È successo così, in modo apparentemente casuale: Facebook voleva regalare un’emozione ai suoi clienti-utenti, con un video ad personam “recapitato” a ognuno di noi, sul suo profilo, in occasione dei 10 anni del social network: e invece, a molti, questo video-compleanno ha regalato un sentimento di dubbio di angoscia.
Ovviamente sono tra coloro che invece di sorridere si preoccupano. Intendiamoci, il video è a suo modo un piccolo capolavoro tecnologico-mediatico: una antologia di sessanta secondi con tutte le immagini più importanti, le condivisioni, i frammenti video, di una net-life vissuta su Facebook. Quel video provoca un piacere sottile, perché apparentemente, trasforma tutti in protagonisti, in personaggi da celebrare.
La presentazione di “A look back” da parte di Facebook
Ma è davvero così? Proprio rivedere questa miracolosa sintesi, nello stesso momento in cui ci compiaceva, poneva infatti a tutti noi, per l’ennesima volta, una domanda orwelliana: è possibile che ci sia qualcuno, fuori dalla mia vita, che se la ricorda meglio di me? È possibile che le mie emozioni siano sintetizzabili da un algoritmo, con più esattezza che con uno sforzo mnemonico? E soprattutto: di chi è la proprietà di questa vita, il suo più intimo copyright, nel momento in cui quelle immagini che io avevo dimenticato, o addirittura perso, sono dislocate in uno spazio virtuale che non è più nella mia disponibilità ma di cui Facebook detiene la proprietà e i codici di accesso?
Mi viene in mente un film non celebre con Robin Williams, “Final cut”, in cui il protagonista è un ricercatissimo montatore, autore di video celebrativi funerari. La vera cerimonia di trapasso, insomma, è quel video di congedo di cui Williams diventa l’artista supremo. Bene, adesso non serve più nemmeno la mediazione umana: adesso Facebook ha tutto in mano.
Un look back satirico su Silvio Berlusconi
La materia prima di questo racconto è tutto quello che un tempo chiamavamo privacy: le foto private, le foto del mare, quelle dei compleanni, e soprattutto bambini, bambini, bambini. Di nuovo, in una schizofrenia che mi incuriosisce ogni volta, dopo aver costruito una Authority per custodire e tutelare i nostri dati sensibili, consegnamo le chiavi della nostra memoria ad una istituzione immateriale come un social network. E, anche per questo motivo, mi chiedo come ho fatto fino ad oggi a resistere alla tentazione fortissima di mettere le immagini di mio figlio sui social network, di farlo entrare nell’Agorà della società civile con un rito battesimale digitale che spesso appare necessario, naturale e inevitabile. Resisto, ma potrei cedere in ogni momento, perché la tentazione è forte, e il punto di resistenza è puramente simbolico e consapevolmente velleitario: non sarà già nelle bacheche dei genitori dei suoi compagni, in tante foto di classe? E di chi è questo diritto di scelta: suo o mio?
Un look back satirico su Marco Branca
Anche perché un fatto è certo: gli archeologi del futuro non lavoreranno sui reperti stratigrafici, ma sulla nuvola dei database. Per questo il regalo di Facebook è un piccolo frutto avvelenato, non è un errore, ma un coming out da Grande Fratello, che mostra i muscoli e ci dice: il padrone della tua via sono io.