Qualcuno aveva già preparato la valigia, per trasferirsi a Roma aspettava solo la conferma dal Quirinale. Qualcun altro la valigia non l’aveva nemmeno presa in considerazione: entrato nella squadra di governo di Enrico Letta, fino a poche ore fa era certo di vedere confermato l’incarico. E poi ci sono quelli bruciati dal totoministri. Candidature più o meno reali, protagonisti dei retroscena giornalistici dell’ultima settimana. A forza di veder girare il proprio nome, alcuni si erano davvero convinti di essere a un passo dall’esecutivo. Nel migliore delle ipotesi non ci sono andati neppure vicino. Destini diversi, che da stasera accomunano il piccolo esercito di trombati renziani. Insoddisfatti di tutti i colori. Loro la cerimonia del giuramento – in programma domattina al Colle – se la vedranno da casa. In diretta tv.
Difficile non pensare a Emma Bonino. La titolare degli Affari Esteri era prossima a una conferma, ma il presidente del Consiglio ha deciso di sostituirla con la giovane democrat Federica Mogherini. Nel Palazzo spiegano l’avvicendamento ricorrendo al Manuale Cencelli. Esponente del partito radicale, il ministro non avrebbe portato in dote alcun voto parlamentare. Un peccato mortale, per un governo che dalla prossima settimana inizierà il suo percorso con pochi voti di maggioranza. Soprattutto al Senato. L’addio della Bonino potrebbe non essere privo di polemiche. Pronta a candidarsi alle Europee, domani pomeriggio l’ex ministro ha organizzato un comizio a Roma, a Largo Argentina. Un incontro pubblico assieme a Marco Pannella per denunciare il suo allontanamento dalla Farnesina.
È stato escluso dalla lista dei ministri Nicola Gratteri. Magistrato anti ’Ndrangheta, il procuratore aggiunto a Reggio Calabria era a un passo da via Arenula. Fino a stasera. Il suo posto è andato all’ex titolare dell’Ambiente Andrea Orlando. I bene informati raccontano i dubbi del presidente Giorgio Napolitano. Una toga alla Giustizia. Perché correre il rischio di indisporre Silvio Berlusconi? Alla fine Gratteri sarebbe stato sacrificato sull’altare delle intese con il Cavaliere. A partire dalla riforma del Senato e della legge elettorale.
Nella fitta schiera dei trombati della prima ora trovano un posto d’onore Enrico Giovannini e Fabrizio Saccomanni. Titolari di Lavoro ed Economia durante la breve esperienza Letta, negli ultimi mesi erano entrambi entrati in rotta di collisione con Matteo Renzi. È soprattutto il caso del ministro del Lavoro, spesso critico con il Jobs Act del segretario democrat. Evidentemente la polemica gli è costata la conferma al dicastero di via Veneto. Un altro ministro che non deve essere rimasto troppo sorpreso dall’esclusione è Gaetano Qualgliariello. Responsabile delle Riforme, di fatto è l’unico esponente del Nuovo Centrodestra a perdere la poltrona. Al suo posto entrerà Maria Elena Boschi, la fedelissima renziana che nelle ultime settimane si è occupata in prima persona proprio di riforme istituzionali. Una sorta di ministro ombra, oggi finalmente uscito alla luce del sole.
Tante le vittime nell’ascesa verso il ministero dello Sviluppo Economico. La più illustre è probabilmente Mauro Moretti. Fino a stasera l’amministratore delegato di Trenitalia era dato in pole position per sostituire Zanonato. Le tante resistenze interne al Partito democratico ne hanno frenato la candidatura. Sfumato anche il nome di Luca Cordero di Montezemolo – chiacchieratissimo nell’ultima settimana – ammesso che il presidente Ferrari fosse realmente in corsa per un posto al governo. L’altro dicastero particolarmente ambito era quello del Lavoro. La decisione di nominare Giuliano Poletti brucia due alternative di grande spessore. Tito Boeri, dato tra i papabili fino a questa mattina. E Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, che lascia spazio alla collega di partito Stefania Giannini, neo ministro della Pubblica Istruzione.
Saluta il governo Mario Mauro, unico esponente dei Popolari. La sua poltrona alla Difesa passa a Roberta Pinotti. Se ne va senza lasciare alcun testimone Cecile Kyenge. Voluta da Letta al ministero per l’Integrazione, porta con sé anche il suo dicastero: cancellato da Matteo Renzi. Nella poco ambita classifica è impossibile non menzionare Guido Tabellini. Già rettore della Bocconi, è stato in ballottaggio fino all’ultimo per trasferirsi a via XX Settembre. In contatto diretto con Matteo Renzi, alla fine come ministro dell’Economia gli è stato preferito il presidente dell’Istat Pier Carlo Padoan.