Qualunque gioco, mentre ci giochiamo, gioca con la nostra testa. Questo vale per i giochi d’azzardo, per gli sport, e vale ovviamente anche per i videogiochi.
Ma se tutto sommato è evidente il motivo che ci spinge a continuare a titoli particolarmente strutturati, affascinanti e divertenti, cosa si attiva nella nostra mente quando passiamo ore (magari spendendoci pure soldi) su giochi tutto sommato semplici e ripetitivi come Candy Crush, Farmville, o come certi giochi di ruolo online?
Secondo un interessante articolo comparso in questi giorni su Gamasutra, sito di riferimento per molte discussioni trasversali relative al mondo dei videogiochi, sarebbe tutta colpa del naturale e costante disequilibrio della nostra mente, un disequilibrio che ci porterebbe a soddisfare di continuo determinati bisogni, teorizzati molti anni fa dallo psicologo Henry Murray.
Per Murray esistono almeno 28 bisogni fondamentali, che sono stati più e più volte rielaborati e classificati, ma che potremmo riassumere a grandi linee come il bisogno di avvertire una connessione con gli altri, di dominare le situazioni, di difendersi dagli attacchi, di portare a termine un compito, di possedere qualcosa e di crescere e migliorare.
A ben vedere, sono esattamente le molle che normalmente scattano quando giochiamo.
Per questo motivo ogni nostra azione, anche il gesto automatico di fare una partita veloce a Ruzzle o Quizcross mentre aspettiamo alle poste o dal medico, si legano a questi bisogni. Il fatto che un oggetto (il telefono) sia in grado di farci soddisfare, seppur per qualche secondo, questi impulsi, rende il tutto più semplice, più immediato, e quindi più soggetto a diventare un’azione ripetuta nel tempo. Perché cercare altre soddisfazioni quando tutto ciò che ci serve è nella nostra tasca?
La reale differenza tra un gioco sociale, un gioco mobile, e un gioco che unisce entrambi gli aspetti sta tutta qua: un titolo mobile senza competizione con gli altri perde di sapore, un gioco sociale da fare sul PC non è sempre disponibile, un gioco mobile e social è il Santo Graal di qualunque sviluppatore: ci giochi quando vuoi, non richiede meccaniche complesse e si diffonde per il solo fatto di esistere.
Non è dunque un caso che i giochi di maggior successo per i cellulari ci permettano di stabilire una relazione con un altro essere umano, di lottare per affermare il proprio dominio, per poi vantarsene sui social network o dal vivo, pubblicando i propri punteggi, e diventando sempre più bravi nel gioco stesso, e passare al gioco successivo al primo segno di noia.
E se forse l’idea di un mondo fatto di persone che vanno avanti come cavalli al traino frustati da un costante bisogno di soddisfazione, non è propriamente rassicurante, è giusto vedere il rovescio della medaglia.
Questi giochi sfruttano una pulsione fondamentale dell’uomo, quella di migliorarsi, di andare avanti. Senza questo bisogno è impensabile anche solo l’idea di progresso.
Certo il rovescio della medaglia è che questa nostra grande voglia di progresso si trasformi in “un’altra partita e poi basta”, ma diciamoci la verità: videogiochi, social network, reti, non sono i soli responsabili di tutto il tempo che perdiamo o del nostro isolamento. Spesso sono solo strumenti, siamo noi a esasperarne l’utilizzo. Se usi un coltello per tagliare un pollo, piuttosto che per tagliare una gola, be’, dipende più da te, che dal coltello.