Dalle telco che reclamano i propri diritti sulla gestione della banda fino a improbabili iniziative politiche che mirano a tassare i big del web, passando per la tutela del diritto d’autore, sono tanti quelli che vorrebbero cambiare i connotati della rete per aggiornarla, trasformarla radicalmente o, addirittura, sovvertirne i fondamenti con la scusa di correggerla. Eppure sembra che ci sia anche chi, come Google e una sconosciuta organizzazione umanitaria emersa negli ultimi tempi agli onori della cronaca, per Internet sia alla ricerca di una nuova casa. Il progetto Loon di Mountain View prevede di lanciare dei palloni aerostatici in grado di funzionare come antenne e ripetitori di segnale, mentre il newyorchese Media Development Investment Fund ha da poco annunciato di voler far traslocare Internet nello spazio, attraverso centinaia di minisatelliti che saranno situati nella bassa orbita terrestre. L’evocativo nome del progetto è Outernet ed è stato accolto come una ventata di aria fresca e speranza in mezzo ai postumi dell’incubo del controllo globale inaugurato dall’NSA.
Si tratta un sistema per portare Internet, gratuitamente, in tutto il mondo senza limiti di accesso né censura. L’obiettivo filantrofico consisterebbe nell’abbattimento a livello globale del digital divide. La prima versione di Outernet possiede, tuttavia, un limite intrinseco, che sarebbe meglio aver chiaro da fin da subito (e che molti dei commentatori più entusiasti hanno tralasciato) per evitare di sovrastimare le possibilità dell’iniziativa. La tecnologia dietro al progetto permetterebbe solo la trasmissione unidirezionale di informazione, ovvero Outernet sarebbe più simile a un sistema di broadcast tradizionale sprovvisto della capacità di interazione tipica di Internet. Una specie di televideo globale 2.0, o meglio: “la versione moderna della radio a onde corte o un sistema di Torrent spaziale”, secondo le parole dei promotori. Il contenuto di questa “trasmissione” vorrebbe supplire al gap informativo che molti abitanti del pianeta si trovano ad affrontare attraverso una fornitura minima di notizie, materiale educativo e anche una selezione di contenuti di intrattenimento.
Anche se da parte di chiunque è possibile suggerire quale tipo di materiale dovrà essere reso disponibile (anche se non è chiaro ancora in quale modalità), all’inizio i contenuti saranno, per esempio, quelli dell’enciclopedia libera di WikiPedia, i corsi online di Coursera e la distribuzione del sistema operativo Ubuntu. Il sistema funzionerà attraverso una trasmissione dei dati da terra, che vengono ridistribuiti a ciclo continuo dai satelliti, finché un contenuto non viene sostituito da uno più aggiornato. Questa limitazione tecnica si trova a smorzare la portata rivoluzionaria che la campagna di Outernet sembra aver imbracciato e che attinge da tutto un immaginario tecno-libertario che sembrava scomparso in questi ultimi anni. L’azienda afferma tuttavia che oggi gli ostacoli tecnologici e operativi non sono affatto insormontabili per la messa in opera di un sistema di questo tipo. Outernet sarà dunque disponibile a partire da Giugno 2015, ma non è ancora chiaro se e quando potrà restituire un’esperienza completa e interattiva di Internet.
In realtà Outernet non fa altro che spostare al di fuori dell’atmosfera terrestre il concept inaugurato da Google nel 2013 con il progetto Loon. Quest’ultimo consiste nel lancio di centinaia di palloni aerostatici nella stratosfera, dove si sposteranno spinti dal vento, alimentati a energia solare per inviare il segnale wireless sulla superficie terrestre. Lo scopo dichiarato è quello di fornire di una connessine ad aree rurali o difficilmente raggiungibili con metodi tradizionali. Questa tecnologia è stata testata da Google in Nuova Zelanda la scorsa estate e i buoni risultati ottenuti sono il preludio di una sperimentazione più estesa che dovrebbe coinvolgere i paesi che si affacciano sul 40° parallelo a sud dell’Equatore, ovvero Argentina, Brasile, Cina, Sud Africa e Australia.
Tra tecnologie più alla portata di mano di quanto possa sembrare e pindarici voli di fantasia, le news che stanno circolando riguardo a Outernet rischiano, tuttavia, di trarre in inganno. Il successo mediatico ottenuto da Outernet e il forse eccessivo entusiasmo dimostrato da buona parte dei media online riguardo le effettive possibilità del progetto, sembrano essere un chiaro esempio di ciò che Evgeny Morozov ha definito come “soluzionismo tecnologico”, ovvero quell’ideologia contemporanea per cui l’innovazione tecnologica, in particolare digitale, ha la capacità, se utilizzata nel modo corretto, di risolvere tutta una serie di problemi politici, sociali ed economici senza la necessità di interrogarsi sulle radici storiche e culturali degli stessi. Una certa visione di Internet, come per esempio quella di coloro che avevano proposto la sua candidatura al Nobel per la pace, sarebbe il prodotto finale del dilagare di questo ottimistico pregiudizio di fondo: la provocazione di Morozov è che Internet non esiste. O meglio, l’insieme di tecnologie, dispositivi e contenuti che compongono ciò che chiamiamo Internet non vanno a comporre qualcosa con una propria volontà e dei propri meriti.
Quella proposta da Outernet sembra dunque trarre ispirazione da quest’ultima versione del sogno della libera informazione che redime il pianeta, l’ultimo ritrovato dell’ottimismo digitale che ha fatto della Rete il suo mito. In realtà, qualora possibile e anche se in un certo senso nobile, Outernet da solo non servirebbe a risolvere i problemi in quanto non è Internet che si sposta: i data center rimangono sulla terra poiché, anche se l’informazione digitale è in un certo senso davvero immateriale, l’infrastruttura su cui viaggia non lo è affatto.
Forse un giorno Internet ci arriverà dallo spazio, ma intanto Google (pur continuando l’impresa di Loon) decide di investire seriamente sul progetto Fiber per una connessione che è sì di tipo tradizionale – i cavi sono ben piantati a terra – ma capace di una velocità di connessione mai vista prima: Google Fiber fornirà una velocità di connessione a Internet di un gigabit al secondo (sia in download che in upload). Si tratta di 1.024 megabit, ovvero 128 megabyte al secondo. Si tratta di una velocità circa 100 volte superiore rispetto a quello che la maggior parte degli americani hanno al momento. Dopo essere partiti da Kansas City, Austin e Povo, ora l’offerta di Fiber (che con 120$ comprende anche l’accesso a contenuti televisivi) si estende ad altre 34 città degli Stati Uniti. In Corea del Sud, invece, la velocità di connessione via LTE ha toccato i 300 Megabit per secondo, rendendo Seoul la capitale mondiale della connessione ulraveloce via mobile. Sembra dunque che l’incipit del prossimo capitolo di Internet verrà scritto attraverso le reti ultraveloci. Queste ultime sarebbero la prossima frontiera, mentre l’ipotesi di un servizio di trasmissione dati spaziale non sarebbe altro che una simpatica curiosità verso mete più concrete.
Dai simpatici palloni di Loon fino al richiamo tecno-libertario di Outernet, il sogno di una rete libera e gratuita non deve sottostimare gli investimenti economici e la volontà soprattutto politica che lo sviluppo di qualsiasi sistema di telecomunicazioni rende necessario. Internet, nella sua parte essenziale, è ancora fatto di cavi, metallo e giganteschi data center climatizzati. La rete è una grande infrastruttura globale e l’idea che iniziative come Outernet possano rimuovere da sole il libero accesso all’informazione rischia di essere fuorviante. Mentre Loon dichiara effettivamente di essere pensato per aree rurali o isolate, l’idea di sposare l’infrastruttura di Internet dalla Terra allo spazio è più che una semplificazione. Specialmente in paesi come l’Italia, non è ancora chiaro che Internet e tutti i servizi che ad esso si appoggiano non sono cose che cadono dal cielo, ma vere e proprie “grandi opere” che necessitano di una grande quantità di risorse e progettualità.
Nonostante tutta la retorica sull’immaterialità dell’informazione digitale, l’infrastruttura fisica che permette a Internet di funzionare ha il suo impatto concreto misurabile in costi, materiali ed energia. Le centinaia di migliaia di chilometri di cavi non sono sostituibili di punto in bianco da uno sciame di palloni aerostatici e minisatelliti. Per quanto Outernet e il progetto Loon siano iniziative estremamente affascinanti che effettivamente potrebbero portare Internet in luoghi del mondo non accessibili in altri modi, o in cui le presone non possano permettersi le connessioni commerciali, non sembrano per il momento poter sostituire neanche in parte la dorsale della rete. In questo momento in cui la traslazione virtuale di molti dei processi che governano le nostre vite è ormai in fase avanzata, diventa sempre più necessaria un infrastruttura affidabile, non centralizzata e il più possibile distribuita. Gli sforzi per mantenere e salvaguarda questo patrimonio pubblico globale richiedono investimenti economici che sono di un tipo molto poco “immateriale”. Servono cavi, fibra ottica e operai specializzati, servono piani politici e piani industriali. Serve una maggiore consapevolezza del pubblico riguardo a queste tematiche e il clamore suscitato da iniziative come quella promossa da Outernet rischiano di sviare l’attenzione su argomenti certo suggestivi ma che mancano di centrare il nocciolo della questione.
Internet sta diventando in un certo senso sempre più simile a una risorsa naturale e quello di connettività totale un valore di per sè, come se l’accesso alla rete sia ormai un bene di prima necessità, come l’acqua e il cibo. Gli obiettivi che il progetto Outernet si è posto possono dunque rispondere a questa esigenza globale. Il sistema, se rispetterà le promesse, potrebbe avere le giuste caratteristiche per fornire un livello minimo garantito di accesso alla rete e anche dimostrarsi utile come sistema di emergenza in caso di crisi. Rimane dunque da vedere se, ammesso che rispetti i tempi, sarà solo una curiosità tecnologica o una reale innovazione sociale. Tuttavia, se anche Outernet porterà la connessione dallo spazio, la dorsale e i data center, ovvero il cuore di Internet, rimarranno ancora per un po’ di tempo ben piantati sulla superficie terrestre.