Portineria MilanoLa sfida di Civati, rottamare Renzi o essere rottamato

I dolori del Pd

Gira (anche) intorno alle «palle» il dibattito interno al Partito Democratico degli ultimi mesi. Enrico Letta, ex presidente del Consiglio, diceva di averle d’acciaio. Matteo Renzi, segretario e premier in carica, ha ricevuto la definizione «uno con le palle» da parte del Giornale di Alessandro Sallusti. Per questo motivo, Giuseppe Civati, detto Pippo, deputato del Pd, critico nei confronti del nuovo esecutivo, a Bologna ha voluto aggiungere un capitolo alla saga democrat: «Quando mi dicono che non ho coraggio m’imbizzarrisco, le palle io ce le ho…». 

Dopo i venti di scissione e le minacce, però, Civati ha dovuto fare un passo indietro. Su internet la cosiddetta base – definizione un po’ grillina dei voti della rete – si è spaccata. E per una piccola percentuale ha chiesto a uno dei candidati delle primarie di votare la fiducia: il 50,1% ha votato per il sì contro il 38,5% per il no e il 10,7% per l’astensione. Hanno votato 20.370 persone, il 77% dei quali ha partecipato alla primarie. Tra chi ha partecipato alle primarie la percentuale favorevole al sì si alza al 54,2%, fra gli altri prevalgono i no con il 61% contrari e il 31% favorevoli.

Civati ha quindi abbozzato: «Io farò un po’ di torto ai miei sostenitori che vorrebbero uscissi dal Pd, ma mi atterrò alle indicazioni dei sondaggi online che sono al 50%. Se io dovessi seguire me stesso e basta voterei ‘no’: è chiaro che se non si vota la fiducia si esce dal Pd». L’area civatiana, la «cavalleria» del Pd per dirla come il deputato Walter Tocci, quindi rimane al Nazareno. L’idea è quella di creare una piattaforma trasversale, che va dalla sinistra di Sel fino ai malumori di Enrico Letta, l’ex presidente del Consiglio che ha interrotto ogni rapporto con la dirigenza piddina, reduce da un incontro siberiano con Renzi durante il rito della campanella a palazzo Chigi. 

L’obiettivo è il «dopo Renzi», cioè quello di costruire una sinistra progressista, lontana dalle larghe intese degli ultimi anni, lontana da Silvio Berlusconi, «il vero protagonista della politica italiana». Ma i nodi restano tutti sul tappeto. Civati non è amato nel suo partito. Qualcuno lo definisce «solipsista», altri non vedono l’ora che se ne vada. Allo stesso tempo chi in questi mesi gli ha chiesto di spaccare, di unirsi con Sel o con fette di dissidenza grillina, inizia a definirlo un «chiacchierone», altri cominciano a non tollerare la sua «fiducia indolore». Nel centrodestra tifano ovviamente per una sua dipartita, così da spaccare ancora di più il Partito Democratico. Lui, al momento, tira dritto. Dalla sua parte ha una buona fetta di quell’elettorato democratico che non ha digerito la defenestrazione di Letta e l’insediamento di Renzi. C’è Sandra Zampa, la prodiana di ferro, e un’area vasta di elettori che lo guardano con speranza.

Graziano Delrio, neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha detto a Lucia Annunziata che «Renzi non teme di andare al voto». Ma l’ultimo sondaggio Swg riportato da Affari Italiani sulle intenzioni di voto degli italiani è duro da digerire: il dato è che in sette giorni il partito è sceso dal 32,2% al 29,9%. Contemporaneamente invece è cresciuta Forza Italia (anche se in misura inferiore al crollo del Pd). Il partito di Berlusconi passa infatti dal 20 al 21,8%. Lo scoglio sono le elezioni europee e amministrative di maggio. Quello sarà il passaggio che permetterà a Renzi di capire lo stato del partito, dopo la vittoria in Sardegna della scorsa settimana con Francesca Pigliaru. 

Su questo dovrà confrontarsi Civati, che ha il difficile compito di riuscire a raggruppare intorno a sé tutte le forze dissidenti del Pd. Per spuntarla dovrebbe diventare il leader della minoranza, ma appare anche questo un percorso arduo, tra un Gianni Cuperlo in difficoltà, dopo la nomina di Gian Carlo Padoan, dalemiano di ferro, al ministero dell’Economia. E allo stesso modo la nomina di Maria Carmela Lanzetta, sindaco di Monasterace, a ministro del Territorio, metterà qualche difficoltà a Pippo. Come del resto gliela sta mettendo Filippo Taddei, responsabile ecomomico nella segreteria di Renzi, nato civatiano, ma ora su posizioni ben diverse. 

Non è un caso che a Bologna tra i due ci sia stata molta freddezza. Taddei ha lodato il governo Renzi, tra qualche fischio dell’aula e Civati non ha apprezzato: «Gli è venuto male», ha spiegato Pippo. Questa è la situazione, tra la voglia di rottamare Renzi e le larghe intese («Ha messo due ministri di Forza Italia, Galletti e la Guidi» dice) e il rischio di essere rottamato. Per questo motivo, c’è chi chiede a Civati di tirare fuori finalmente «le palle».  

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