Un piccolo avviso prima di parlare del libro: Giulio Passerini, l’autore del libro di cui sto per parlare, lo conosco da qualche anno ormai e anche se lavoriamo ai lati opposti della barricata — lui i libri li cura e li promuove, io li leggo e li critico — mi sento di poter dire che siamo amici. Dirvelo subito mi sembra un atto di trasparenza e di onestà, e anche se fosse soltanto un gesto per pulirmi preventivamente la coscienza, mi fa stare più tranquillo. Tutto qui.
Una storiella, per cominiciare
È una delle tante storie di odio tra scrittori, ma una di quelle che non compare in questa raccolta di Giulio Passerini. Ve la racconto perché non vorrei togliervi il piacere della scoperta, ma soprattutto perché mi ha sempre fatto molto ridere, in particolare per la cattiveria della reazione dell’attaccato verso l’attaccante. I personaggi sul ring sono il filosofo Jean Paul Sartre e lo scrittore Louis-Ferdinand Destouches, detto Céline. E se possiamo riderci ora, a distanza di 70 anni, all’epoca non c’era moltissimo da ridere. Ma tant’è.
Gli anni sono quelli della fine della seconda guerra mondiale, è l’autunno del 1944, e Jean Paul Sartre sta scrivendo un pamphlet dal titolo Portrait d’un antisémite (Ritratto di un antisemita). All’interno del suddetto pamphlet, il filosofo esistenzialista lancia una accusa di collaborazionismo con l’invasore nazista a Céline. La frase incriminata, di cui Céline socpre l’esistenza grazie all’amico Albert Paraz è la seguente:
«Se Céline ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti è perché è stato pagato»
Céline, che seppe di quell’attacco nel 1947, quando era già scappato in Danimarca, rispose alle accuse con un durissimo contrattacco. Un breve pamphlet di poche migliaia di battute dattiloscritte, intitolato A l’agité du bocal, e inviato per la pubblicazione a Jean Paulhan, direttore della Nouvelle Revue Française, che però, forse per il tenore della risposta, decise di non pubblicarlo.
Céline, come suo solito, non le manda a dire, e attacca Sartre senza sconti. Lo insulta, soprattutto, ma lo accusa anche di non poter permettersi quella accusa a lui rivolta, un’accusa che avrebbe potuto costare la vita di Céline. Ma leggete qualche passaggio, giusto per capire a quali livelli di cattiveria possono arrivare gli scrittori. Ah, per dovere di cronaca, io, pur detestando qualsiasi forma di antisemitismo, sono sempre stato dalla parte di Céline.
Eccovene un assaggio, nella traduzione del celiniano Andrea Lombardi, pubblicata su Satifction:
«Che osa scrivere? “Se Céline ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, è perché era pagato”. Testuale. Olà! Ecco allora quello che scriveva questo stercorario mentre ero in prigione, ad un passo dalla forca. Maledetta piccola lordura piena di merda, tu mi esci dalle chiappe per sporcarmi tutt’intorno! Ano Caino pfui. Che cosa vuoi!? Che mi si assassini! È chiaro! Qui! Che ti faccio a pezzi! Si!… Lo vedo in foto, questi grossi occhi… questo uncino… quella ventosa bavosa… è un cestode! Che s’inventerà, il mostro, perché mi si assassini! A stento uscito dalla mia cacca, ed eccolo che mi denuncia!
Ancor meglio è quando a pagina 452 ha il fiele di annunciarci: “Un uomo che trova naturale denunciare altri uomini non può avere la nostra concezione dell’onore, anche nei confronti di chi è benefattore, egli non li vede con i nostri occhi, la sua generosità, la sua dolcezza, non sono assimilabili alla nostra dolcezza, alla nostra generosità; non si può circoscrivere la passione”.
Nel mio culo dove si trova, non si può pretendere da J.-B. S. di vederci bene, né di spiegarsi chiaramente, sembra tuttavia che il J.-B. S. avesse previsto la solitudine e l’oscurità del mio ano…»
Insomma, avete capito.
Dopo questa digressione storica, che a mio parere pone l’asticella dello scazzo tra scrittori a vette veramente irraggiungibili, torniamo al libro di Giulio Passerini.
Nemici di penna, come dice didascalicamente il sottotitolo, è un viaggetto tra gli insulti e i litigi nati all’interno del recinto della letteratura, tra grandi scrittori, tra scrittori e critici, ma anche tra scrittori e i loro famigliari. Se ancora non lo sospettavate, infatti, le belle lettere, essendo popolate da individui dall’ego mediamente sovradimensionato, tendenzialmente acritici verso se stessi, sono da sempre terreno fertile per dispute, inimicizie e scazzi di ogni genere.
Il più delle volte si tratta di un vero e proprio campo di battaglia, un campo che spesso si fa sanguinolento e violento come una trincea di Verdun, per un motivo sopra a tutti: quando gli insulti provengono da qualcuno che sa molto bene come si usa la lingua e sa dare alle proprie dichiarazioni l’esatta forma della propria cattiveria, questa quasi sempre coglierà il destinatario nel punto dove fa più male e, altrettanto spesso, genererà una reazione uguale e contraria.
È così che si scatena la divertente sarabanda (divertente per noi, s’intende, meno per i coinvolti) di insulti, accuse, critiche feroci giudizi e attacchi personali, che, se ogni tanto sfiorano l’esercizio di stile, molto spesso malcelano una cattiveria molto, molto reale.
Norman Mailer che, dietro le quinte di un talk show tira una testata a Gore Vidal, Vidal che accusa Truman Capote di saper solo mentire, Capote che accusa Jack Kerouac di non essere uno scrittore, ma di essere solo uno che batte a macchina. E ancora Salman Rushdie che dà dello «stronzo di un pallone gonfiato» a John Le Carré, Roberto Bolaño che dà della scribacchina a Isabel Allende, fino alla famosa frase attribuita a quel geniaccio di Mark Twain che, parlando Jane Austen, pare disse la seguente frase, non certo gentile:
«Tutte le volte che leggo Orgoglio e pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e di spaccarle il cranio con la sua stessa tibia».
Insomma, Nemici di penna è un libro agile e divertente e, ben al di là del fatto che Giulio Passerini è un amico, ve lo consiglio perché è un bel viaggio nel backstage del mondo delle belle lettere, un mondo molto meno paludato e noioso, molto più normale, rocambolesco e triviale di quanto molti dei lettori si immaginino.