Della Lunga. Dall’altra parte dell’Atlantico, e a nostra insaputa, ha fatto la stessa cosa (seppure con procedimenti matematici diversi) Paul Kupiec, della Federal Reserve. Purtroppo per noi e per Kupiec, allora gli stress test non erano all’ordine del giorno.
Ma ecco la prima domanda. Se il capitale a rischio di una banca tipo in tempi normali deve essere dell’8%, e in tempi di stress deve necessariamente essere superiore, perché la soglia è messa sotto questo livello, al 5% o al 6%? La risposta che viene in mente è ammorbidire la naturale prociclicità del capitale a rischio. In termini più semplici, il messaggio è che le autorità di vigilanza sono disposte a ridurre la rete di protezione di capitale fino a un livello del 6% in situazioni di crisi economica. E’ tanto o è poco? Da quanto abbiamo detto sopra, il raffronto non deve essere fatto con il capitale richiesto nei periodi normali, che nel nostro caso era l’8%, ma con quello in caso di stress, che nel nostro esempio è il 10%. Quindi, se e quanto una soglia del 6% sia restrittiva o permissiva varia da sistema bancario a sistema bancario, e da banca a banca, e dipende da quanto, per ciascuna banca, il requisito di capitale in caso di stress cresce rispetto a periodi normali. Senz’altro, consentire una riduzione al di sotto del livello previsto in periodi normali è un messaggio di debolezza.
Se l’abbassamento di protezione ammesso in caso di stress è confrontato con il capitale richiesto in caso di stress, è ovvio che la rilevanza di questo abbassamento dipende anche dallo scenario di stress utilizzato. Un giudizio sullo scenario prevede due aspetti. Uno è la rilevanza dello scenario ipotizzato. L’altro è la persistenza nel tempo dello scenario stress. Il secondo aspetto non pare essere all’ordine del giorno in Europa, che ancora segue, ma a debita distanza, la scia dell’esperimento americano. È invece all’ordine del giorno negli Stati Uniti, dove mi risulta che gli stress test stiano evolvendo in una versione dinamica, nella quale le banche devono dimostrare di poter mantenere un limite di capitale per diversi anni con proiezioni realistiche dei valori di bilancio e delle attività ponderate per il rischio. Il primo aspetto è invece quello più delicato, perché è su questo che la BCE dovrà innovare, rispetto all’esperimento americano, per raggiungere l’obiettivo di restaurare la fiducia del mercato e del pubblico nel sistema bancario.
Questo ci porta alla seconda domanda, tecnica. Come si fanno gli scenari? La risposta sembra banale. Basta cercare il male, e il peggio. Ma in quali cassetti possiamo cercare il peggio? La scelta classica, che è anche quella seguita nelle linee guida dell’EBA, è rovistare nelle crisi passate. Ma la scelta è troppo ovvia e semplice, perché la storia non si ripete mai nello stesso modo. In realtà, nell’arte dello stress testing, i risk manager si confrontano con la stessa figura con cui si sono confrontati, a livello teorico, i grandi specialisti della teoria statistica delle decisioni della metà del secolo scorso, come Duncan Luce e Howard Raiffa. È la loro “diabolica Mrs Nature” la persona con cui si confrontano, in un gioco serio come quelli della teoria dei giochi, i risk manager. I risk manager valutano le loro strategie pensando che la “diabolica Mrs Nature” sceglie la sua, con il fine di sconfiggere, per gioco, il risk manager. È un po’ coma la partita a scacchi tra la morte e il soldato nel Settimo Sigillo di Bergman.
È chiaro che la “diabolica Mrs Nature” ha un vantaggio sul risk manager, perché non conosce solo gli scenari passati, ma anche tutti gli scenari possibili che non si sono verificati e quelli che si potranno verificare in futuro. E li ha a sua disposizione tutti, per sconfiggere il risk manager. Fare stress testing significa cercare queste armi nascoste. Sempre in un passato lontano, con lo stesso co-autore, Giovanni Della Lunga, abbiamo esplorato la possibilità dell’intelligenza artificiale, facendo incrociare e riprodurre gli scenari con strumenti di intelligenza artificiale come gli algoritmi genetici, che cercassero lo scenario peggiore. Ma la “diabolica Mrs Nature” non è una macchina, ha una sua sensibilità, e sue intuizioni che non vengono fuori dal patrimonio genetico della sfiga passata. All’ultima pizza, Giovanni mi ha parlato di un’altra possibilità: che Mrs Nature abbia a che fare con l’intelligenza collettiva nei big data? Penso di aver bisogno di altre pizze per capire e molte altre per essere in grado di raccontarvi di questo in maniera comprensibile.
Ma il punto è chiaro. Il problema del risk manager è la legge di Murphy: se una cosa andrà male lo farà, se può andare male o peggio, andrà peggio, e se ritenete che non sia andata poi così male, col tempo capirete che sarebbe stato meglio se fosse andata male. In una parola, il risk manager deve avere sempre di fronte la sacra massima di Freak Antony: “se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo”.
È anche abbastanza chiaro che questo problema della ricerca dello scenario della sfiga assoluta è più difficile in Europa di quanto non sia negli Stati Uniti. Il motivo è che l’Europa è ancora un vulcano attivo, mentre gli Stati Uniti sono un paesaggio consolidato, con qualche scossa tellurica. In altri termini, nel magma europeo molte delle carte della “diabolica Mrs Nature”, gli scenari, sono ancora carte coperte da punto di vista dei risk manager. Per la gran parte, gli scenari riguardano ancora il futuro, più che il passato. Si pensi solo al fatto che la stessa costruzione di un sistema bancario europeo, e il modo in cui inciderà sul rischio dei sistemi bancari, è parte del futuro, e non consente di usare scenari passati per descrivere gli sviluppi di una crisi bancaria. C’è quindi una naturale partenza ad handicap iniziale per l’esperimento di stress test della BCE, rispetto a quelli eseguiti dalla FED e dalla FSA.
In un paesaggio come quello europeo, quindi, la BCE non potrà limitarsi a disegnare gli scenari sulla decrescita del PIL e, se non sarà più originale e creativa, non raggiungerà il fine di proporre uno stress test efficace. Su queste considerazioni si innesca la terza questione, quella della politica. E anche in questo caso, l’Europa è una cosa differente. Qui il termine “politica” non si riferisce a pressioni da parte di gruppi per la determinazione della soglia o della severità dello scenario, cose che vediamo in ogni parte del mondo. Qui, la politica può entrare pesantemente nella selezione degli scenari che la BCE potrà utilizzare per la determinazione di situazioni di stress realistici e rilevanti per il panorama Europeo.
Posta in altri termini, nel caso dell’Europa, la “diabolica Mrs Nature” potrà non solo scegliere tra scenari passati e nuovi scenari futuri. Potrà anche scegliere tra scenari “politically correct” e scenari che non lo sono. E la domanda è se la BCE avrà la capacità di seguirla sugli scenari che non sono “politically correct”. A questo punto serve un esempio. Mrs Nature potrà chiaramente giocare una situazione di stress che ha già usato in passato, per la Grecia, applicandola all’Italia.
Ecco quindi un esempio di analisi di “stress test” basato su uno scenario storico, non “politically correct”. Un default dell’emittente Repubblica Italiana che porti a uno swap, come quello della Grecia e come quello dell’Argentina, con una perdita dell’ordine del 70% sui titoli di stato italiani. Il primo effetto di questo scenario di stress per le banche italiane si può calcolare sul retro di una busta: una perdita secca di circa 280 miliardi. A questa ondata di tsunami iniziale poi subentrerebbero gli impatti sull’attività produttiva, le ulteriori perdite su crediti, gli effetti su sistemi economici e bancari stranieri. Effetti che non si possono calcolare sul retro di una busta, ma che richiedono invece un’analisi di tipo econometrico sofisticata. Sarebbe un lavoraccio, ma fattibile. Senz’altro però sarebbe un’analisi di stress che raggiungerebbe il fine di restaurare la fiducia del mercato nelle banche. Ma non sarebbe imbarazzante, da parte della BCE, ammettere la possibilità di un default di uno stato dell’area Euro? Ecco il problema politico. Ecco la politica che entra negli scenari.
Se la BCE ignora uno scenario di questo tipo, che obiezione possiamo fare per convincere il pubblico che la “diabolica Mrs Nature” non lo userà nel gioco, e che quindi l’analisi di stress test è fatta ad arte? In fondo, Mrs Nature questo scenario l’ha giocato in un passato recente. Perché non dovrebbe fare parte delle sue scelte future?
E cosa succederebbe se la BCE “vedesse” le carte di Mrs Nature? Mrs Nature potrebbe rilanciare, pescando una carta che nel passato non abbiamo visto giocare. La carta si chiama: “scenario del rischio di ridenominazione” della valuta. Potrebbe qualcuno contestare che quella carta non facia parte del mazzo? Evidentemente no, se è vero, a quanto mi consta, che la definizione di questa fonte di rischio è stata usata da Mario Draghi. Ma potrebbe la BCE ipotizzare come possibile uno scenario di uscita dall’Euro di uno dei paesi dell’area? Pur con la stima, che per me è personale, verso Mario Draghi, ritengo che la BCE non possa osare tanto.