La mancata parlamentarizzazione della crisi del governo Letta ha messo d’accordo tutti nel Movimento, ma ora la tabella di marcia dettata dal Quirinale corre spedita come il Frecciarossa Firenze-Roma con la nascita dell’esecutivo Renzi. La galassia della dissidenza a Cinque Stelle si colora di molte sfumature: diverse sensibilità, non un blocco unico e alcune strade aperte. Se c’è una pattuglia che da settimane medita l’uscita dal Movimento a ridosso delle elezioni europee di maggio in virtù di quei problemi «che sono noti da tempo», davanti al governo Renzi il gruppo parlamentare si ricompatta per una tregua senza strappi. Nemmeno di fronte allo scouting dei dirigenti democratici. Niente fiducia al nuovo esecutivo, che comporterebbe una cacciata facile dal Movimento: «Non vogliamo diventare le stampelle di Renzi». In molti bocciano senz’appello il rottamatore anche se davanti al totoministri c’è chi, come Walter Rizzetto, osserva: «L’unica novità positiva sarebbe Tito Boeri al ministero del Lavoro».
Archiviata pure la pratica delle consultazioni al Colle: il gruppo parlamentare ha deciso a maggioranza di non citofonare al Quirinale perchè «la partita è già decisa, Napolitano ha distribuito le carte». Disertare l’incontro significa anche proseguire con la strategia d’attacco nei confronti del presidente della Repubblica, che i Cinque Stelle cannoneggiano con il secondo atto della richiesta di impeachment e le bordate dal blog di Grillo. «Presto salterà anche Napolitano, è questione di settimane», assicurano con le maniche rimboccate per la battaglia. Eppure più di qualcuno ha provato a spingere per salire al Colle: il senatore Lorenzo Battista suggeriva di presentarsi davanti al Capo dello Stato con una rosa di nomi «così cominciamo a ragionare e a farci vedere propositivi», un po’ come la minoranza aveva chiesto invano durante le consultazioni della primavera 2013. Niente da fare, nemmeno stavolta.
«Una decisione sofferta, ma siamo uniti nelle diversità», sostiene la senatrice Serenella Fucksia, mentre la collega Laura Bignami incalza: «Perchè non consultare la base tramite il blog?». «Non c’era il tempo materiale» rispondono i colleghi, anche se nei mesi scorsi è capitato che i diarchi indicessero votazioni online dalla sera alla mattina, senza preavviso. Qualcuno a microfoni spenti scuote la testa: «Sarebbe stato corretto coinvolgere gli attivisti ma ormai non ce lo aspettiamo neanche più, sappiamo qual è la volontà di Grillo e Casaleggio». Una fetta dei parlamentari stellati si è ritrovata sabato mattina davanti a Montecitorio per un’agorà coi cittadini: «Le consultazioni le facciamo in piazza con loro». Davanti agli attivisti le parole contro «i giochini di Palazzo» cadono come pietre, il ritornello è «vinciamo noi» e Alessandro Di Battista invita «ad accendere i computer agli anziani, a citofonare ai vicini di casa offrendo loro un caffè per parlare del Movimento».
Ma anche questa è acqua passata sotto il ponte di palazzo Chigi che si appresta a ospitare un nuovo inquilino. Più volte sondati dai colleghi Pd e tirati per la giacca in ottica governativa, i parlamentari ascrivibili all’ala del dissenso non lasciano scampo a equivoci: «Non voteremo la fiducia, il gruppo è unito in questo intento anche se i motivi sono diversi, comunque avallare Renzi equivarrebbe a essere fuori dal Movimento». Gli sherpa democratici devono accontentarsi dei fuoriusciti De Pin, Gambaro, Anitori e compagnia cantante. Però c’è una postilla che un un deputato affida a Linkiesta: dalle parti degli aperturisti qualcuno ripone «speranze» nel nuovo esecutivo perchè «Renzi è determinato e se vuole può portare avanti progetti importanti». Il ragionamento è il seguente: «Il Pd dovrà impegnarsi seriamente a farci cambiare idea, proporre riforme strutturali e allora noi saremo lieti di confrontarci. Ai nostri diciamo che non si può fare muro contro muro, pratica che non porta a nulla se non all’irrigidimento».
Le richieste agli uomini di Matteo Renzi partono dal metodo. «Devono impegnarsi a valorizzare il ruolo del Parlamento, diminuire la decretazione d’urgenza e aumentare il lavoro nelle commissioni, a tal proposito noi abbiamo anche proposto una modifica dei regolamenti parlamentari». No a provvedimenti tampone, sì a programmazione di ampio respiro spalmata sul lungo periodo, una fase che provi ad abbracciare l’intera legislatura. Riflette un senatore: «Valutiamo il tasso di cambiamento di questo nuovo governo, vediamo se veramente ci sarà uno scatto rispetto al passato, dopodichè dimostriamoci anche noi più inclini a collaborare. Basta decretazione d’urgenza, ci facciano vedere che tengono al Parlamento. Allo stesso tempo non è sempre colpa dell’esecutivo, spesso pesano i meccanismi decisionali dei superdirettori nei ministeri. Perchè non ripensare le regole del gioco?»
L’orientamento è quello di supportare le battaglie del Movimento ma collaborare con la maggioranza nella fase costruttiva. Anche Luis Orellana sul Messaggero spinge per la rivoluzione dolce: «Di fronte a provvedimenti corretti dovremmo dare il nostro contributo, non c’è nulla di male a instaurare un dialogo anche fuori dalle aule, incontrandosi alla buvette o al Nazareno, l’importante è farlo con la massima trasparenza». Non si vota la fiducia a Renzi, ma si prova ad ammorbidire il dialogo post insediamento evitando, ove possibile, di innalzare le barricate di snobismo che finora hanno affossato potenziali convergenze.
Dall’altra parte i pasdaran procedono agguerriti: «Vieni, vieni a prenderti il vento in faccia», sussurra la senatrice Elisa Bulgarelli commentando una frase del premier in pectore durante la direzione Pd. C’è chi oltre l’orizzonte renziano vede l’avvento di un governo a Cinque Stelle: «Dopo Letta smascheriamo anche Renzi e arriviamo carichi alle elezioni. Toccherà a noi dopo l’ennesima crisi di nervi nel Pd, che sostituisce il governo chiudendosi nella terza camera dello Stato, il Nazareno». Nessuno sconto, la linea è quella dell’opposizione dura «ai poteri forti che sostengono Renzi» e contro l’accordo elettorale siglato «con il condannato Berlusconi». Da mesi i fedelissimi chiedono pure una soluzione per i dissidenti: «Sono fuori dalla storia, lasciateli stare, al massimo ci penso io», minimizzava Grillo durante l’ultimo summit romano.
L’altro diarca, Gianroberto Casaleggio, è sbarcato nella Capitale giovedì scorso e ha provato a stendere un cordone sanitario: «Non siamo un gruppo che impone una sola voce, ognuno può esprimere la sua opinione e noi non cacciamo nessuno, certi metodi sanno di stalinismo». Da parte loro i dialoganti non vogliono bruciarsi nè prestare il fianco a polemiche incendiarie. Cauti e curiosi, concedono il beneficio del dubbio all’esecutivo di matrice fiorentina. Si preannuncia una partita a scacchi, in cui l’auspicio delle colombe stellate è che «si trovi uno spiraglio per fare le riforme già in questa legislatura».